Uno degli argomenti della Parashà di Behaalotekhà è la Menorà. Come Moshe Rabbenu disse a suo fratello, Aharon haKohen, la sua mitzvà, quella dell’accensione della Menorà sarebbe stata più grande di quella dei Nesi’im (dei capi tribù) con i loro sacrifici. Questo è il famoso commento di Rashi. Il Ramban ha un’interpretazione diversa su questa forma di consolazione. La mitzvà di accendere la Menorà non era di grande conforto per essere stati esclusi dalle offerte di inaugurazione, dato che qualsiasi Kohen poteva accenderla. Invece, dice il Ramban, la Menorà era un’allusione a quando i Kohanim, diverso tempo dopo, avrebbero eroicamente ridedicato l’Altare al tempo dei Chashmonaim, a Chanukkà.
Potrebbe esserci anche un’altra spiegazione, basata sulle origini stesse della tribù di Levi che potrebbe al contempo fornire una spiegazione per un’altra questione relativa alla nascita di Moshe, basata sul seguente versetto: Un uomo della casa di Levi andò e sposò una figlia di Levi. (Shemot 2:1). Questo versetto si riferisce, in base ad un famoso commento, ad Amram e Yocheved, subito dopo che Miriam convinse suo padre a risposare sua madre. Il Faraone, sosteneva, aveva decretato la morte solo per i nati maschi. Amram, costringendo tutti gli uomini ebrei a divorziare dalle mogli e a non avere figli, ampliava il decreto del Faraone sia ai maschi che alle femmine. La domanda è: perché nel versetto non vengono menzionati i nomi.
Un indizio per fornire la risposta si trova nella Parashà di Ki Tisà: Moshè si fermò alla porta dell’accampamento e disse: “Chiunque è per D-o, [venga] da me!” Tutti i Leviti si radunarono intorno a lui. Disse loro: «D-o, il D-o d’Israele, ha detto: “Ognuno si metta la spada al fianco e passi da una porta all’altra dell’accampamento, e ognuno uccida il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente”. I Leviti fecero come aveva detto Moshè… (Shemot 32:26-28). Il peccato del vitello d’oro rese necessaria la morte dei suoi fautori. Moshè si rivolse al popolo perché lo aiutasse in quel compito spiacevole, e gli unici a rispondere furono i Leviti. Questi erano gli unici disposti a compiere la giustizia divina per conto di D-o. A prescindere da valutazioni che lasciano il tempo che trovano alla luce della mentalità odierna, si tratta di una cosa buona? Sembra quasi emergere che i Leviti fossero assetati di sangue, e questa era la loro occasione per togliere delle vite con l’approvazione divina. Non sembra esserci nulla di eroico
Per rispondere a questa domanda ci dobbiamo basare sul seguente versetto: [Lea] concepì di nuovo e partorì un figlio, e disse: “Questa volta mio marito mi sarà affezionato (ielavè ishì elay), perché gli ho partorito tre figli”. Perciò lo chiamò “Levi” (Bereshit 29:24). È importante notare che a quel tempo i nomi erano più di un semplice modo per riferirsi a un’altra persona. Erano in realtà una descrizione della natura della persona stessa, evidente dal modo in cui al nome segue la sua spiegazione. “Levi” deriva da una parola che significa accompagnare, rendendolo un nome “di relazione”. In altre parole, era antitetico alla natura di Levi voler uccidere qualcuno. Questo è il motivo per cui i leviti sono così lodati per aver compiuto quell’atto. L’unica ragione per cui furono in grado di compierlo, e con zelo, fu perché il non fare la volontà di D-o era ancora più antitetico rispetto alla loro natura.
La tribù di Levi, quindi, si abbandona completamente alla volontà di D-o. Ciò che desidera personalmente è completamente secondario rispetto a ciò che D-o desidera. Quando un membro della tribù di Levi compie una mitzvà, lascia fuori dall’equazione il suo desiderio personale. La Torà, pertanto, riferendosi ad Amram e Yocheved attraverso la loro tribù di provenienza e non con i loro nomi personali, indica che agirono in completa abnegazione con la volontà di D-o. Non c’era nulla di loro stessi in ciò che fecero, anche se avrebbe potuto facilmente essere così. La separazione tra Amram e Yocheved non aveva nulla a che fare con una disaffezione o con problemi personali, ma era un tentativo di provare ad annullare il decreto del Faraone smettendo di dare alla luce bambini condannati a morte prima ancora di nascere. Trovare una buona ragione per sposarsi nuovamente, oltre a fare la vera volontà di D-o, avrebbe suscitato nuovamente sentimenti personali. Il versetto non sostiene che non fossero entusiasti di risposarsi. Dice che, anche se lo fossero stati, non l’avrebbero fatto, se non fosse stato nel migliore interesse di D-o. Un approccio tipico della tribù di Levi.
Nell’elencare i doni dell’inaugurazione dell’Altare, la Torà non menziona solo il nome della tribù, ma anche quello del suo capo tribù. È come se questo nome rappresentasse un elemento cruciale dell’equazione, senza il quale la nostra comprensione di ciò che accadde sarebbe limitata. In effetti, questa informazione viene analizzata a fondo dai Chachamim che sostengono che, anche se c’era qualcosa di personale nelle offerte portate per l’inaugurazione dell’Altare, queste offerte, in questo caso, erano volute fortemente da D-o stesso perché era un elemento necessario per rendere completa l’inaugurazione. Proprio come la luce bianca cessa di essere bianca se un colore dello spettro viene filtrato, allo stesso modo l’inaugurazione era completa solo se tutti i 12 elementi che componevano il popolo ebraico si univano a formare un tutt’uno.
Tutti i componenti del popolo ebraico, tranne la tribù di Levi. Non è mai stato il compito dei membri di questa tribù fornire uno di quegli elementi perché quel tipo di coinvolgimento personale non è nella loro essenza in questo mondo. Come suggerisce il suo stesso nome, Levi ha il compito di unire, non quello di essere legato ad altri In futuro, la tribù di Levi costituirà la tredicesima tribù, il cui significato, seguendo la ghematria, il valore numerico del numero, fornisce la parola “echad”, che significa “uno”. Questo è ciò che Moshè Rabbenu disse a suo fratello in relazione alla mitzvà dell’accensione delle Menorà.
Aharon haKohen, a nome della sua tribù, si era sentito escluso, e si potrebbe dire che aveva pensato che l’esclusione dalla mitzvà di portare le offerte per l’inaugurazione dell’Altare fosse la conseguenza del suo coinvolgimento nel peccato del vitello d’oro. Moshè Rabbenu gli disse che il motivo di questa supposta esclusione era che aveva qualcosa di più grande da fare. Era qualcosa che solo i Levi’im potevano realizzare grazie alle caratteristiche che li contraddistinguevano.
Queste caratteristiche sono simboleggiate dalla Menorà, come commenta Rashi, caratteristiche rivelate pienamente al tempo dei Chashmonaim, come spiega il Ramban. Fu anche un profondo senso di conforto per Aharon haKohen, il vero rappresentante di ciò che significa donarsi per un bene superiore.
Non è un caso che la Menorà sia il vero simbolo del popolo ebraico. Si tratta di un invito tangibile e visibile a cercare di imitare i Levi’im. Superare la nostra natura, fare la volontà di D-o attraverso l’osservare le mitzvot, essere un legame, una parte della catena del popolo ebraico, creare continuità. Questo è possibile mettendo in pratica quanto scritto nei Pirké Avot: “Yehudà ben Tema dice: Siate arditi come il leopardo, leggeri come l’aquila, veloci come il cervo e potenti come il leone per fare la volontà del vostro Padre Celeste” (Avot 5:22) che come commenta Rabbenu Ovadya da Bertinoro significa: “Siate arditi come il leopardo” – cioè non vergognatevi di chiedere al vostro Rabbino ciò che non avete capito, analogamente a quanto abbiamo imparato prima: “una persona timida non può imparare” (Avot 2). Siate “leggeri come l’aquila” – per ripassare i vostri studi e non stancarvi, come è scritto: “si alzeranno con ali come aquile; [correranno e non si affaticheranno]” (Yeshayà 40:31). Siate “veloci come il cervo” – per osservare le mitzvot. e “potenti come il leone” – per vincere la vostra inclinazione al male [dalla tentazione].