Midrash Torà
“(Abramo disse al suo servo Eliezer) Ti farò giurare nel Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai una donna per mio figlio dalle figlie di Kena’an, in mezzo al quale io risiedo, ma andrai alla mia terra e alla mia casa natia e prenderai una donna per mio figlio, per Isacco” (Genesi 24: 3-4)”. In verità erano tutti idolatri, come è scritto (Giosuè 24: 2): “Al di là del fiume abitarono i vostri padri, Tèrach padre di Abramo e di Nachòr, e servirono altre divinità” – ma Abramo non proveniva proprio da loro?! Ma disse Abramo: “dato che devo convertire (delle persone), tanto vale che converta (gente) della mia famiglia e della casa paterna, che hanno la precedenza rispetto a tutti; ma non solo per questo, anche perché sono vicini al ritorno a Dio”. A partire da questo hanno detto: “Il pensiero dell’uomo deve sempre essere vicino ai suoi parenti, e se ha dei parenti deve occuparsi di far loro del bene”, così infatti è scritto (Isaia 58: 7) “Non trascurare quelli della tua carne”. (Midrash hagadòl, sul verso)
Il Midràsh presenta una serie di problemi:
• È noto che, quando si deve fare della zedakà, bisogna dare la priorità ai propri parenti e progressivamente alle persone più vicine, secondo quanto stabilisce la norma per cui “i poveri della tua città hanno la precedenza”, ‘Anijè ‘irechà kodmìm. Ma si può mettere sullo stesso piano l’idea della zedakà con quella del ghiur (conversione)?
• Abramo sente ora nostalgia di casa e vuole riallacciare i rapporti con la famiglia d’origine, dalla quale aveva accettato di separarsi (“Vattene dalla tua terra, dalla casa paterna…”)?
• Abramo vuole conservare la purezza del DNA familiare? Non è questa un’idea estranea alla Torà e all’ebraismo? Quanto l’idea di una “razza ebraica” sia estranea all’ebraismo è testimoniato da quanto stabilisce la halakhà e cioè da ciò che il proselita dice nelle preghiere “Dio nostro e Dio dei nostri padri”, in quanto Abramo è considerato padre di tutti gli ebrei, compresi i proseliti.
Zedakà e ghiur sono cose che non possono essere messe sullo stesso piano: la zedakà è un obbligo che l’ebreo ha verso ogni persona (ebreo o meno); la conversione è un processo che è ovviamente limitato alle persone che desiderano ardentemente entrare a far parte della collettività di Israele. Si ha il dovere di amare in modo particolare il gher perché egli, come fece Abramo, ha abbandonato la sua famiglia, per entrare a far parte di un altro mondo. Non ha alcun senso parlare di priorità per quanto riguarda la conversione: ogni persona è un mondo a parte.
Ma cosa chiese Abramo a Eli’ezer? Che lui trovasse per Isacco una sposa appartenente alla sua famiglia (così Rambàn interpreta la parola moladtì) oppure una donna che fosse comunque di Ur Casdim (così, Rashi)? Dal comportamento di Eli’ezer deduciamo che l’interpretazione di Rashì è quella più vicina alla realtà: infatti solo a posteriori egli viene a sapere che Rebecca appartiene alla famiglia di Abramo e utilizza questo fatto per presentare l’evento fosse interpretato come voluto da Dio stesso (Genesi 24:50).
La vera domanda non è quindi perché Abramo abbia mandato Eli’ezer a Charàn per cercare una moglie per Isacco, ma piuttosto perché abbia chiesto a Eli’ezer di non prendere per Isacco una cananea ed escluse poi anche l’idea di far riportare Isacco a Charan, luogo da cui lui era andato via. E del quale non sentiva certo nostalgia.
La scelta di Abramo non può essere di natura strettamente “religiosa”: infatti i cananei e gli abitanti della Mesopotamia erano entrambi idolatri. Ma il loro rapportarsi con il prossimo li rendeva diversi, come diversi, secondo la Torà, erano i loro comportamenti in generale (“non comportatevi come gli abitanti della terra di Kena’an”, Levitico 18: 3). Basti pensare alla proibizione dell’ospitalità vigente nella città cananea di Sodoma, città in cui si era insediato il nipote Lot. Con la sua generosità, Rebecca supera il “test psicologico” cui viene sottoposta da Eli’ezer, dimostrando di essere degna della famiglia di Abramo, rimasto famoso nella storia proprio per la sua ospitalità.
Ma Abramo è anche preoccupato del futuro della sua scelta di campo: se Isacco avesse sposato una donna cananea, l’influenza della moglie, della sua famiglia e dell’ambiente avrebbe reso vano lo sforzo di Abramo di abbandonare la sua famiglia a Charàn, proprio per indicare un nuovo cammino per l’uomo.
Questo passo ci pone oggi una serie di domande: attualmente è sempre più difficile oggi, specie per un ebreo, trovare il proprio partner: un tempo c’erano gli shiddukhìn, cosa ritenuta ora desueta; oggi molti cercano la propria metà sul web, iniziando anche a chattare con persone del tutto sconosciute, mettendo a repentaglio la propria credibilità e perfino la propria esistenza. Poco o nulla viene fatto per cercare di affrontare il problema dei quella che viene chiamata l’esogamia e di come incentivare l’endogamia. Così molti, in mancanza di un partner adatto alle proprie caratteristiche naturali e culturali, finiscono per contrarre matrimonio misto, con tutte le problematiche che li accompagnano sia prima che dopo il matrimonio e che raramente vengono analizzate e affrontate seriamente. Spesso manca anche l’apertura e la disponibilità delle persone che pure dovrebbero essere interessate all’idea di creare una famiglia, per di più fondata su valori ebraici e che, nella bufera che oggi attraversa il mondo, potrebbe costituire un importante punto di riferimento.
Alcuni commentatori osservano che probabilmente Isacco si sposò in tarda età perché era molto timido e proprio per questo ha avuto bisogno dell’aiuto di Eli’ezer. I motivi per cui oggi, almeno in occidente, i giovani si sposano con maggiore difficoltà e spesso finiscono per rimanere single, sono complessi e non possono essere affrontati in questo spazio. E’ questo un argomento sul quale sia i giovani che gli adulti preferiscono “glissare”.
Che non sia arrivato il momento di studiare con urgenza nuove-vecchie strategie per agevolare l’incontro con il proprio partner? Che non sia il caso di mandare qualcuno a Charàn?
Scialom Bahbout
(Scritto per la comunità ebraica di Trani)
Torà in rima
Massimo Foa
Chayè Sarà
Genesi 23-1/25-18
A centoventisette anni Sara decedette
ed Abramo le diede seppellimento
nel campo di Machpelà che Efròn gli dette
per quattrocento shèkel d’argento.
Dal vecchio servo giuramento pretese
che al figlio Isacco una moglie avrebbe preso
nella terra del suo natio paese,
senza portar là Isacco, beninteso!
Il servo presi poi dieci cammelli,
in Mesopotaia si recò
portando con sé molti oggetti belli
e presso un pozzo dell’acqua si fermò.
“Oh Dio di Abramo, sii provvidenziale:
la ragazza che mi darà da bere
e che farà anche bere ogni animale,
sarà quella che Isacco deve avere.”
Aveva appena queste cose detto
che con la brocca sulle spalle uscì
Rebecca, bellissima d’aspetto,
riempì la brocca alla fonte e risalì.
Le corse incontro il servo: “Fammi bere!”
Lei subito: “Bevete, signor mio,
ed ai cammelli pur ne farò avere:
al pozzo altra acqua attingo io!”
-“Di chi sei figlia? Da voi potrò sostare?”
-“Di Bethuel son figlia e abbiamo paglia e biada.”
-“Il Dio di Abramo posso ringraziare,
che mi ha condotto sulla giusta strada.”
Labano che di Rebecca era fratello
gli disse: “Vieni, benedetto del Signore.”
E fece entrare in casa lui e ogni camello,
offrendo da mangiare con buoncuore.
Il servo volle prima raccontare
di come Abramo si fosse arricchito,
benedetto da Dio in ogni suo fare,
e di come Sara vecchia avesse partorito.
Domandarono a Rebecca: “Vuoi partire?
E lei rispose affermativamente.
Mentre andava la voller benedire,
poi con il servo partì immediatamente.
Isacco in campagna meditava,
quando vide i cammelli avanzare.
Rebecca, visto Isacco, giù saltava
chiedendo: “Chi ci viene ad incontrare?”
-“E’ il mio padrone”, il servo le rispose:
allora Rebecca col velo si coprì.
Isacco nella tenda di sua madre la pose,
la prese in moglie e l’amò da quel dì.
Abramo morì in vecchiezza avanzata,
da Isacco ed Ismaele seppellito
nella grotta di Machpelà che avea comprata,
così Sara riposò accanto al marito.
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