Si chiamava Celeste Di Porto e, quando i Tedeschi in quel sabato di ottobre del 1943 rastrellarono il ghetto di Roma, aveva appena diciotto anni. Alta, slanciata, occhi neri e profondi, era la quinta di otto figli e viveva con la sua famiglia nel quartiere ebraico. Di umili origini, aveva iniziato a lavorare in giovane età prestando la propria attività come domestica di alcune famiglie ebree fino a quando venne assunta al ristorante Il Fantino, luogo di ritrovo di numerosi fascisti. Riuscita a sfuggire al rastrellamento insieme alla sua famiglia, Celeste, soprannominata per la sua eccezionale bellezza la stella di Piazza Giudia, abitava in Via della Reginella. Quel volto d’angelo diventerà per molti suoi correligionari il viso della morte. Sarà lei con un cenno del capo a denunciare gli ebrei e a venderli alle milizie fasciste.
Chi era Celeste Di Porto
Un ebreo maschio in età da lavoro valeva 5000 lire, una donna 3000 ed un bambino 1500, questo era il tariffario che i delatori conoscevano bene. Dopo la razzia del 16 ottobre 1943, i nazisti lasciarono agli italiani il compito di arrestare gli ebrei che erano scampati al rastrellamento e che si erano nascosti ed allontanati dalle loro abitazioni. Alcuni vagavano nella città, altri avevano trovato rifugio da parenti, altri ancora, non sapendo dove andare, erano tornati a vivere nelle loro case.
Le bande di fascisti che erano in azione a Roma avevano il compito, tra le altre cose, di andare a caccia degli ebrei da consegnare ai nazisti. Oltre al famigerato questore Caruso e alla banda guidata dal militare Pietro Koch, operavano milizie di civili, privati cittadini che si erano aggregati per supportare l’azione fascista. Una di queste era la banda di Cialli Mezzaroma, di cui faceva parte Vincenzo Antonelli, uomo che frequentava Il Fantino e con cui probabilmente la giovane ebrea Celeste Di Porto ebbe una relazione.
A seguito di quell’incontro, Celeste diviene una delatrice al soldo dei fascisti, una collaborazionista. Nei vicoli del ghetto si comincia, infatti, a sussurrare che è lei a vendere gli ebrei, che le basta fare un cenno, un movimento del capo, salutare qualche suo correligionario per indicarlo alle milizie fasciste e farlo arrestare. Tra le sue vittime c’è Lazzaro Anticoli, un ragazzo di 26 anni che il 23 marzo 1944 a Via Arenula viene catturato da tre fascisti e condotto alla prigione romana di Regina Coeli per essere ucciso il giorno dopo alle Fosse Ardeatine. Nella sua cella del carcere con un chiodo scrive:
Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mia è colpa de quella venduta de Celeste Di Porto. Rivendicatemi.
Era accaduto che all’ultimo momento, in sostituzione di Angelo Di Porto, fratello di Celeste, era stato catturato il giovane pugile ed era stato inserito nella lista delle 335 persone che dovevano essere fucilate dai Tedeschi il giorno dopo per vendicare l’attentato di Via Rasella. E non vendette soltanto lui. Alla pantera nera (questo il nuovo soprannome che le viene dato) si deve la morte di altri 26 ebrei uccisi nell’eccidio Fosse Ardeatine.
La sua vita dopo la liberazione di Roma
Nel 1944 con la liberazione di Roma da parte delle truppe anglo-americane, Celeste Di Portocambia nome e diventa Stella Martinelli. Si trasferisce a Napoli per non destare sospetti e ricominciare una nuova vita ma due ebrei romani che si trovano nella città partenopea la riconoscono e la fanno arrestare. Il 5 marzo 1947 inizia il processo in un clima di tensione altissima.
Celeste ha sempre lo sguardo fisso, puntato sui suoi accusatori; non lo abbassa mai neanche quando dall’aula le gridano ‘A morte!’. Il Pubblico Ministero chiede per lei 30 anni di reclusione in un tribunale incandescente. Il 9 giugno 1947, dopo otto ore di camera di consiglio, il giudice la condanna a 12 anni ritenendola colpevole di sequestro di persona e di furto dei gioielli che aveva sottratto alle sue vittime. Grazie all’indulto concesso nel febbraio 1948, il 10 marzo dello stesso anno lascia il carcere di Perugia da donna libera ed il 15 abbraccia la fede cattolica battezzandosi.
Lo sdegno da parte della comunità ebraica è unanime, contro di lei comincia a circolare lo slogan De Gasperi l’ha graziata, il papa l’ha battezzata. A fine anno, durante una cena in un ristorante romano, rischia di essere linciata da alcune persone che la riconoscono. È il segno che deve lasciare nuovamente la sua città e trasferirsi altrove. Andrà prima a Trento, forse a Milano poi tornerà a Roma dove morirà nel 1981.