In ricordo e le’illui nishmatà di Miriam bat Laoma z.l. mia madre, la mia Torà è tutta merito suo.
Ha detto rabbi Yosè, figlio di rabbi Yehudà: per merito di Miriam fu dato un pozzo a Israele, e una volta morta Miriam, il pozzo sparì, come è detto: là morì Miriam, ma non c’era acqua per l’assemblea (Numeri 20:1 e 2; Ta’anit 9a). Da questo racconto deriva il motivo classico del “Pozzo di Miriam”, con l’acqua che gorgheggia e sale verso l’alto in maniera autonoma: un pozzo quindi in cui le acque si muovono trasgredendo la legge di gravità! La domanda è quale sia il significato simbolico di questa storia.
Nel ghetto di Varsavia nei giorni difficili dell’assedio nazista tedesco, Rabbi Kalonymus Kalman Szapiro, il rabbi di Piaseczno (1889 – 1943) cercava di consolare e insegnare Torà ai propri hassidim. Dopo la guerra, le sue lezioni furono scoperte e pubblicate con il titolo “Esh kodesh” (Fuoco sacro). Rav Kalonymus dedica all’analisi del Pozzo di Miriamla derashà sulla parashà di Chukkat (Giugno 1942): l’atmosfera era pesante e opprimente e tutti chiedevano aiuto per essere salvati, ma ciò non impedì al rabbino di scrivere questa derashà.
In questa atmosfera così terribile Rabbi Kalonymus riesce a trovare la concentrazione per occuparsi del pozzo di Miriam. Ecco le sue parole: (Esh kòdesh 183): “Una donna che per una sua scelta studia Torà e osserva quelle mizvot, che non è tenuta a osservare, diventa una Zadeket, cioè una donna giusta, perché osserva delle mizvoth che non ha l’obbligo di fare . … Questo contrasta con quanto dichiara Rabbi Chaninà (Kiddushin 31a) “Gadòl metzuvè ve’osè mimi shenò metzuvè ve’osè. Colui che fa una mizvà in quanto ha ricevuto l’ordine di farla è più grande di colui che compie una mizvà senza averne l’obbligo”. Per un bambino è istintivo rifiutarsi di obbedire a un ordine: in questo senso è considerato “grande”, cioè superiore, chi riesce a compiere un’azione, vincendo l’istinto naturale di non volere obbedire a un ordine.
Vi sono due atteggiamenti alternativi: uno – quello maschile – riferito alle mizvoth che vengono dal cielo; l’altro – quello femminile – che segue l‘approccio di Miriam, come descritto da Rabbi Kalonymus: la pioggia che scende dall’alto rappresenta le mizvoth che si è obbligati a fare; l’acqua che viene dal pozzo, cioè dalla terra, deriva da una decisione autonoma e da un atto di amore e non da un atto di obbedienza. “Una donna che studia Torà e osserva le mizvot diventa zadèket (giusta) e questo per una decisione autonoma che è una sua decisione personale”. Il pozzo di Miriam rappresenta l’autonomia umana, e in particolare la donna che mette in pratica anche quelle mizvoth che non ha alcun obbligo di osservare.
Le acque di sopra e le acque di sotto…
Per capire il significato completo di questa affermazione, bisogna fare uso del simbolo kabbalistico delle acque femminili (maim nokvìn) e acque maschili (maim dukhrìn). Nel racconto della creazione è scritto che Dio divise “tra acque e acque… tra le acque che si trovano sotto la distesa e le acque che si trovano al di sopra della distesa” (Genesi 1, 6 e 7). Secondo i Maestri e secondo la Kabbalà, come conseguenza di questa divisione le acque non rimasero neutrali, ma acquisirono una sessualità esattamente come l’essere umano. L’ebraismo considera positivamente la sessualità e l’erotismo, ma nega valore alla pornografia. Le acque femminili rappresentano la sessualità femminile che solo all’apparenza è passiva, in quanto la sessualità maschile viene risvegliata proprio in risposta a quella femminile. La sessualità femminile rappresenta l’amore che genera amore e questa viene espressa nel linguaggio dei kabbalisti con l’espressione “elevazione delle acque femminili”.
Si capisce quindi il valore simbolico dell’acqua: la rivelazione – il flusso proveniente dall’alto – è considerato “risveglio dall’alto” (Hit’arutà dele’el), ma questo non può rivelarsi se non c’è anche un risveglio dal basso (Hit’arutà diltatà), cioè la volontà di ricevere il flusso proveniente dal Cielo. Il Mondo è stato creato da Dio, ma il suo destino viene deciso dall’uomo e da un rapporto di interrelazione tra il principio maschile e quello femminile. Dal punto di vista delle sfere della Kabbalà si tratta di un rapporto tra la Sefirà di Tifèret (Gloria, maschile) e quella di Malkhut (regalità, femminile).
Queste Sefiròt rappresentano anche la Torà: Tifèret (la Torà scritta) e Malkhùt (la Torà orale): la prima è dovuta alla rivelazione dall’alto, la seconda al lavoro continuo dell’essere umano. In questo senso l’attività continua che fanno i Maestri può essere definita come una attività femminile: questo il significato del pozzo di Miriam, le cui acque salgono e irrompono dal basso verso l’alto. L’attività maschile è comandata dall’alto, mentre l’attività femminile rappresenta l’azione umana, l’attività autonoma per eccellenza. Le nuove interpretazioni della Torà e le nuove decisioni rappresentano la vera benedizione per l’uomo: senza queste non ”c’è acqua per l’Assemblea”.
Creata secondo la Sua volontà
Cerchiamo di vedere come le azioni di Miriam si inquadrano nel discorso appena fatto:
- Il padre ‘Amram aveva interrotto i rapporti coniugali con la madre nel timore che nascessero figli maschi destinati alla morte dal Faraone: Miriam convince il padre a riprendere i rapporti, perché così non sarebbero nate neanche le femmine: quindi a seguito di questa decisione nasce Mosè;
- Miriam segue la cesta in cui la madre aveva messo Mosè sulle rive del fiume e convince con coraggio la figlia del Faraone a chiamare una donna ebrea (la madre) ad allattare il bambino;
- Secondo la tradizione, assieme alla madre Yokheved, Miriam aiuta le donne a partorire, nonostante il decreto del Faraone;
- Miriam canta e invita le donne a cantare e ballare, ancora prima che Mosè inizi a cantare dopo l’apertura del Mar Rosso: è lei che trasmette entusiasmo a coloro che sono state schiave fino a sette giorni prima.
E se non ci fermiamo a Miriam e guardiamo ad altre donne, sono sempre loro che danno una svolta alla storia: le levatrici sono le uniche persone che si oppongono autonomamente all’editto del Faraone; Zipporà salva Mosè, facendo la circoncisione al figlio (Esodo 4, 23 – 26).
In una parola la redenzione dall’Egitto è stata possibile fin dall’inizio solo grazie all’intervento femminile dal basso.
Le donne (la profetessa Debora e Jael) sono le vere protagoniste della vittoria nella guerra per la conquista della Terra promessa, la più importante combattuta contro i Cananei guidati da Sisera;
Un tentativo di colpo di stato viene sventato, per merito della regina Ester che comunica al Re la “soffiata” di Mordechai e lo fa nome di Mordekhai: crea così le premesse per la salvezza: “Ester lo disse a nome di Mordekhai: chi riferisce una cosa a nome di chi l’ha detta, porta la redenzione nel Mondo”. Per non parlare di Ruth e del suo ruolo nella storia del Messia….
Ma se questa – e molte altre manifestazioni scritte nella Bibbia – danno una funzione così importante alla donna, perché nelle preghiere del mattino insistiamo ad affermare: Benedetto tu … che non mi hai fatto donna? Perché la donna la sostituisce con la frase: Benedetto … colui che mi ha fatto secondo la sua volontà?
Una risposta ampia a queste domande ci costringerebbe a un’analisi delle preghiere del mattino. Qui mi limiterò a dare una risposta insolita, rimandando il necessario approfondimento ad un’altra occasione.
La benedizione in questione fa parte delle prime benedizioni e preghiere del mattino:
Benedetto Tu .. che non mi hai creato schiavo, …. che non mi hai creato gentile (Goi), …. che non mi hai creato donna.
La creazione dell’uomo: una cosa utile e comoda?
Per capire perché queste benedizioni sono espresse in forma negativa dobbiamo tenere conto di una discussione avvenuta tra le due scuole più famose del Talmud: Bet Shammai e Bet Hillel.
Hanno insegnato i Maestri: la Scuola di Shammai e la scuola di Hillel hanno discusso per due anni e mezzo: gli uni dicevamo: per l’uomo sarebbe stato comodo (noach) non essere stato creato, piuttosto che essere stato creato; gli altri dicevano è più comodo che sia stato creato, piuttosto che non essere stato creato. Hanno fatto la conta (per vedere qual era la maggioranza) e hanno concluso: sarebbe stato più comodo se non fosse stato creato, ma ora che è stato creato indaghi sulle proprie azioni. (Eruvin 13b)
L’imprevedibile conclusione di questa discussione ci insegna quindi che in una benedizione, quale che sia l’argomento, non è permesso dichiarare con un’affermazione positiva che siamo stati creati. Dobbiamo quindi esprime il concetto nella forma negativa, cioè Benedetto …. che non mi hai creato. La formulazione di queste benedizioni (specie per quella riferita alla donna) contiene elementi che hanno spesso fatto gridare allo scandalo: Abraham Farissol (1451 Avignone – 1526 Ferrara) nel libro di preghiere destinato all’uso di una donna così trasforma la benedizione: Benedetto … che mi hai creato donna ma non uomo, lasciando comunque una negazione nella benedizione (non uomo).
Da questa formulazione emerge chiaramente che per esprimere la propria identità partiamo dal prendere coscienza e affermare chi non siamo. Nel corso della notte ogni persona vive in uno stato che in un certo senso è “comodo”, cioè privo di ogni responsabilità, e al risveglio torna a riassumersi tutte le proprie responsabilità, cosa che comprende tutti i doveri cui un ebreo deve attenersi ogni giorno. Come si giustifica tutto ciò con la benedizione She’asani kirztonò “che mi ha fatto secondo la sua volontà”, una benedizione che, a differenza delle altre, non viene citata nel Talmud (berakhot 60b, Menachot 43b) e neanche nel Mishnè Torà (Maimonide). Secondo il Tur (Orach Chayim 46) si tratta di un Minhag nashim, introdotto cioè dalle donne. Comunque oramai da secoli questa benedizione fa parte del libro di preghiere: non dobbiamo cercare delle giustificazioni per attualizzare questa benedizione, ma dobbiamo cercare di capire come è stata interpretata nel corso della storia. Due interpretazioni date da grandi Maestri di stampo completamente diverso: il Tur e Rav Avraham Izchak Kuk.
Un lamento o un grido di gioia
Il Tur la interpreta come una sorta di grido di disperazione, un grido per l’essere state escluse dall’osservanza obbligatoria di molte mitzvoth (quelle affermative che dipendono dal tempo): quindi sarebbe una sorta di lamento per l’essere state escluse dall’osservanza di precetti che comportano un’acquisizione di maggiori e di non minori responsabilità. Il Tur non spiega qual è il motivo per cui le donne vengono esentate da quelle mizvoth, ma è facile spiegare che questo dovrebbe dipendere dagli impegni collegati con gli impegni familiari che non lasciano alla donna il tempo di occuparsi di osservare le mizvoth nei tempi stabiliti dalla Torà. Comunque, secondo il Tur, l’essere esentati da certe mizvot, è considerato un male, una diminuzione. Secondo il Tur la donna non deve essere contenta di essere stata esentata dall’osservanza di determinate mizvot.
Rav Kuk (primo rabbino capo ashkenazita di Israel) dà una spiegazione completamente diversa. La benedizione che dice la donna è un ringraziamento per la parte positiva che ha avuto: questa benedizione non ha niente a che fare con il fatto che la donna sia esentata da determinate mizvot, lei dice una benedizione che la pone in maggior sintonia con la volontà divina (‘Olàt Reayà Vol. I, 71). L’uomo ringrazia come conquistatore, perché è tutto impegnato a conquistare il mondo materiale; a donna invece benedice per la sua aspirazione verso ciò che è divino in maniera molto più naturale dell’uomo perché ha lo sguardo rivolto all’infinito e verso il divino. La qualità fondamentale della donna rispetto all’uomo sta proprio in quello che è il luogo più importante per l’uomo religioso, cioè la vicinanza con il creatore.
Interpretazioni simili a quella di rav Kuk si trovano anche nel Midrash talmudico: l’uomo è stato creato dalla terra e quindi tende più alla materialità, la donna è più vicina all’origine divina, perché è stata formata da un “lato” (Tzèla’) dell’uomo, creato a immagine divina. Per questa sua origine più materiale è più facile sedurre un uomo piuttosto che una donna.
Possiamo dire che mentre il Tur pensa che la donna prende atto della situazione negativa in cui si trova, rav Kuk, sostiene che la donna debba benedire per il bene che ha ricevuto.
Entrambi non mettono in discussione quelli che sono lo status e i diritti della donna, ma lo status della donna di fronte a Dio come persona è diverso per il tipo di relazione che la donna è capace di instaurare con il Creatore. I maestri d’Israele sono d’accordo che ci sono diversità tra uomo e donna, ma sono ognuno secondo le sue tendenze e qualità.
Torniamo ora a Miriam e a quello che è stato il suo contributo specifico. Muore Miriam che è la sorella maggiore di Mosè e immediatamente viene a mancare l’acqua. Miriam era stata molto di più di una sorella maggiore: come abbiamo visto aveva salvato Mosè (la tradizione dice che aveva avuto una profezia in base alla quale il bambino che stava per nascere sarebbe diventato il salvatore di Israele e aveva condizionato il futuro di Israele.
La mancanza d’acqua dopo la morte di Miriam mette in difficoltà Mosè che perde la pazienza e perde anche il diritto di entrare in Terra d’Israele. La morte di Miriam ha così una influenza determinante sul futuro di Miriam e del popolo d’Israele.
A quando la Torà potrà sgorgare spontaneamente da ognuno, come dal pozzo di Miriam e potremo tutti avere il diritto di dire “Benedetto colui che ci ha fatto secondo la sua volontà”?
Scialom Bahbout
Kalonymus Kalman Szapiro (Shapiro) Maggio 1889 – Novembre 1943.Noto come il Rebbe di Piasetzna (a sud di Varsavia) sposato con Rochel Chaya Miryam HopstainHa scritto numerose opere e tra queste Esh Kodesh dove sono raccolte le sue derashot fatte nel Ghetto di Varsavia. Tra i suoi avi Rabbi Elimelech of Lizhensk, the Chozeh of Lublin and the Maggid of Kozhnitz.