Mentre gli scienziati scoprono indizi di possibile vita oltre la Terra, diamo un’occhiata a cosa hanno da dire i rabbini
Simon Eder – 8 giugno 2025 – Jewish Chronicle
Recenti ricerche scientifiche hanno prodotto risultati intriganti nella ricerca della vita oltre la Terra. Nel febbraio di quest’anno il rover Perseverance della NASA ha scoperto una roccia nel cratere Jezero di Marte che mostra caratteristiche chimiche e strutturali indicative di potenziale vita microbica antica. Più di recente, ad aprile, astronomi che utilizzano il Telescopio Spaziale James Webb hanno riportato la rilevazione di composti organosulfurei nell’atmosfera dell’esopianeta K2-18b, situato a 124 anni luce di distanza, suggerendo anch’esso possibile attività biologica.
Alcuni potrebbero sentirsi minacciati dalle implicazioni della ricerca spaziale. Mentre si profila una possibilità sempre più grande che la vita su altri pianeti sia certamente plausibile, possiamo concepire altri mondi i cui abitanti condividono anche una relazione speciale con l’Onnipotente? Se la vita esiste davvero altrove, possiamo certamente trarre la conclusione che la Terra non è più unicamente centrale nel cosmo, mettendo in discussione la visione tradizionale che essa sia al centro stesso della creazione e del piano di Dio.
Ci sono, tuttavia, molte fonti che possiamo evidenziare che non trovano contraddizione intrinseca tra l’Ebraismo e l’esistenza di vita aliena. Infatti, il Salmista ci ricorda che “i cieli dichiarano la gloria di Dio” (Salmo 19:2), non ponendo alcuna limitazione sui poteri infiniti di Dio.
La liturgia ritrae vividamente il vasto paesaggio cosmico della creazione di Dio. Nelle preghiere feriali del mattino, per esempio, ci rivolgiamo al Signore come “Maestro di Tutti i Mondi, non sulla nostra giustizia ci supplichiamo alla Tua presenza, ma sulla Tua grande compassione. Cosa siamo? Cosa sono le nostre vite?“
Piuttosto che minare la tradizione, questi testi indicano che la vita aliena potrebbe persino espandere il nostro senso di meraviglia per la natura multiforme della creazione e la nostra nozione della pura grandezza dell’universo di Dio.
Anche le fonti midrashiche parlano di “molti mondi” creati e distrutti prima del nostro, implicando di conseguenza una visione non terra-centrica della creazione. Questo è anche ribadito nel Talmud che menziona che Dio “gira intorno a 18.000 mondi” (Avodah Zarah 3b). Possiamo ben liquidare questo come discorso figurativo ma certamente apre la porta all’idea di mondi multipli abitati.
Potremmo anche indicare un concetto centrale nell’Ebraismo, che è la sua accettazione generale che ciò che non è proibito è permesso. Con questo in mente, molti rabbini sono arrivati a vedere la Torà come focalizzata sulla vita umana perché questo è ciò che è rilevante per noi e non per il motivo che esclude altra vita di per sé.
Maimonide, scrivendo nel XII secolo, argomentò che non tutti gli esseri viventi hanno anime o capacità morale, permettendo una possibilità di esistenza per i non-umani dsenza alcun conflitto teologico.
Andando oltre, il rav ortodosso e fisico del XX secolo, Aryeh Kaplan nel suo Manuale del Pensiero Ebraico suggerisce che solo perché gli alieni potrebbero essere intelligenti, potrebbero non essere spiritualmente obbligati come lo sono gli umani. Similmente a come animali e angeli hanno ruoli designati nella maestà della creazione, argomenta che la vita extraterrestre potrebbe esistere senza disturbare la centralità della Torà o la missione ebraica.
Anche se l’esistenza di vita su altri pianeti non mina l’autenticità dell’Ebraismo, possiamo ancora sicuramente chiederci se la ricerca scientifica della vita oltre il nostro pianeta sia ritenuta giustificabile in un’età quando così tanta della nostra attenzione è dedicata alla vita qui sulla Terra.
Fu il grande teologo del XX secolo Abraham Joshua Heschel che segnalò per noi l’importante dilemma morale proprio all’inizio dell’era spaziale quando suggerì che l’impulso di esplorare lo spazio era causato dal suo valore politico e militare per lo Stato. “È davvero la conquista della luna da parte dell’uomo così importante per l’umanità come la conquista della povertà, malattia, pregiudizio e superstizione? Di che valore sarà far atterrare alcuni uomini sulla desolazione della luna se trascuriamo i bisogni di milioni di uomini sulla Terra?” disse.
La sua prospettiva improntata alla cautela ci fa venire in mente la storia della Torre di Babele – una narrativa presciente che ammonisce l’arroganza dell’umanità per aver alzato la testa nella ricerca del progresso tecnologico. Indubbiamente, la voce profetica di Heschel che esorta all’eliminazione della povertà e sofferenza deve essere centrale nei nostri sforzi oggi, ma questo non deve sicuramente essere a spese del progredire della nostra curiosità e del progresso nella nostra comprensione dell’universo, incluse possibili forme di vita su altri pianeti.
Le opinioni di Heschel sono anche significativamente in contrasto con un altro importante teologo del XX secolo, Abraham Isaac Hakohen Kook (1865-1935), primo Rabbino Capo d’Israele, che, scrivendo ben prima che il programma Apollo della NASA fosse in corso, indica il vero potenziale che l’esplorazione dello spazio può comportare. Indiscutibilmente un figlio del cosmo, nelle sue famose riflessioni Shir Meruba, o Canto Quadruplice, discute l’evoluzione della coscienza umana in cerchi sempre più ampi dall’individualismo al nazionalismo all’umanesimo e alla fine a un abbraccio amorevole dell’universo nel suo insieme.
C’è tuttavia, una poesia precedente che Kook compose chiamata Conversazione degli Angeli, dove traccia la traiettoria dell’umanità dall’esistenza terrestre al futuro viaggio spaziale. L’immagine ricorrente nella descrizione di Kook della storia umana, vista dal punto di vista degli angeli sopra, è la metafora di un “granello di polvere”.
Traccia una strada accidentata verso la maturità intellettuale ma rivela una fiducia ultima nel fatto che la scoperta umiliante di quanto siamo infinitesimamente piccoli alla fine ci farà diventare un’umanità di non credenti. Nell’ultima strofa gli angeli riconoscono controvoglia che i “potenti tra i nani” un giorno li supereranno. Fu del resto il leader sovietico Nikita Krusciov, riferendo sulla prima missione di Yuri Gagarin in orbita intorno alla Terra nel 1961, che disse: “Volò nello spazio ma non vide alcun Dio lì!“
Quindi non c’è, ovviamente, necessariamente una correlazione diretta tra esplorazione scientifica e rivelazione come vorrebbe Kook. Forse però, continuando la ricerca di nuove forme di vita oltre i confini del nostro territorio terrestre, l’umanità potrebbe davvero avvicinarsi sempre più a un apprezzamento per l’amore e la comprensione dei modi misteriosi di Dio.
Simon Eder conduce il podcast Jewish Quest per la Louis Jacobs Foundation
https://www.thejc.com/judaism/would-it-matter-if-there-were-little-green-jews-w6c0eck7