Oggi non si dimentica il passato di Alemanno e di Fini. Ieri si chiudeva un occhio e poi l’altro
Giuliano Spada
Il 24 settembre 1942, il settimanale “Roma Fascista” pubblica un articolo di Eugenio Scalfari: “Gli imperi moderni quali noi li concepiamo – scrive – sono basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti”. Il 4 agosto 1942 “La Provincia Granda” pubblica a firma di Giorgio Bocca: “Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa prima della guerra. attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza infatti, sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea di dovere, in un tempo non lontano, essere lo schiavo degli ebrei?”.
Erano entrambi giovanissimi, forgiati dalla propaganda del Ventennio, insieme al giovanissimo Giovanni Spadolini, privi della scelta che solo la libertà garantisce. Tuttavia, nessuno di loro fu costretto a scrivere sotto minaccia. La battuta più efficace la fece l’americano Alexander Clark, comandante della V armata Usa in Italia, a cena con lo scrittore Curzio Malaparte, nel 1944 ufficiale di collegamento presso gli alleati. “In Italia”, disse, ci sono “40 milioni di fascisti e 40 milioni di antifascisti”. Malaparte obiettò che 40 milioni erano gli italiani censiti, l’alto ufficiale spiegò: “Sì, esatto, perché ieri erano tutti fascisti, oggi sono tutti antifascisti”.
Leo Longanesi, anche lui testimone del grande cambio di casacca, aggiungerà: “Gli italiani sono campioni nel salto sul carro del vincitore”. Battute a parte, oggi il tema della presa di distanze tiene ancora banco. Ma è “lungo l’elenco di personalità che, con maggiore o minore entusiasmo, per convinzione o solo per comodità, aderirono al fascismo. molto più di Fini, all’epoca neanche nato. Qualche anno fa, fu il pamphlet “Camerata dove sei?”, firmato “anonimo nero”, a raccogliere le biografie dei fascisti che si erano dissolti dalla sera al mattino, molti dei quali tornati a far politica nei partiti democratici. Altri casi si aggiungeranno negli anni con le ricerche, alcune davvero imbarazzanti, negli archivi.
Nel 1934, Giuseppe Bottai e Alessandro Tavolini, gerarchi col vezzo della cultura promuovono i “Littoriali della Cultura”, una sorta di olimpiadi per i giovani più promettenti dei Guf (Gruppi Universitari Fascisti). Ebbene, nell’elenco dei vincitori figurano Pietro Ingrao, Jader Iacobelli, Aldo Moro, Sandro Paternostro, Giaime Pintor, Vasco Pretolini, Luigi Preti, Giuliano Vassalli, Paolo Emilio Taviani, Paolo Sylos Labini, Alfonso Gatto, Mario Ferrari Aggradi, Luigi Firpo, Luigi Gui, Renato Guttuso, Luigi Comencini, Carlo Bo, Walter Binni, Mario Alicata, Michelangelo Antonioni. Molti passeranno all’antifascismo militante, senza scandalo per le parentesi giovanili.
Ingrao, il primo presidente della Camera del Pci, compare nell’Antologia di poeti fascisti del 1935, per aver vinto il premio “Poeti del Tempo di Mussolini”. Alessandro Natta, successore di Berlinguer a capo di Botteghe Oscure, ha ammesso che quando studiava alla Normale di Pisa era iscritto ai Guf. Come, a Napoli, l’ex presidente della Camera ed ex ministro dell’Interno, oggi europarlamentare ds, Giorgio Napolitano.
Il caso di Giame Pintor, il raffinato intellettuale fratello del fondatore del Manifesto Luigi, è stato portato alla ribalta un anno fa da un documentatissimo libro di Mirella Serri che ne ha ricostruito la partecipazione a un congresso giovanile nella Germania nazista. Nel 1940 Alessandro Galante Garrone, giovane giudice del Tribunale di Torino, elaborava un commento a una sentenza nella quale indicava i requisiti per essere ascritto alla razza ebraica. Sarà poi partigiano. Alberto Moravia nel 1941 scriveva al Duce, cui Norberto Bobbio – come rilevato da Pietrangelo Buttafuoco – chiese aiuto per una cattedra universitaria.
Folto anche il capitolo delle adesioni alla Repubblica di Salò, scelta non obbligata data l’alternativa della Resistenza. Lo storica Raberto Vivarelli ha ammesso in un’intervista l’adesione alla X Mas di ]unio Valerio Barghese, rivelando anche che “Giorgio Bocca scriveva sul giornale della federaziane fascista di Cuneo” e che Dario Fo è stata saloino. Del resto, con onestà, il 22 marzo 1978 il Nobel dichiarò a “La Repubblica”: “Io repubblichino? Non l’ho mai negato. Sono nato nel ’26. Nel ’43 avevo 17 anni. Finché ho potuto ho fatto il renitente. Poi è arrivato il bando di morte. O mi presentavo o fuggivo in Svizzera”. Un’alternativa, ammette, c’era. Sotto le bandiere di Salò c’erano ancora Marcello Mastroianni, Giorgio Albertazzi, Marco Ferreri, Walter Chiari, Ugo Tognazzi (Brigata Nera di Mantova), Ugo Pratt, Giovanni Comisso, Dino Buzzati, Mario Sironi, Alberto Burri, Ernesto Calindri, Carlo D’Apporto, Enrico Maria Salerno. Molti, non l’hanno negato, alcuni anzi l ‘hanno rivendicato.
Libero 2/12/2003