Questo sabato inizieremo a leggere il quarto libro della Torà chiamato Bemidbar/nel deserto. Il nome del libro è rappresentativo del suo contenuto: il peregrinare dei figli d’Israele nel deserto per quarant’anni. Bemidbar è il libro che per eccellenza rappresenta lo scontro tra luce e oscurità, che rivela ad un attento lettore, le conseguenze negative portate da scelte di vita e comportamenti che ci pongono all’opposto di quello che la Torà insegna.
E’ forse per questo che il termine Bemidbar, al tempo stesso, abbia anche il significato di “capacità di comunicare”.
La parola/dibur, è la peculiarità che per responsabilità e doveri, e non per dominio e diritti, ci rende più simili al Creatore.
Per questo, quando usiamo scorrettamente le parole, per gli interessi dei pochi, per giovamento personale che provoca sofferenze al prossimo del quale ce ne freghiamo altamente, o anche per lo spreco di parole che non creano ma distruggono, dal “דיבור/D I B U R/ parola”, volano via le lettere yod י (i) e waw ו (u). Queste sono due delle quattro lettere del Nome di D-o usato per compensare, con la misericordia, l’attributo del rigore con cui era iniziata la creazione dell’universo.
E quando scompaiono, quale parola rimane?
Resta “דבר/DeVeR/pestilenza”.
Forse non è per puro caso che Shavuot, tempo del dono della Torà concesso al popolo ebraico e rievocato con la lettura degli Aseret hadibberot/le dieci parole, cada sempre nella settimana in cui iniziamo la lettura di questo libro.
Un invito per tutti ad assumere la giusta capacità dell’uso della parola pronunciata e, soprattutto in epoca “social”, scritta.
Yom Yerushalaim sameach e Shabbat Shalom!