Rav Jonathan Reiss ha fondato yeshivot hesder ultraortodosse i cui laureati si arruolano nell’IDF. In un’intervista speciale a Canale 7, spiega come sia possibile e appropriato risolvere la crisi della “legge sul reclutamento”. “Lo Stato deve impegnarsi pienamente nel campo dell’istruzione. Quando lo farà, vedremo un cambiamento serio e tra alcuni anni la questione dell’integrazione degli ultraortodossi sarà risolta.”
Itzik Brandwein – 7.11.24
Rav Jonathan Reiss, fondatore della rete di yeshivot hesder (accademie rabbiniche militari) ultraortodosse ‘Chedvata‘, dissente dalle dichiarazioni e dalle richieste di reclutare immediatamente migliaia di ultraortodossi nell’IDF e spiega nell’intervista a Canale 7 perché questa mossa non è possibile e specifica come, dalla sua esperienza personale, si possa arrivare invece a un reclutamento di massa nel settore ultraortodosso.
Il rav fu arruolato nell’IDF con la forza dopo essere stato un disertore. Fu arrestato all’aeroporto Ben Gurion al suo ritorno dall’estero quando era sposato. “L’IDF non era affatto nei piani, ero un disertore. Sono andato all’estero, sono tornato, mi hanno arrestato e da lì è iniziato il mio legame con questa storia di israelianità, IDF, reclutamento”.
La decisione di aprire yeshivot hesder ultraortodosse è arrivata subito dopo il congedo, “Ho fatto il servizio militare, ho iniziato nel rabbinato militare, poi sono stato responsabile del settore ultraortodosso nel Corpo delle Comunicazioni. Quando mi sono congedato ho detto che bisognava creare delle strutture, perché aspettarsi che l’IDF possa darci una risposta è come premere l’acceleratore in folle”.
Spiega che “la grande sfida è nell’educazione ultraortodossa all’età di 17 anni, ci sono molti ragazzi che vogliono integrarsi, lì bisogna puntare i riflettori, bisogna trovare soluzioni, ma l’IDF è un crogiolo di identità e non sa dare la soluzione”.
Ha fondato la prima yeshivat hesder circa otto anni fa con sei studenti, “È stato molto impegnativo e da lì siamo andati avanti, e più andavamo avanti, più capivamo quanto non capivamo. Più ci addentravamo nella questione, più capivamo che questo grande conflitto è molto complesso, è una delle sfide più grandi dello Stato di Israele, quella che superficialmente viene chiamata ‘reclutamento degli ultraortodossi’, nasconde molti dibattiti e conflitti di valori, come per esempio liberalismo contro conservatorismo, quando in effetti l’IDF è un crogiolo di identità. È un dibattito sul carattere dello Stato e ci si aspetta qui che l’IDF risolva questo problema”.
Continua a dettagliare la complessità dietro la questione della legge sul reclutamento. “La questione dell’identità, se al cittadino comune sembra che il reclutamento degli ultraortodossi significhi solo cibo kosher, sinagoga, niente ragazze e tutto si risolve, assolutamente no. La questione non è la religione, è l’identità, e quando risolveremo questo, potremo progredire, ma mi sembra che non siamo ancora a quel punto perché il dibattito è politico, non valoriale; è sociale, e non è veramente un dibattito che si addentra nella profondità della questione – cioè come costruire una nuova identità per un ultraortodosso che è stato educato solo allo studio della Torah, e quando questa identità è frutto di un’educazione assoluta”.
Le yeshivot hesder sono la soluzione per il reclutamento degli ultraortodossi? Rav risponde: “Noi forniamo una risposta educativa ai ragazzi ultraortodossi, per i quali il concetto di studio esclusivo della Torah non è adatto, perché vogliono integrarsi. L’IDF è un altro tassello nella catena educativa, ma non è questa la questione. La yeshivat hesder è un programma pratico. La questione qui è prima di tutto l’educazione. Mi arriva un ragazzo che per 17 anni è stato educato che o studi la Torah o sei zero. Questo è in effetti il sottotesto dell’educazione ultraortodossa, perché non c’è risposta per chi non vuole studiare la Torah”.
“Nel nostro ambito ci occupiamo di come costruirgli un’identità valoriale su base ultraortodossa che sia unita allo studio della Torah, all’apprendimento di una professione o al percorso di combattimento; costruiamo insieme a lui un’identità per cui da un lato è ultraortodosso, studia la Torah e non se ne vergogna e si sente nella situazione di origine ma viene a contribuire allo Stato o a servire o a impegnarsi in una professione. Fino a quando arriva da me alla yeshiva siamo al suo fianco nel mondo della Torah. Nel momento in cui arriva, sta per diventare il più forte, il migliore, il più originale”.
Sottolinea che “questa questione, se si vuole risolvere il ‘reclutamento degli ultraortodossi’, deve passare attraverso strutture educative. Perché alla fine bisogna ricordare che i comandanti dell’IDF si vedono come educatori. L’IDF è immerso nel suo DNA nei valori, non si può separare questo, e dire ora all’ultraortodosso, che è in un conflitto identitario, valoriale e culturale; è confuso con se stesso. Che gli educatori dell’IDF entrino in questo conflitto valoriale, è un’esplosione, è un crollo. Non c’è alternativa alla creazione di strutture intermedie, tra l’ultraortodossia e l’israelianità. Noi siamo invece quel ponte che dovrebbe favorire l’incontro tra l’ultraortodossia e l’israelianità”.
Critica l’occuparsi di politica invece di agire per soluzioni pratiche di fronte a progetti che hanno già dimostrato buoni risultati come le yeshivot hesder. “È un peccato che tutti siano si occupino di politica e sciocchezze e lo Stato non sia entrato nella questione. La prima cosa che serve è verificare che cosa ha funzionato, perché una compagnia e un battaglione non hanno funzionato, se si va verso una brigata, io andrei già verso una divisione, perché no, se serve solo a fare relazioni pubbliche”.
Alla fine, dice, “non c’è una strada breve, non ci sono scorciatoie. Chi proverà a fare scorciatoie, tra dieci anni saremo allo stesso punto, solo i soldi scorreranno, ci saranno altri opportunisti che hanno provato cose e non sono riusciti, e altri soldi sprecati a spese del contribuente israeliano”.
Nell’intervista rav Reiss dissente da molti e dice che l’attacco di Hamas a Simchat Torah non ha portato cambiamenti nella società ultraortodossa rispetto all’arruolamento per il servizio completo nell’IDF. Già un mese e mezzo dopo aveva espresso la sua opinione in merito e ha detto che si trattava di “euforia” e ha detto “aspettatevi una radicalizzazione”.
Nella conversazione con Canale 7 spiega perché la pensava così: “Chi pensa che ci sia qui un cambiamento definitivo si sbaglia. Prima di tutto la società ultraortodossa è una società meravigliosa, piena di volontariato, ma non ci si può fare belli con questo, perché si tratta di volontariato, non di assumersi delle responsabilità”.
“Ora aspettarsi da una società cresciuta su un ethos, dove da un lato c’è il mondo della Torah, e dall’altro nessuno ha parlato con loro di responsabilità o come assumersi delle responsabilità è un’aspettativa vana. Quindi c’è stato un risveglio volontario perché la società ultraortodossa fa beneficenza, ed è piena di beneficenza e aiuta chiunque ne abbia bisogno, ma alla fine quello di cui lo Stato ha bisogno non sono volontari, perché con i volontari non si può fare la guerra e qui torno ancora all’educazione. Senza educazione non ci sarà un vero cambiamento”.
Aggiunge e si rivolge alla società israeliana che chiede il reclutamento degli ultraortodossi: “Per 75 anni si è consolidata qui una consapevolezza che la società israeliana, i politici laici, trovavano conveniente fare accordi con i politici ultraortodossi e hanno creato questa situazione in cui tutti i ragazzi, anche se non studiano, si trovano sotto un qualche ombrello protettivo di rinvii. Era conveniente per tutti. Venire ora a dire alla società ultraortodossa, stop, arruolatevi, non è né giusto né corretto, non c’è niente da fare: è un processo”.
“Un processo sociale”, continua, “deve cambiare come processo sociale. Non è possibile arrivare ora, boom, portate ora cinquemila persone. Praticamente, preferisco non parlare di numeri, se Gafni porterà tremila sottufficiali religiosi all’IDF non aiuterà. Allora parliamo di processi seri – educativi, di strutture”.
Riguardo alla legislazione della legge sul reclutamento dice: “A mio parere, nella legge ci dovrebbe essere anche la modalità con la quale viene applicata. Non è previsto per esempio nessun controllore che venga a vedere se i chi aderisce chiede dei rinvii. Serve prima di tutto una regolamentazione seria che faccia saltare fuori chi non studia”. Un’altra cosa che ha detto serve per il processo, “Lo Stato non è focalizzato su questo aspetto. Lo Stato siede e conduce negoziati con Gafni e Porush, e sai bene quanto non sono rilevanti”.
Rav Reiss specifica: “Quello che serve è, da un lato dare rinvii senza limiti, ma con una regolamentazione molto seria, con sanzioni personali sui capi delle yeshiva che falsificano i dati. E lo Stato deve entrare con tutta la forza nella questione delle strutture educative. Quando si impegnerà a livello statale e non a livello di iniziative private, vedremo un cambiamento serio e tra qualche anno la questione dell’integrazione degli ultraortodossi sarà risolta”.
Per concludere sottolinea ancora l’importanza dell’educazione: “Bisogna occuparsi dell’educazione e solo allora arriveranno a dare il loro contributo allo Stato”.