Claudia Baccarani
La scelta sofferta di non esporre il simbolo ebraico all’esterno del negozio di via Ugo Bassi. Il sindaco Lepore: «A Bologna ognuno deve potersi sentire libero e sicuro di esporre i simboli della propria fede o comunità». Casini: riecheggiano i momenti più bui della storia
Tra le luminarie che in questi giorni hanno acceso il centro storico di Bologna, mancano quelle sotto il portico del negozio De Paz, storica famiglia di ebrei bolognesi: due grandi stelle di David luminose.Tempi troppo difficili per esporre simboli così riconoscibili sulla pubblica strada. La «scelta» sofferta della famiglia di rinunciare alle due stelle di David è stata dettata da questioni di «opportunità» e prudenza: meglio evitare che qualche scalmanato, o peggio, possa prenderle a pretesto.
Il negozio, bottega storica di Bologna, è gestito dai fratelli minori di Daniele De Paz, che è il presidente della Comunità ebraica di Bologna. E che non nasconde le sue preoccupazioni: «Il tema si inserisce in un contesto più ampio e profondo che non riguarda solo Bologna — ci racconta, misurando con cautela ogni parola — che si incardina nel conflitto che vede protagonisti Israele, i palestinesi e il Libano e poi si riversa fino alla dimensione più locale. Le stelle? La nostra sinagoga è presidiata neanche fosse il Quirinale, c’è un contesto surreale: di sicuro nella nostra città non ricordo momenti così tesi». De Paz ha ricevuto la telefonata di vicinanza dal sindaco pd Matteo Lepore. «Mi ha fatto piacere, certo».
Ma al primo cittadino non risparmia critiche. «Da quando decise di esporre dalle finestre del Comune la bandiera palestinese, che è ancora lì — ricorda —, questo suo gesto ha come aperto la strada a una serie di episodi e di manifestazioni che non favoriscono alcun tipo di dialogo. Anche dentro alla nostra università ci sono episodi di boicottaggio verso le istituzioni culturali israeliane». Per il presidente della comunità ebraica bolognese c’è, in Italia e in Europa, una saldatura preoccupante tra un estremismo di destra storicamente antisemita che rialza la testa e un estremismo di sinistra che va in piazza e grida agli ebrei slogan come «Ritroverete Hitler all’inferno». «Si sta sgretolando il ricordo di quanto è successo durante la Seconda guerra mondiale e di quanto è stato fatto dopo in termini di memoria collettiva. Provare a ricostruire un equilibrio in questo contesto è molto faticoso», ragiona, «e ci crea allerta anche intorno a situazioni apparentemente secondarie». Come due stelle di David davanti a un negozio.
«Bologna è casa di tutti e ognuno deve potersi sentire libero e sicuro di esporre i simboli della propria fede o comunità — la riflessione del sindaco Lepore — . Voglio esprimere la mia vicinanza alla comunità ebraica di Bologna e ribadire questo principio e l’impegno della città affinché nessuno si senta solo, isolato o minacciato».
Il senatore Pier Ferdinando Casini non intende minimizzare il caso: «Una scelta comprensibile non esporle — ammette — ma molto preoccupante che fa tornare alla mente i momenti più bui della nostra storia. È la conseguenza di un’epoca avvelenata da guerra inaccettabili e dalla morte di migliaia di civili, anche palestinesi. Il risultato è la demonizzazione del mondo ebraico che viene spinto a nascondersi». Sul banco degli imputati Casini mette il mondo intellettuale e il negazionismo: «L’ignoranza nutre questi fenomeni, guai abbassare la guardia.Anche nelle scuole bisognerebbe fare di più».
Lapidario, quasi brutale, il giudizio di Yassine Lafram, bolognese e presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche in Italia: «Anche Bologna deve fare i conti con il clima di paura creato dal governo terrorista di Netanyahu. Il genocidio in corso nella striscia di Gaza non può essere usato come pretesto per aggredire la comunità ebraica».