Lucilla Noviello
E’ una raccolta di racconti l’ultimo libro di Shalom Auslander, A dio spiacendo, edito da Guanda. Un insieme di storie in cui il linguaggio di questo autore, molto maturo come artista – che noi leggiamo nella traduzione di Elettra Caporello – è piacevole, divertente, intelligente e soddisfacente come solo l’arte può esserlo. Trascorrendo il tempo insieme con questa sua opera – ma anche leggendo il precedente romanzo, Il lamento del prepuzio, edito in Italia sempre da Guanda – proviamo il sentimento piacevole e antico della compagnia. Non solo perché molto spesso uno dei suoi protagonisti è Dio – quello esigente, tiranno ed invadente della religione ebraica – ma soprattutto perché Auslander sa comunicare con noi provocando i nostri molteplici sensi. La sua scrittura ci coinvolge, sollecita il nostro pensiero; mette in uno stato di allerta la nostra sensibilità morale e quella fisica; provocandoci in una situazione che è insieme di allarme e di estasi.
L’autore stimola continuamente il nostro senso critico, ma non dà per scontata una cultura religiosa che molti di noi non possono avere. Quindi ci racconta – e ci svela, con la semplicità che solo chi conosce e sa perché ha interiorizzato il sapere, sia quello religioso sia quello di altro genere, può fare. Egli ci narra per esempio il difficile percorso di un bambino ebreo: ma lo fa al di là di ogni pietismo: anzi, con un’impietosa e palesemente comica ironia. Usando spesso – per farci ridere e capire – la bellezza della lingua. I racconti provocatori raccolti in questo libro – in cui la critica nasce tutta all’interno di una mentalità religiosa – risultano però provocatori per tutto il genere umano, compreso quello gnostico o semplicemente laico. Perché Auslander racconta gli affanni inutili di tutti noi: che sono sempre gli stessi, sia per quanto riguarda il sesso, sia per quanto riguarda il successo. I temi di Auslander non sono originali poiché è l’uomo a non esserlo: non sa proporre qualcosa di davvero differente a cui uno scrittore, un pensatore, possa rivolgere un accento poetico o una critica impietosa.
E’ invece il modo in cui Auslander affronta i temi semplici, a volte piccoli e quotidiani; altri così grandi che difficilmente possono essere risolti – come per esempio il rapporto con Jhwh, con la tradizione ebraica, il cibo permesso e concesso ecc. –trattati in modo originale, con un linguaggio che ci sorprende, ci fa il solletico, ci induce all’attenzione. Auslander è uno scrittore, usa la letteratura come mezzo, la produce lui stesso. Quando poi è una scimmia ad essere la protagonista di una storia, le similitudini divengono ancora più interessanti. Il primate comincia ad usare una parte della sua testa – una parte del cervello – che non sapeva di poter attivare: in principio è il dolore che gli fa percepire la novità del pensiero, poi è il desiderio di andare oltre ciò che è prevedibile, oltre il perimetro della gabbia. Pronunciando lui stesso il verbo, nominando le cose e quindi – in senso ontologico – creandole. Il primate si ribella e sembra fondare una specie a parte. Andando oltre l’ammissibile.
Ma scivolando nel ridicolo – del corpo e della mente – suo malgrado e fino alla morte. Finché qualcun altro non ci prova nuovamente: senza riuscire a superare la stupidità ma con una tenacia che è contemporaneamente fonte di speranza. Un sentimento questo che oltre che ad essere protensione verso l’alto – verso dio o il misticismo in genere – è anche qualcosa di molto terreno: relativo, perciò, ma importante perché segno dell’esistenza di un possibile nostro futuro.
Shalom Auslander, A dio spiacendo, Guanda editore. Pagg. 178. Euro 15,00
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