Tra due giorni sarà la festa di Shavuot. Quasi tutti gli anni la Parashà di Bamidbar cade lo Shabbat che precede Shavuot. È come presentarsi a un appuntamento un po’ prima e avere un po’ di tempo per prepararsi per Zeman Matan Toratenu, il “Tempo del Dono della Nostra Torà”. Per comprendere meglio questo concetto, è opportuno ricordare a cosa stiamo lavorando da Pesach. Come spiega il Leshem, la Redenzione Finale inizierà a Pesach e terminerà a Shavuot. La Sefirat haOmer, che inizia la seconda notte di Pesach, collega le due festività per permetterci di completare a Shavuot ciò che abbiamo iniziato a Pesach Non è una coincidenza che il conteggio dell’Omer sia diviso in due periodi, quello che precede Lag baOmer e quello successivo. Molti sostengono che gli studenti di Rabbi Akiva siano morti solo durante i primi 32 giorni di questo periodo, mentre altri concludono che abbiano continuato a morire fino a poco prima di Shavuot. Tuttavia, non è difficile concordare sul fatto che Lag baOmer sia un giorno unico e che cada, come indica chiaramente il nome, il 33° giorno del conteggio dell’Omer. Ciò significa che ci sono 32 giorni prima di Lag baOmer e 17 giorni dopo. Questi due numeri possono avere la loro importanza, in quanto la ghematria della parola “lev”, o “cuore”, è 32, e la gematria della parola “tov”, che significa “buono”, è 17. È come dire che i primi 32 giorni del conteggio dell’Omer servono a darci un “cuore”, e gli ultimi 17 giorni servono ad assicurarci che diventi buono, spiritualmente parlando. Sembra essere una bella spiegazione, ma è importante? Secondo quanto segue, questa spiegazione riveste una certa importanza.
Nella Mishnà di Avot impariamo: Egli [Rabban Yochanan] disse loro [ai suoi studenti]: “Andate e vedete qual è la buona via a cui una persona dovrebbe attenersi”. Rabbi Eliezer disse: “[Avere] un buon occhio”. Rabbi Yehoshua disse: “[Essere] un buon amico”. Rabbi Yosse disse: “[Essere] un buon vicino”. Rabbi Shim’on disse: “[Essere] uno che considera le conseguenze”. Rabbi Elazar disse: “[Avere] un buon cuore”. Disse loro [Rabban Yochanan]: “Preferisco le parole di Elazar ben Arach alle vostre, perché nelle sue parole sono incluse le vostre parole”. (Pirke Avot 2:13.). Dalla lettura di questa Mishnà, scaturiscono due domande: cos’è un cuore spiritualmente buono e come si può conseguirlo?
Per quanto ovvia possa sembrare la risposta, non è poi così ovvio. Mentre nella Parashà di Noach impariamo, come sottolinea Rashi, che la rettitudine è relativa, dall’opera cabalistica Sha’ar haGhilgulim apprendiamo che l’anima di una persona può impedirle di essere retta, almeno in apparenza per coloro che la circondano. Sarebbe utile capire cosa significhi essere retti. Se dovessimo porre la domanda a miliardi di persone e chiedere loro una definizione di persona retta, la maggior parte delle risposte si sovrapporrebbe. Se raccogliessimo le risposte più importanti, probabilmente si ridurrebbero ad un principio fondamentale che è in realtà la chiave di Lag baOmer.
Nel corso di migliaia di anni di storia, l’umanità ha tentato diversi metodi per raggiungere l’unità, con scarso o nessun successo. Qualunque unità fosse stata raggiunta, era solitamente di breve durata e alla fine si disintegrava in una guerra che portava una pace peggiore rispetto a quella esistente prima del conflitto. A spiegarci il motivo per cui questo succede, dobbiamo tornare alla Mishnà di Avot: “Qualsiasi amore che dipenda da qualcosa, quando il “qualcosa” cessa, l’amore cessa. Qualsiasi amore che non dipenda da qualcosa non cesserà mai. (Pirke Avot 5:19). Un caso emblematico è insito nella società stessa in cui viviamo. C’è un motivo per cui le forze di polizia devono mantenere la pace anche nei paesi civili e per cui, quando c’è un crollo nelle garanzie delle norme e dell’ordine, molti cittadini infrangono la legge. A quanto pare il “bene comune” non è così comune come la gente vorrebbe che fosse, ed è per questo che spesso persino i leader stessi vengono colti a violare le regole a proprio vantaggio. C’è stato un momento nella storia, probabilmente l’unico mai avvenuto, in cui la vera achdut (unità) è stato raggiunta.
Migliaia di anni fa, quando il popolo ebraico si trovava ai piedi del Monte Sinai per ricevere la Torà, leggiamo nel versetto: “Partirono da Refidim e giunsero al deserto del Sinai, e si accamparono nel deserto; si accamparono (il verbo è al singolare, si accampò) di fronte al monte”. (Shemot 19:2) Si accampò di fronte al monte: keish echad, belev echad – come una persona sola con un cuore solo. (Rashi). L’esperienza di D-o ha trasformato tutti sul Monte Sinai, persino l’Erev Rav, la moltitudine al seguito del popolo ebraico, almeno per il momento, dando vita a un’unità umana senza precedenti. Molte persone hanno probabilmente sperimentato questo fenomeno in scala minore, nel momento in cui qualcuno riconosciuto come una grande personalità e molto rispettato entra in una stanza. All’improvviso centinaia di persone ammutoliscono, in soggezione di fronte a tale presenza. Per un attimo tutti diventano uniti, nonostante la loro diversità, in un unico scopo che permette di diventare keish echad belev echad, raggiungendo, seppur temporaneamente, il livello di “cuori buoni”.
Il Maharal spiega questo concetto in modo simile. Nel suo libro, Netivot Olam, affronta ciò che una persona deve fare se vuole non solo imparare la Torà, ma anche “mantenere” ciò che ha imparato, spiegando dettagliatamente come corpo e mente siano in perenne conflitto tra loro e come l’impatto che ha la scelta di uno influenza l’altro. Il corpo, infatti, ama il comfort fisico ed è disposto a sacrificare la grandezza spirituale per raggiungerlo. La mente, d’altra parte, il regno a cui appartiene lo studio della Torà, è perfettamente preparata a sacrificare tali comodità fisiche per perseguire una comprensione più ampia e profonda dello studio della Torà e una maggiore vicinanza a D-o. Il Maharal, quindi, spiega che la misura in cui una persona è disposta a sacrificare le comodità fisiche della vita è la misura in cui la Torà entrerà e rimarrà in lei. Non è un caso che chi nutre il corpo e “affama” l’anima tenda ad avere difficoltà a essere altruista e che chi “affama” il corpo, rinunciando a molte delle comodità, e nutre l’anima abbia difficoltà a essere egoista, il cui risultato, ovviamente, è un “buon cuore”.
Il Talmud ci insegna: Rav Yosef disse a Rava: “Spiegami il versetto: ‘Da Midbar a Matanà, e da Matanà a Nachaliel, e da Nachaliel a Bamot'” (Bamidbar 21:19). Rava gli rispose: “Quando una persona si rende senza padrone per nessuno, come un midbar, il deserto, la Torà gli viene data come una matanà, un dono. Quando riceve il dono della Torà, questa diventa come una nachalà, un’eredità, per lui. Una volta che è come un’eredità per lui, egli si eleva a bamot, riesce a raggiungere una posizione elevata”. (Nedarim 55a)
Quello che sembra essere quindi una mera lista di luoghi rappresenta in effetti un elevamento spirituale. Questo insegnamento è il punto di partenza per raggiungere il livello di un “buon cuore” auspicato nella Mishnà nei Pirke Avot. Per raggiungere questo livello così elevato è necessario diventare come un midbar, come un deserto, come qualcuno che si preoccupa più per gli altri che per se stesso. Si tratta solo del primo livello che ci permette di raggiungere il livello spiritualmente più alto. Per raggiungere questi livelli è necessario impegnarsi nella Torà e nelle mitvot ma, come insegna quanto accaduto agli allievi di Rabbi Akiva, questo non è sufficiente se non accompagnato da atti di chesed e di tzedaka che, uniti alle nostre capacità personali, ci permettono di diventare la versione migliore di noi stessi e di ispirare il prossimo a fare altrettanto.