I maestri della mishnà ci insegnano in una grande massima, che deve farci riflettere a lungo:
“Lo alekha ha melakhà ligmor ve lo attà ben chorin lehibattel mimmenna – Non è dato a te di completare l’opera, né hai la libertà di renderti esente dal farla” (avot 2).
“Behaalokhà et ha nerot el mul pené ha menorah – Nel tuo far salire i lumi davanti alla menorah”
La nostra parashà inizia con la mizvà comandata ad Aharon (e quindi al Sommo Sacerdote nei tempi successivi) di preparare l’accensione della menorah, ogni giorno.
In realtà la Torà non parla di accendere la menorah, bensì di pulirla di giorno in giorno, e disporne la sua accensione.
La menorah, come altri oggetti del Bet ha Mikdash erano considerati kodesh ha kodashim e quindi potevano essere a contatto solamente con il Cohen gadol, il quale aveva la condizione di massima purità.
Paradossalmente, se dopo averla preparata, il Sommo Sacerdote l’avesse portata nel recinto permesso a tutti gli ebrei, la menorah sarebbe potuta essere accesa da chiunque.
Questo significa che ognuno di noi, a seconda del suo incarico all’interno di una società, ha una collocazione ben precisa; questo però non significa che qualcun altro non possa completare un’opera iniziata da chi viene prima.
Noi abbiamo il dovere di predisporre il nostro lavoro: un lavoro per cui siamo specializzati, a beneficio di chi viene dopo di noi; però questo non deve darci la presunzione di considerarci immortali o unici nella nostra missione, pensando di esimerci dal dovere assegnatoci.
Abbiamo il dovere di insegnare e trasmettere le nostre virtù a chi viene dopo di noi, con modestia e umiltà, insegnando anche però, a rispettare i ruoli.
Shabbat shalom