Non appena gli ebrei lasciano l’Egitto, si trovano di fronte a una deviazione ordinata direttamente da D-o. “E fu quando il faraone mandò fuori il popolo (“ha’am”), D-o non li condusse per la via del paese dei Filistei, ki karov hu (perché era vicino), perché D-o disse: “Poiché il popolo non ci ripensi dopo aver visto la guerra e non tornerà in Egitto“. Due serie di domande emergono mentre leggiamo questo strano versetto. A livello strettamente testuale, la frase non sembra scorrevole. Cosa significa la frase “ki karov hu (perché era vicino)”? La prossimità sembrerebbe raccomandare, piuttosto che scoraggiare, la scelta di un percorso. Perché la Torà non scrive che D-o aggirò la via dei Filistei sebbene fosse vicina? Secondariamente, perché questa deviazione è necessaria? D-o, dopotutto, ha appena decimato l’impero egiziano per conto degli ebrei. Non può fare lo stesso con i Filistei o, quantomeno, proteggere gli ebrei?
La difficoltà presentata da questo versetto si concentra sulla parola ebraica ki (poiché). Secondo il Talmud, questa parola si traduce in modo variabile, a seconda del contesto: “Resh Lakish disse: ‘Ki ha quattro possibili significati: se, forse, tuttavia, perché'”. Di queste quattro traduzioni, solo “perché” si adatta al nostro versetto. Tale interpretazione, tuttavia, ci lascia con la domanda sul perché D-o avrebbe evitato un tale percorso specifico. Rashi e Ibn Ezra, commentano che D-o evita il percorso attraverso il territorio filisteo perché la vicinanza di questo percorso all’Egitto avrebbe incoraggiato e facilitato la ritirata degli ebrei dalla battaglia con il conseguente ritorno in Egitto. La “vicinanza” di questo percorso era quindi uno svantaggio. Questo approccio tuttavia non è coerente con quanto sostiene Resh Lakish.
Il midrash suggerisce delle spiegazioni diverse. Due di queste sono citate dal Da’at Zekenim Miba’alé Hatosafot: Secondo una delle spiegazioni, la frase ki karov hu non deve essere tradotta “perché era vicino”, ma piuttosto “perché Lui era vicino”. La Torà fa riferimento al fatto che D-o era “vicino” agli ebrei. Secondo questa spiegazione, D-o si rifiuta di mettere in pericolo gli schiavi in partenza portandoli lungo un percorso che potrebbe portare alla guerra. Una seconda spiegazione suggerisce che la frase si riferisce ai Filistei stessi, non al loro territorio. I Filistei erano “vicini” agli Egiziani in quanto condividevano una comune discendenza. D-o non vuole che gli ebrei incontrino i Filistei in quanto questi, essendo appunto “vicini” agli egiziani attaccheranno sicuramente il popolo ebraico.
Resta la domanda, tuttavia, sul perché D-o si senta obbligato a guidare gli ebrei su un percorso tortuoso alla loro partenza dall’Egitto e perché non avrebbe potuto combattere la battaglia per loro o, almeno, proteggerli miracolosamente dalle devastazioni della guerra. Si possono suggerire alcuni possibili approcci. Uno di questi si basa sul fatto che gli ebrei devono imparare a combattere le proprie battaglie. Con l’Esodo, le regole iniziano a cambiare. Fino a questo momento, D-o ha combattuto per conto loro. La transizione verso l’indipendenza, però, richiede che gli ebrei imparino a badare a se stessi. Anche davanti alle acque del Yam Suf, D-o non agisce finché gli ebrei non prendono il destino nelle proprie mani e iniziano a muoversi verso il mare. Se D-o avesse condotto una battaglia contro i Filistei, se avesse anche miracolosamente protetto gli ebrei dall’attacco, sarebbe stato trasmesso il messaggio sbagliato. È giunto il momento per gli ebrei di iniziare a combattere le proprie battaglie. Tuttavia, in questo momento non sono ancora pronti.
Questo approccio sembra essere confermato da altri versetti nella Torà. Nel versetto che abbiamo analizzato si fa riferimento al fatto che D-o non condusse gli ebrei attraverso la terra dei filistei, perché “ha’am”, il popolo, non ci ripensasse. Pochi pesukim dopo la Torà riporta che i Bene Yisrael erano “chamushìm” quando uscirono dall’Egitto. (Shemot 13:18). La Ghemarà (Yerushalmi Shabbat 6:4) definisce il termine “chamushim” come “armati”. Gli ebrei lasciarono l’Egitto armati e pienamente determinati a combattere per i loro diritti fino alla fine. Se così fosse, sarebbe improbabile che si ritirassero alla prima apparizione del nemico. Perché allora D-o sceglie il percorso più lungo? In secondo luogo, ci viene detto che D-o guidò “ha’am”, il popolo, attraverso il deserto (Shemot 13:18). Rashi spiega che il popolo fu condotto attraverso il deserto perché avevano paura. Questo sembra strano perché più avanti ci viene detto che i Bene Yisrael marciavano trionfalmente. (Shemot 14:8). Non si capisce quindi se si sentivano potenti o timorosi, se avevano fede in D-o o meno.
Quando si confrontano con il nemico da una parte e con il mare dall’altra, gli ebrei si rivolgono a D-o, come scritto dalla Torà: i Benè Yisrael gridarono ad Hashem. (Shemot 14:10). La Mechilta usa questo pasuk per evidenziare la fede in D-o, sostenendo che gli ebrei si sono rivolti a D-o in preghiera. Ciò ritrae chiaramente la fede in D-o. Tuttavia, nel versetto seguente, il popolo si lamenta nei confronti di Moshe: è forse perché non ci sono tombe in Egitto che ci hai portato a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto per farci uscire dall’Egitto? (Shemot 14:11). La concomitanza di questi due versetti lascia un po’ confusi. Gli ebrei erano fiduciosi e pronti a combattere, o temevano per la propria vita? Avevano fede in D-o, o dubitavano e mettevano in dubbio le capacità di D-o e la guida di Moshe?
Rav Shlesinger distingue tra due distinti gruppi di persone, evidenziando come nei pesukim citati sopra, si faccia riferimento ai “Bene Yisrael” e ad “‘Am”. Queste diverse parole fanno riferimento a due distinti gruppi di persone. Quando la Torà si riferisce ai “Bene Yisrael”, fa riferimento a chi aveva una fede inequivocabile, pronti a lasciare l’Egitto, a combattere e a pregare D-o per la salvezza. L’altro gruppo, indicato con il termine “‘Am”, non aveva fede, temeva il nemico e condannavano Moshe per aver messo in pericolo le loro vite. L’ “‘Am” impara a temere D-o dopo aver assistito ai miracoli al Yam Suf..
Più avanti nella Parasha, in corrispondenza delle lamentele, viene usato il termine “‘Am”. Questa è una costante durante tutto il viaggio nel deserto, in particolare in corrispondenza del peccato del vitello d’oro, dove D-o definisce gli ebrei “‘Am”, popolo dalla dura cervice.
Già dai versetti finali, però, la Parashà di Beshalach ci racconta di una trasformazione sorprendente. Mentre la Parashà si apre con D-o che protegge gli ebrei dalla semplice possibilità di conflitto, si chiude, ironicamente, con gli ebrei vittoriosi in battaglia. La scena finale della Parashà descrive l’attacco a sangue freddo da parte della nazione di Amalek e la battaglia che ne consegue da cui gli ex schiavi emergono trionfanti. Si tratta dell’inizio di un percorso di trasformazione e di maturazione profonda e radicale.
La Torà non usa mai parole a caso. Il termine Bene Yisrael viene usato per descrivere i credenti. Il popolo ebraico è legato ai suoi antenati e la sua fede è uno dei segreti della sua sopravvivenza. Siamo i figli di Yisrael- Yaakov uno dei patriarchi che ha affrontato e superato molte sfide. Ad ognuno di noi può succedere di passare momenti più o meno difficili. La differenza sostanziale è l’approccio che scegliamo. Possiamo affrontare la nostra vita rafforzando il nostro impegno, la nostra convinzione e la nostra fede ed avere l’onore di poter essere annoverati tra coloro che si definiscono “Bene Yisrael” o semplicemente come “‘Am”, L’approccio che scegliamo fa tutta la differenza perché comporta il far affiorare la vera essenza di quello che siamo, quello che ci caratterizza e che garantisce la nostra continuità e il nostro essere una “luce tra i popoli”.