L’assalto di oggi a Gerusalemme segna un drammatico precedente per lo Stato ebraico
Per quanto possa apparire strano agli occhi di un europeo, abituato alle costanti misure di sicurezza che circondano i luoghi di preghiera ebraici nelle città del Vecchio Continente, le sinagoghe sono tra i luoghi pubblici meno protetti all’interno di Israele. E mai, nella storia dello Stato ebraico, il terrorismo palestinese aveva colpito i fedeli riuniti all’interno di un luogo di culto. Per questo, l’attacco di stamani alla sinagoga Kehilat Yaakov nel quartiere di Har Nof di Gerusalemme, che ha provocato quattro morti e otto feriti oltre all’uccisione dei due assalitori, segna un grave precedente nell’ennesima escalation di violenza che sta montando tra israeliani e palestinesi.
C’era già stato, nel 2008, l’attacco alla Merkaz Harav Yeshiva, il più importante collegio rabbinico di Gerusalemme, nel quartiere di Kyriat Moshe, non lontano da Har Nof, con il suo tragico bilancio di otto studenti uccisi, oltre all’assalitore palestinese. Tecnicamente, la yeshiva serviva anche da sinagoga e la stessa Kehilat Yaakov, teatro dell’attacco odierno, è la sinagoga della Yeshiva Toras Moshe, la scuola religiosa di lingua inglese di Gerusalemme. Eppure, i media israeliani sottolineano la drammatica ‘novità’ di quanto avvenuto oggi.
Diversi sono i motivi per cui in Israele le sinagoghe, a differenza di centri commerciali, ristoranti, cinema, e luoghi pubblici in genere, bersaglio di una lunga scia di attentati, non sono presidiate da guardie di sicurezza armate o dotate di strumenti di controllo. Innanzitutto, il numero incalcolabile di sinagoghe presenti nello Stato ebraico, al punto che non esiste un loro censimento ufficiale. Durante la Seconda Intifada, la polizia invitò le varie comunità a presidiare i rispettivi luoghi di preghiera, ma la pratica non resistette a lungo.
Anche dopo l’attacco di oggi, il rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef ha emanato un editto nel quale afferma che d’ora in poi le preghiere dovranno tenersi solamente in sinagoghe dotate di guardie armate. Un ordine “irrealistico”, come viene definito da Haaretz. E’ impossibile, oltre che finanziariamente insostenibile, mettere in sicurezza tutte le sinagoghe del Paese. Il piano per dotare tutte le scuole israeliane di guardie armate, avviato anni fa, è ancora lontano dall’essere realizzato. Difficile invece individuare le ragioni per cui, finora, il terrorismo palestinese aveva risparmiato le sinagoghe. Si può azzardare l’ipotesi, come scrivono alcuni giornali israeliani, che per attentatori provenienti perlopiù dalla Cisgiordania o dalla Striscia di Gaza, si tratti di obiettivi ‘poco convenienti’ rispetto ad esempio ad un mezzo di trasporto pubblico o ad un bar.
Le sinagoghe di quartiere rimangono aperte solamente per un paio d’ore per le preghiere del mattino e della sera. Sono luoghi nei quali un ‘esterno’ salterebbe subito all’occhio per la sua scarsa familiarità con l’ambiente e la sua ritualità. Nell’attacco di oggi, invece, uno degli attentatori apparentemente conosceva bene la sinagoga Kehilat Yaakov, poiché lavorava in un vicino negozio. Sapeva, ad esempio, che la sinagoga alle 7 del mattino sarebbe stata affollata e che questo avrebbe consentito a lui e al suo complice di potersi muovere tra i fedeli, uccidendone un gran numero, prima di essere fermati.
E la familiarità degli attentatori con i luoghi degli attacchi sembra essere una delle caratteristiche degli episodi che hanno insanguinato Gerusalemme. Tutti gli autori erano palestinesi residenti nei quartieri arabi della città. Erano tutti giovani, con carte di identità israeliane, che lavoravano nelle vicinanze dei loro bersagli.
(AdnKronos) Grazie a Shalom7