“In principio Dio creò i cieli e la terra. E la terra era caos e nulla e l’oscurità copriva la faccia dell’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. E Dio disse: ‘Sia la luce’, e la luce fu” (Genesi 1:1-3). L’Or HaChayym (Rabbì Chayym ben Attar, 1696-1743) spiega questi versi come un’allusione all’esilio del popolo ebraico. Tale spiegazione si basa su diverse interpretazioni: 1. il valore numerico delle parole “ToHU WaVoHU/Caos e Nulla” è 430, proprio come il numero degli anni che intercorsero tra il momento in cui Dio informò Abramo dell’esilio della sua discendenza in una terra straniera (Genesi 15:13) e la liberazione dalla schiavitù egiziana; 2. la parola aramaica “Rekanaya/vuoto”, usata da Onkelos (II secolo E.V.) per tradurre la parola “Bohu/nulla”, si baserebbe sulle parole “Keli Rek/un utensile vuoto”, che il profeta Geremia usò per definire il re babilonese Nabucodonosor (Geremia 51:34); Onkelos sembra affermare dunque che la parola “Bohu/nulla” nasconda una sottile allusione all’esilio babilonese.
La Torà parla poi dell’oscurità che riempiva tutta l’esistenza e Rabbì Chayym interpreta queste tenebre come un riferimento all’attuale esilio, che dura oramai da millenni.
Il nostro esilio è per definizione “oscuro” sia a causa delle sofferenze che il nostro popolo ha patito per mano di nazioni ostili sia a causa delle lusinghe e le tentazioni dello “Yetzer Ha’ra/l’inclinazione al male”. L’inclinazione al male, sempre presente e pressante, ci rende particolarmente difficile l’essere fedeli allo studio della Torà e all’osservanza dei suoi precetti.
Tuttavia, la Torà lancia al tempo stesso un messaggio di speranza: il Creatore dichiara che la luce avrebbe diradato l’oscurità.
Nel suo commento, Rabbì Chayym scrive che non importa se e quanto le tenebre avvolgeranno il nostro esilio, non importa quanto siano difficili le prove da superare, alla fine il Creatore proclamerà “Yehi Or/Luce sarà”, l’oscurità lascerà il posto alla luce splendente della redenzione.
Quando ci guardiamo intorno e consideriamo il nostro tempo, potremmo sentirci scoraggiati e cadere nella disperazione, specialmente se pensiamo che l’oscurità descritta da Rabbì Chayym si è ulteriormente intensificata nel corso dei quasi 250 anni passati da quando scrisse queste parole.
È altrettanto vero che, anche se non affrontassimo lo stesso tipo di persecuzioni e sofferenze subite in passato a causa di nazioni ostili, l’oscurità provocata dall’inclinazione al male sta sempre lì ed è molto più fitta e cupa che mai. La tecnologia moderna gli ha conferito un potere che i nostri antenati non avrebbero mai immaginato potesse avere. Tante anime preziose sono cadute in questa trappola e, da questo punto di vista, il nostro esilio è più oscuro ora di quanto non lo sia mai stato.
Ecco che all’inizio del ciclo della lettura della Torà che celebreremo questo sabato, le parole di Rabbì Chayym sono fondamentali per darci l’incoraggiamento e l’ottimismo, di cui abbiamo bisogno, per evitare la disperazione e avere un nuovo “Principio”. Rabbì Chayym ci insegna che se l’oscurità dovesse riempire tutta la terra, Dio porterà la Sua grande luce. Il Signore ci solleverà da tutte le difficoltà e ci sosterrà nelle lotte che dovremo affrontare; creerà un mondo nuovo in cui potremo finalmente servirLo fedelmente come siamo destinati a fare, Shabbat Shalom!
