Tratto da “Erich Fromm – Avere o Essere?”, Arnoldo Mondadori Editore 1977
3. Avere ed essere nell’Antico e nel Nuovo Testamento e nelle opere di Maestro Eckhart
… In rapporto con la raccolta del cibo, viene introdotto il concetto dell’osservanza dello “Shabbat” (Sabato). Mosé ordina agli ebrei di raccogliere due volte il quantitativo solito di cibo il giorno precedente il Sabato: «Raccoglietene durante sei giorni; ma il settimo giorno è Sabato; in quel giorno non ve ne sarà» (“Esodo”, sedicesimo, 26).
Quello dello “Shabbat” è il concetto di maggior momento della Bibbia e del tardo giudaismo. Costituisce l’unico comandamento esclusivamente religioso contenuto nella tavola delle leggi: sulla sua osservanza insistono i profeti, per tutto il resto irrispettosi del rituale; e fu un comandamento rigidissimamente obbedito durante i duemila anni della Diaspora, per quanto arduo e difficile riuscisse a volte osservarlo. Impossibile dubitare che lo “Shabbat” fosse la sorgente di vita per gli ebrei i quali, dispersi, inermi, spesso disprezzati e perseguitati, rinnovavano il proprio orgoglio e la propria dignità allorché celebravano lo “Shabbat” a guisa di sovrani. Si tratta dunque di null’altro che un giorno di riposo nell’accezione mondana del termine, nel senso cioè che, almeno per una giornata, si è liberati dal gravame del lavoro? Certo, è anche questo, ed è una funzione che conferisce allo “Shabbat” la dignità di una delle grandi innovazioni nel corso del divenire umano.
Ma, se tutto si riducesse a questo, lo “Shabbat” ben difficilmente avrebbe avuto quel ruolo centrale che ho testé indicato. Per comprenderlo, è opportuno penetrare nel cuore dell’istituzione dello “Shabbat”. Non si tratta di riposo in sé e per sé, cioè di una giornata in cui non si debbono compiere sforzi, né fisici né mentali, bensì di riposo nel senso del ristabilimento della completa armonia tra gli esseri umani e tra questi e la natura. Nulla deve essere distrutto, nulla costruito: lo “Shabbat” è un giorno di tregua nella lotta che l’umanità conduce col mondo. Non devono neppure aver luogo mutamenti sociali. Persino strappare un filo d’erba è considerato una trasgressione a quest’armonia, come lo è accendere un fiammifero. E’ per tale motivo che è proibito portare alcunché per la strada (anche se pesa non più di un fazzoletto), mentre è permesso trasportare un carico pesante nel proprio giardino.
A essere fatto oggetto di interdizione non è dunque lo sforzo che si fa per spostare un carico, bensì il trasferimento di qualsivoglia oggetto da un appezzamento privato a un altro, perché un trasferimento del genere in origine equivaleva a un passaggio di proprietà.
Durante il Sabato si vive come se non si “avesse” nulla, senza perseguire altra meta che non sia quella di “essere”, vale a dire di dare espressione ai propri essenziali poteri: pregando, studiando, mangiando, bevendo, cantando, facendo l’amore. Il Sabato è un giorno di gioia perché durante esso si è pienamente se stessi, ed è per questo motivo che il “Talmud” definisce lo “Shabbat” l’anticipazione dei Tempi Messianici, i quali a loro volta non sono che un Sabato senza fine: il giorno in cui proprietà e denaro, al pari di lutto e tristezza, sono tabù; il giorno in cui il tempo è sconfitto e regna il puro essere. Il suo predecessore storico, lo “shaputu” babilonese, era una giornata di tristezza e paura; la moderna domenica è una giornata di allegria, consumo, fuga da se stessi. E vien fatto di chiedersi se non sia venuto il tempo di reintrodurre il sabato come giornata universale di armonia e pace, giornata dell’uomo che anticipa il futuro umano.