Gadi Luzzatto Voghera
Non sembra un esercizio futile provare a guardare la festa di Chanukkah nella sua prospettiva storica. Al netto dell’affascinante narrazione che ci proviene dai libri dei Maccabei (peraltro non inclusi nel canone biblico ebraico) e dell’emozionante miracolo dell’olio, rimane il fatto che Chanukkah è considerata dai Maestri una festività anomala. Sono pochissimi i brani talmudici che se ne occupano e le halakhot sembrano piuttosto essenziali e concentrate sulla dinamica dell’accensione dei lumi: poca cosa. La ragione di questo sostanziale vuoto potrebbe essere ricercata nelle vicende storiche successive alla rivolta vittoriosa contro Antioco IV Epifane.
La dinastia dei Chashmonaìm (Asmonei) fondata da Shimon haMaccabì, che segnò l’inizio del regno di Jehudà, aveva la caratteristica peculiare di essere la prima casa regnante in cui coincidevano il ruolo di governo e di sacerdozio (i Chashmonaìm erano Cohanim). Questo fatto andava a sconvolgere gli equilibri di potere (oggi lo chiameremmo in senso liberale “separazione Stato-Chiesa”), aprendo un secolo di contrasti profondi in cui la polemica fra Farisei e Sadducei non si limitò a discussioni di carattere rituale ma fu anche e soprattutto un confronto legato alle modalità dell’esercizio del potere. I Sadducei in particolare furono visti con simpatia dalla casa regnante (in particolare è noto il rapporto privilegiato con Alessandro Janai – in italiano Ianneo, nipote di Shimon haMaccabì).
Non vedo quindi quale possa essere la sorpresa nel constatare che la tradizione talmudica non si occupa di Chanukkah: tutta la vicenda ha a che vedere con un periodo piuttosto turbolento, in cui si provò a emarginare quei Farisei che in seguito si affermarono decisamente come il “partito guida” nel mondo ebraico, strutturando quella grande tradizione giuridica e letteraria a cui ancora oggi siamo debitori e da cui l’ebraismo discende in tutto e per tutto. Il Talmud è un prodotto della cultura dei Farisei, e come tale lo studiamo e lo apprezziamo.
Non può quindi destare stupore se in esso si parla solo per rapidi cenni di Chanukkah. Dico questo perché credo che a volte fare uso degli strumenti che la disciplina storica ci fornisce può aiutarci a spiegare alcuni passaggi che altrimenti ci rimarrebbero oscuri. E può aiutarci anche a constatare che la storia di Israele non è affatto omogenea, ma anzi articolata e complessa, e che è stata – nel passato come nel presente – ricca di posizioni e correnti culturali e politiche anche in profondo contrasto fra loro.
Se impariamo a riconoscere nella storia di Israele la sua pluralità di orientamenti, contribuiremo – credo – a salvaguardarne l’unità.