Giuliano Ferrara
Non passa giorno senza che uno scrittore israeliano, un direttore d’orchestra o una coalizione di personalità varie della cultura rivolga a Israele un appello a fermarsi, a cercare soluzioni diverse dall’attacco militare contro Hamas nella striscia di Gaza, e questo in nome delle tragiche conseguenze della guerra sulle popolazioni civili, sui bambini. Aderisco pieno di compassione per il dolore della popolazione investita dal turbine dell’operazione “piombo fuso”. Non voglio ritorcere argomenti faziosi e squalificanti, assalire le anime belle e accusarle di indifferenza verso il criterio di responsabilità della politica, verso la concreta questione della sicurezza esistenziale di uno stato che vive sotto minaccia prenucleare e di una comunità che cerca di tutelare i suoi villaggi dai razzi sparati da un’organizzazione militare nemica (non uso nemmeno il termine terrorismo, così i puristi ideologici sono soddisfatti) sostenuta da Iran e Siria.
Aderisco con tutto il sentimento di cui sono capace. Perché non mi piace assistere alle stragi, non amo la prospettiva di una guerra di terra forse necessaria per smantellare Hamas dopo giorni di bombardamenti contro le sue strutture di governo, ne intuisco i costi ulteriori sul piano umanitario. Perché i firmatari di questi appelli sono brave persone, che credono nel diritto di Israele a esistere, uno dei quali ha visto suo figlio combattere e morire in Libano per quel diritto (David Grossman), brave persone che impegnano da anni la loro faccia e la loro arte nella battaglia pacifista (Daniel Barenboim), che hanno testimoniato amore per la libertà d’Europa (Vaclav Havel) o per il riscatto dell’Africa nera dalla vergogna dell’apartheid (Desmond Tutu). Tra di loro c’è anche il ministro degli Esteri ceco, Karel Schwarzenberg, che insieme al cancelliere Angela Merkel ha avuto in Europa la posizione realista più nitida sulle responsabilità che hanno condotto a questa guerra dell’ultimo dell’anno. Quindi aderisco, aderisco, aderisco.
Desidero che i miei quarantacinque lettori sappiano che la pietà non è morta, che tutti siamo in grado di riconoscere orrore, disperazione, crudeltà dispiegata dalla macchina di guerra. Sì, certo, abbiamo letto Alan Dershowitz e qualche editorialista americano di quelli che ignorano la casuistica e la melassa, avremmo gli argomenti per contestare l’argomento morale apparentemente infallibile della sproporzione tra i morti palestinesi e i morti israeliani. Sapremmo anche controbattere punto per punto il testo dell’appello intitolato “A Gaza è in gioco l’etica del genere umano”, chiaramente scritto dal teologo Hans Küng, teorico della Weltethik, dell’etica globalizzata o religione umanitaria dei diritti umani generici. Quando censurano la “hard security” perseguita dal gabinetto di crisi israeliano, preferendo “soluzioni creative al conflitto israelo-palestinese”; e quando sostengono che “è colpa dell’inasprimento della posizione dei politici israeliani se i palestinesi, con le spalle al muro, incominciano a non vedere altra scelta, per tradurre in realtà le loro aspirazioni nazionali, al di fuori delle tattiche più radicali”, non opporremo il fatto che si tratta di frasi tragicamente ridicole, che l’aspirazione all’indipendenza nazionale di Hamas non esiste, perché quell’organizzazione aspira a gettare a mare gli ebrei, a cancellarli dalla carta geografica. Sottoscriveremo, invece, e aderiremo. In nome della compassione che ha le sue ragioni.
Ecco. Ora che abbiamo aderito, che la nostra coscienza codarda è abissalmente pacificata, ora possiamo rivolgere con fraterna amicizia agli scrittori, al direttore d’orchestra, agli statisti libertari come Havel e Tutu, al teologo benintenzionato una domanda moralmente impegnativa. Ora che siamo con loro noi ci sentiamo in sintonia con le emozioni e le ragioni migliori e più nobili dell’opinione pubblica internazionale, che essi rappresentano degnamente. Ci sentiamo finalmente comodi, sereni, moralmente ineccepibili, perché non c’è niente di meglio che nutrire e ostentare la propria buona coscienza, sono cose che fanno bene al cuore. E’ invece quasi disumano cercare di capire il fondo ruvido delle questioni politiche e stategiche. E’ molto spericolato tentare di mettersi nei panni del gabinetto di crisi israeliano, fare i conti con quella società e con quello stato, con le informazioni dei suoi servizi di sicurezza, con le ansie dei suoi apparati e la paura dell’opinione pubblica. E’ durissimo condividere quella condanna a far paura, a incutere timore al nemico, che si chiama deterrenza, nel linguaggio osceno del realismo politico. Mentre ci sentiamo confortati per aver aderito all’idea di soluzioni creative al posto della guerra, ci domandiamo se chiedere a Israele di fermarsi sia un modo di esercitare l’etica del genere umano o un modo di consolarsi e rifugiarsi nella più nobile noncuranza.
Il Foglio – 5 gennaio 2009
Per rassicurare Ferrara ecco l’appello del Campo della pace ebraico pubblicato sul Manifesto con le firme dei soliti noti. Anche per gli ebrei la colpa è sempre degli ebrei e dei ciclisti*
Sicurezza d’Israele?
Poco più di un anno fa, in un appello per prevenire una vasta operazione militare israeliana su Gaza, scrivevamo: “Il procuratore generale israeliano Menachem Mazuz ha per ora bloccato il taglio della fornitura elettrica a Gaza, come minacciava il Ministero della difesa israeliano, grazie alla mobilitazione di decine di associazioni per la difesa dei diritti umani, israeliane e internazionali. Però la situazione nella Striscia resta disastrosa perché, nel frattempo, è comunque stato ridotto il flusso di carburante necessario in particolare alle attività ospedaliere. E questo senza peraltro risolvere la questione di Sderot!
Infatti i Qassam continuano a abbattersi sulla cittadina israeliana, e il ministro della difesa Barak ha minacciato ‘una vasta operazione militare su Gaza’. La dichiarazione è allarmante, poiché sappiamo che cosa potrebbe volere dire questa ‘vasta operazione’: forse l’eliminazione definitiva della ‘questione Gaza’ con distruzioni e morti fra i civili, il rischio della discesa in campo dei militanti di Al Qaeda e ulteriori molto più gravi minacce a Israele”.Questo attacco è adesso in corso.La dinamica degli eventi risponde a una logica perversa che si è insediata stabilmente nella regione, e ne colpisce tutte le popolazioni esclusi pochi momenti di tregua, soprattutto a partire dalla seconda Intifada: militanti palestinesi che colpiscono o uccidono dei civili israeliani provocando la risposta devastante per la popolazione palestinese dell’esercito israeliano.
Questa logica ha portato alla rioccupazione nel 2002 di tutte le città palestinesi, alla costruzione del muro, alla vittoria di Hamas nel 2006, agli attacchi sul Sud d’Israele e all’isolamento-riduzione alla fame e alla miseria della popolazione di Gaza, priva ormai dei più elementari servizi. Basta consultare i dati dell’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza ai rifugiati palestinesi) per averne conferma.Si legge sul quotidiano Ha’aretz del 29 dicembre, in un articolo intitolato “Disinformazione, segreti e bugie: da dove nasce l’offensiva contro Gaza” di Barak Avid, che il ministro della difesa israeliano Ehud Barak aveva dato ordini all’esercito di preparare l’offensiva già più di sei mesi fa, dunque prima della tregua concordata con Hamas; tregua che negli intenti del ministro della difesa doveva essere propizia a preparare, appunto, la suddetta offensiva.
Il 19 giugno scorso Israele e Hamas firmano dunque una tregua di sei mesi. L’accordo prevede la sospensione dei lanci di razzi Qassam sul Sud d’Israele in cambio dell’apertura dei valichi di accesso alla striscia, per permettere il passaggio di beni e persone – sia dalla parte del confine con Israele sia dalla parte del confine con l’Egitto – da e verso Gaza stretta d’assedio dall’anno precedente, quando Hamas ne ha preso il controllo a spese dell’Autorità palestinese. Purtroppo questo accordo non è rispettato: l’apertura dei valichi avviene solo parzialmente e a singhiozzo, e ne fanno le spese soprattutto molti malati che muoiono per mancanza di cure e di beni di prima necessità; inoltre il 5 novembre, l’aviazione israeliana compie un raid sulla striscia uccidendo 5 palestinesi e rompendo la tregua. Puntualmente il lancio dei missili verso Israele, allora, ricomincia.
Il 19 dicembre, Hamas dichiara che non rinnoverà la tregua con Israele visto che è già stata violata e gli accordi sulla sospensione del blocco non sono stati rispettati; così si intensificano i lanci di razzi sul Sud israeliano, offrendo ancora una volta il pretesto al governo di Tel Aviv per scatenare l’offensiva. Ma i bombardamenti aerei e l’invasione via terra che si sta preparando non fermeranno gli attacchi con missili (come di fatto sta avvenendo), mentre decimeranno i civili di Gaza (come di fatto sta avvenendo) e fomenteranno ulteriormente l’odio aprendo di nuovo la strada agli aspiranti kamikaze!Sappiamo che il nostro ennesimo appello non fermerà la logica perversa che si è instaurata, ma non rinunciamo a prendere la parola contro questo orrore perché il silenzio non è mai una soluzione.Chiediamo che le autorità internazionali prendano misure concrete per fermare subito il massacro del popolo di Gaza, la pioggia di missili sul Sud d’Israele e la spirale di violenza che trascinano con sé, che non si facciano tacite complici di una logica che può portare solo ad aggiungere tragedie a tragedie.
ps. per contatti: campodellapace@yahoo.it
Un appello del Campo della pace ebraico
Irene Albert, Marina Astrologo, Andrea Billau, Angelo Camerini, Giorgio Canarutto, Giovanni Cipani, Beppe Damascelli, Lucio Damascelli, Ester Fano, Ida Finzi, Ivan Gottlieb, Joan Haim, Gisella Kohn, Dino Levi, Tamara Levi, Stefano Levi Della Torre, Patrizia Mancini, Marina Morpurgo, Ernesto Muggia, Carla Ortona, Valeria Ottolenghi, Moni Ovadia, Brenda Porster, Sergio Sinigaglia, Stefania Sinigaglia, Susanna Sinigaglia, Jardena Tedeschi, Marco Todeschini, Alida Vitale, Carol Wasserman
*Vecchia storiella: “Dei ciclisti? E loro che c’entrano? Perché gli ebrei che c’entrano?”