POLEMICA Mentre si ripubblica l’ autobiografia spirituale «Vocazione», nasce un caso sul suo «integralismo religioso»
Dario Fertilio
«Libertà». Ripete tre volte la parola, don Gianni Baget Bozzo, fra cori e slogan berlusconiani, seduto nel bel mezzo del consiglio nazionale di Forza Italia. Libertà per giustificare il suo nomadismo politico, dalla destra dc al Psi di Craxi, fino a re Silvio. Libertà per spiegare il suo atteggiamento «anticonvenzionale» nei confronti degli ebrei. E invoca la libertà, anche, per esprimere le sue critiche radicali nei confronti della religione e della cultura islamica. Il fatto è che un giovane storico di sinistra, Simon Levis Sullam, gli ha dedicato sull’ ultimo numero della rivista Belfagor un ritratto velenoso, in cui quelli elencati sono appunto capi d’ imputazione. Molto ideologica appare la disputa, e destinati a non comprendersi i due protagonisti. Tanto politico, infatti, il linguaggio dell’ accusa, quanto profetico e suggestivo quello dell’ accusato. E c’ è una punta estrema di incomprensione là dove – secondo Belfagor – Baget Bozzo arriverebbe a «inserire l’ Olocausto in un disegno provvidenziale».
D’ altra parte, Levis Sullam è puntigliosamente documentato sulla carriera intellettuale, religiosa, mistica e politica del suo bersaglio, che pizzica implacabilmente passo dopo passo, dalle giovanili intemperanze tambroniane alle prese di posizioni anti Concilio, fino alle «illuminazioni» che lo hanno portato a sfidare persino le autorità religiose pur di non far mancare il suo appoggio prima a Craxi, poi a Berlusconi. Fra tutte, comunque, una delle accuse ha un suono particolarmente sinistro: «antigiudaismo». Per di più c’ è un libro fresco di stampa, Vocazione, che Lindau ha appena ripubblicato a ventiquattro anni dalla prima uscita per Rizzoli, che sembra fatto apposta per surriscaldare gli animi. L’ autore, don Gianni, nella nuova prefazione rivendica orgogliosamente tutte le scelte trascorse, inclusa quella che, tanti anni fa, lo portò a occuparsi di Israele. Ed è proprio questo che Simon Levis Sullam non gli perdona, rievocando quel 6 giugno 1967 in cui, durante la guerra dei Sei Giorni, i soldati di Moshe Dayan entrarono a Gerusalemme. Ebbene, quello stesso giorno il giovane sacerdote fu colpito da un grave lutto: più che una coincidenza, un segno capace di influenzare le sue emozioni e meditazioni. C’ è una frase, secondo Levis Sullam, che rivelerebbe la nascita della sua «acrimonia verso il mondo ebraico». Eccola, testualmente: «Nel medesimo giorno della morte di mia madre gli israeliani entravano in Gerusalemme. Mi apparve questo evento un segno ancor più grande. Gerusalemme non era più calpestata dalle nazioni, erano compiuti i tempi delle nazioni». Da qui, a considerare con angoscia il «problema ebraico», secondo Levis Sullam, il passo è stato breve: presto Baget Bozzo si è convinto che esso «dominasse il mondo», anche perché «ha dato una nuova coscienza al mondo arabo, ha provocato l’ Islam, divide l’ Europa dagli Stati Uniti». Per cui «Gerusalemme è ora, come mai nella sua storia, al centro del mondo. E ciò avviene nella forma del conflitto». Parole, come si vede, interpretabili in modi differenti, ma coerenti in fondo con il tono a volte mistico e profetico, se non addirittura sibillino, utilizzato da don Gianni. Per questo il suo critico si preoccupa di ritrovare il filo nero dell’ antigiudaismo attraverso tutta la sua biografia; da quando ad esempio, ancora nel 1960, sulla rivista Ordine civile si augurava: «Il Signore converta in luce del mondo la cecità di Israele». Ma se Ordine civile era schierata a destra, a sostegno del governo Tambroni e addirittura volta a smitizzare la Resistenza negando la natura totalitaria del fascismo, pochi anni più tardi ecco don Gianni ospite del Manifesto, intento ad esprimere concetti «antigiudaici» non meno eterodossi, quali ad esempio l’ idea della «lunga erranza dell’ ebreo» da intendersi come «un segno sacro».
Ed ecco l’ inevitabile sviluppo anticonciliare e «reazionario» di Baget Bozzo, parallelamente alle sue varie trasmigrazioni politiche, ecco «lo stesso destino di sofferenza del popolo ebraico» trasformarsi in «un segno della Provvidenza», al punto da spingere Levis Sullam a formulare la sua pensatissima accusa relativa alla «provvidenzialità» dell’ Olocausto. Che risponde don Gianni a questo fuoco di fila? Negando tutto, decisamente, in nome della libertà. Nessun antigiudaismo, perché «augurarsi la conversione al cristianesimo di Israele è solo una forma di libertà dello spirito». Nessun odio della religione musulmana, anche se le critiche alla volontà di «distruggere ciò che non è islam» non intende certo ritrattarle. E non parliamo delle scelte politiche, orgogliosamente rivendicate già con la presenza fra il «popolo azzurro» che plaude a Berlusconi. «Trasformismo? È una parola che si può applicare in qualsiasi momento a chiunque scelga di restare un uomo libero», afferma. È pronto insomma a difendere il percorso di una vita, tappa dopo tappa, benché Belfagor glielo rinfacci: la partecipazione alla lotta partigiana, la venerazione per il cardinale Siri, la vicinanza al cattolicesimo di sinistra dossettiano, poi l’ ascolto della «suprema voce dell’ umanità» nei militanti di Salò. E ancora, le letture appassionate di Tommaso e Agostino, l’ entusiasmo per Maritain e Del Noce, nonché la simpatia per il Maurras della Action Française. Non manca neppure la santa di Lisieux, la mistica Teresa, la cui Storia di un’ anima gli ispirò l’ idea di affidare le sue memorie a un’ autobiografia. Ma è lo Zarathustra di Nietzsche, una passione obiettivamente eccentrica per un sacerdote, che spinge il suo critico a rinfacciargli polemicamente un «eterno ritorno», alquanto trasformistico, lungo l’ anello della cultura politica italiana. Ma lui, c’ è da giurarlo, non si scomporrà per così poco.
Dalla Dc a Silvio
Gianni Baget Bozzo, 78 anni, è sacerdote, teologo, politologo e giornalista. Passato attraverso diverse esperienze culturali e politiche, dalla Democrazia cristiana dell’ immediato dopoguerra al Psi di Bettino Craxi, oggi viene considerato l’ ideologo di Forza Italia. Scrive abitualmente su Panorama e Il Giornale, dopo aver collaborato a lungo con Repubblica. Lindau ha da poco ripubblicato Vocazione. Mistica e libertà, la storia della sua vocazione edita da Rizzoli nel 1982.
Corriere della Sera sabato, 5 febbraio, 2005