Rav Umberto Piperno
Lumi tra Atene e Gerusalemme
L’ebreo nel corso della Storia ha ripetutamente sentito il bisogno di un aggettivo per definire la sua identità, come se non fosse sufficiente lo stesso termine scelto da Jonà di fronte ai marinai: “Ivrì Anochì” Io sono ebreo. Essere ebrei, Me’Ever ha Nahar dall’altra parte del fiume significa in primo luogo riconoscere il fiume che deve esistere tra le due sponde. La funzione dell’ebreo è di essere “alternativo”, oppositore e critico della cultura dominante.
A questo compito è chiamato il popolo d’Israele come individuo in esilio, come comunità organizzata, come Stato fra le nazioni.
L’ebreo in esilio ha spesso svolto il ruolo di traghettatore tra le due sponde: tra cultura classica ed islamica, tra antichità e modernità, tra teoria e pratica, tra Oriente e Occidente; questo ruolo non è tuttavia l’unica ragion d’essere della sua particolarità; Chanukkàh vuole insegnarci in primo luogo che solo se mettiamo fuori della finestra la nostra Chanukkiah, la nostra proposta di luce al mondo, potremo dare un senso al nostro futuro.
In questi otto giorni in cui aumentiamo progressivamente i lumi compiamo in modo reale e non simbolico il passaggio da Atene a Yerushalaim: ci rendiamo conto del pericolo della oscurità di una cultura totalitaria, omogenea o globalizzante; rispondiamo senza distruggere, nè creare modelli di disturbo, bensì proponendo noi stessi, l’educazione, il “Hinukh” base della parola Hanukkàh come strumento di dialogo, ma soprattutto di identità, la stessa convivenza in città quanto viene semplicemente chiamato “civiltà”, viene collegata dalla tora all’educazione. Hanoch, discendente da Caino, decide di costruire una città chiamandola con il nome del figlio Hanoch per superare la condanna alla continua peregrinazione.
La risposta al moto vuoto e ondivago della nostra società è proprio la convivenza sociale, la città o la comunità che disegna il proprio futuro entro le coordinate dell’educazione. Quest’anno la comunità ebraica di Trieste festeggerà l’inaugurazione di due importanti edifici destinati all’educazione: la scuola e la colonia. Come nella “Bildung” costruzione di se stessi. L’azione non termina mai, ma deve essere continuativa. Sapranno gli ebrei triestini riempire di “contenuti educativi” questi edifici?. Sapranno rivolgere il meglio dei propri sforzi alla costruzione di una identità dei propri figli? Sapremo aprire le nostre menti, i nostri cuori e le nostre istituzioni ad altri ebrei vicini e lontani? Sapremo mettere la Hanukkiah “fuori della porta”, per dar luce ai nostri cuori, per aprire le nostre menti, per far luce a quanti guardano al popolo ebraico come luce delle genti, come luce di speranza per l’umanità.
Novembre 2003