Verso la fine della loro vita, Avraham e Sara erano diventati figure celebri, venerate per i loro successi e per il loro carattere virtuoso. Sara muore per prima. Avraham non solo piange ed elogia la sua amata moglie, ma deve anche iniziare il processo per assicurarle un degno luogo di sepoltura. Avraham si avvicina ai membri della città di Chevron e, come parte della sua supplica, utilizza un termine apparentemente senza senso per descrivere il suo posto tra loro: “Sono un Gher Vetoshav (residente e straniero) in mezzo a voi” Questi termini sembrano essere contraddittori.
Rashi sottolinea che non si può essere entrambe le cose contemporaneamente in quanto i due termini si escludono a vicenda. Rav Soloveitchik spiega, in un suo commento molto conosciuto, che queste due parole racchiudono un aspetto centrale della vita ebraica. Avraham nel suo esprimere l’idea di essere allo stesso tempo un gher e un toshav, rappresenta un sentimento che caratterizza la vita di ogni ebreo. Da un lato, come ebreo, sono residente. Sono interessato a dare il mio contributo per il benessere della società, mi occupo di commercio, scienza, sono un patriota e mi preoccupo di promuovere il bene comune. Un ebreo in ogni generazione si preoccupa del benessere degli altri e si assume la propria responsabilità come membro dell’umanità.
L’importanza di questo concetto, di lavorare e pregare per il benessere della città in cui si risiede in esilio è espresso bene in un versetto di Yirmeia: E cerca il benessere della città nella quale ti ho esiliato e prega D-o in suo favore; poiché nella sua prosperità prospererai (29:7). Inoltre, anche la Mishna nei Pirkei Avot afferma notoriamente: “Pregate per il benessere del governo” (3:2). Tuttavia, sottolinea Rav Soloveitchik, Avraham Avinu con la sua frase stava esprimendo il concetto che è uno “straniero”. Quando si tratta di qualcosa di religioso, di spirituale, di qualsiasi questione di valori morali, Avraham è uno straniero, è diverso. Ha il suo insieme di regole e valori basati sui comandi e sulla Volontà di D-o. L’ordine in cui la Torà colloca le due parole, prima gher e poi toshav è intenzionale. Bisogna essere radicati profondamente nel modello di vita rappresentato dal modo di vivere ebraicamente; Solo allora è possibile dare un contributo all’interno della società intesa nel senso più ampio del termine.
La sepoltura di Sara avviene a Kiryat Arba. Rashi cita il midrash che dice che Chevron si chiamava Kiryat Arba perché lì furono sepolte quattro coppie. Una delle coppie, la prima, era Adam e Chava; Le altre tre coppie erano i patriarchi e le matriarche che vi saranno sepolti successivamente. I Chachamim suggeriscono che fossero sepolti nella stessa grotta per dimostrare che l’alleanza stipulata con Avraham aveva lo scopo di migliorare ed elevare il mondo intorno a lui. L’ebreo è al contempo diverso ma anche un membro dell’umanità.
Due dei momenti più elevati del calendario ebraico sono accomunati da un tema apparentemente inaspettato. Mentre il giorno dello Yom Kippur inizia a scemare, viene recitata la Haftara di Yona, nella quale viene raccontata la teshuvà, non di una tribù di ebrei o di una città di ebrei, ma di una città assira la cui popolazione nutriva effettivamente odio per per gli ebrei. Trascorriamo la maggior parte della giornata dello Yom Kippur pregando solo per noi stessi o per gli altri ebrei ma, verso la fine della giornata, includiamo il resto dell’umanità. Un tema simile è espresso alla fine del Seder della notte di Pesach. Questo sembra essere in effetti strano perchè se esiste una ricorrenza che simboleggia l’unicità del popolo ebraico e la sua separazione dal resto delle nazioni, Pesach sembra essere il prototipo di questo tipo di festa. Tuttavia, verso la conclusione del Seder, dopo che abbiamo mangiato la nostra matza e siamo in procinto di recitare la benedizione sul quarto bicchiere di vino, recitiamo: “L’anima di ogni essere benedirà il Tuo Nome, Hashem nostro D-o, lo spirito di tutte le carni glorificherà ed esalterà il Tuo ricordo”. A Pesach e a Kippur preghiamo non solo per la nostra redenzione, ma per la redenzione dell’umanità.
L’Or haChaim interpreta le parole di Avraham come un allusione alla mitzvà della Torà descritta nel libro di Vaykra: “Lo straniero che risiede presso di te, lascialo vivere al tuo fianco” (Vaykra 25,35). Attraverso questa mitzva, la Tora applica la ragione e ci indica un modello di comportamento. Proprio come agli ebrei è stato comandato di trattare gli stranieri residenti in modo umano, così la ragione impone che le persone in tutta la terra dovrebbero comportarsi tra loro in modo simile. Consentire a tutti di vivere indisturbati è un obbligo morale.
Rabbenu Bechaye suggerisce che le parole usate da Avraham siano parole che denotano umiltà, la consapevolezza di Avraham di essere giunto da poco in quel luogo da un’altra terra. La risposta che ottiene è stupefacente, “nesi Elokim ata betochenu”. Agli occhi dei “bene Chet”, Avraham è un nasì, un principe.
Il colloquio apparentemente superfluo relativo all’acquisto di un luogo di sepoltura da parte di Avraham contiene un insegnamento importante. Ognuno di noi è, similmente ad Avraham, gher vetoshav. Il nostro compito è emulare Avraham nell’osservare le mitzvot e negli atti di chesed. Attraverso il nostro comportamento corretto ognuno di noi sarà in grado di illuminare coloro che ci circondano e di essere una luce, un nesì Elokim, un principe, per l’umanità nel suo complesso. In questo modo non solo miglioreremo noi stessi, ma potremo essere da esempio e da sprone per migliorare il prossimo e la società in cui viviamo.