Introduzione metodologica
Uno fra i temi finora piu` trascurati dagli studiosi di storia degli ebrei in Italia, e` quello della struttura delle istituzioni e delle organizzazioni pubbliche, o in altre parole quello della storia delle comunita` ebraiche[1]. Da quando il Falco 65 anni fa scrisse, che non esisteva una monografia completa sulle comunita` ebraiche[2], a parte alcune felici intuizioni dello Shulvass e gli studi di giuristi quale il Colorni, la ricerca e` ancora da approfondire. Questo, nonostante che le comunita` di altri paesi, e piu` in generale le comunita` ebraiche del medioevo siano gia` state oggetto di studio[3]. In particolare un aspetto non ancora analizzato, messo in luce soltanto negli ultimi anni da studiosi di scienze politiche, e` l’esistenza di una tradizione politica ed organizzativa interna alla tradizione ebraica[4]. Infatti, tutte le attivita` che hanno come fine l’organizzazione e l’amministrazione della vita pubblica e l’esercizio dei poteri, non solo nell’ambito dello stato, ma anche delle altre istituzioni pubbliche, sono attivita` politiche e possiedono un significato politico. Pertanto anche la comunita` ebraica e` una res publica, in quanto ente che amministra una cosa pubblica, interessi e denari, ed ha quindi delle istituzioni ed un corpo amministrativo eletto in qualche maniera ed in base a delle regole. In questo contesto rientra quindi lo studio delle diverse comunita` che si svilupparono attraverso i secoli, come anche lo studio della concezione politica degli ebrei[5]. Come tutte le tradizioni politiche anche quella ebraica e` formata da alcuni elementi stabili, che vengono tramandati attraverso i secoli, e corrisponde a dei modelli di comportamento politico delle collettivita` ebraiche riunite nelle comunita`. Pertanto e` importante poter verificare l’esistenza o meno di quegli elementi peculiari della tradizione politica ebraica anche nell’organizzazione e nella struttura delle diverse comunita` ebraiche in Italia. Lo scopo di questo studio e` appunto la verifica e l’analisi dell’esistenza di alcuni di questi elementi nell’ambito della tradizione organizzativa ebraica in Italia.
La principale fonte documentaria da cui si possono studiare questi aspetti, sono i documenti costituzionali delle comunita` ebraiche[6]. Per documenti costituzionali, si intendono quindi sia gli statuti ed i decreti emessi all’interno della comunita`, sia anche quelle leggi dello stato che le riguardano, dal momento che entrambi hanno lo scopo di stabilire e di fissare il carattere dell’organizzazione ebraica, e la strategia di gestione del potere al suo interno[7]. I documenti costituzionali delle comunita`, riflettono le diverse situazioni in cui gli ebrei si trovavano nei differenti luoghi di loro residenza, ed anche il carattere della loro organizzazione pubblica, nei limiti delle realta` esterna ed interna. In altre parole, l’organizzazione comunitaria ebraica, puo` essere una conseguenza sia dello sviluppo del pensiero politico degli ebrei, come anche dell’atteggiamento dello stato verso di essi. Percio`, vi saranno casi in cui la comunita` si organizza secondo regolamenti ebraici e decisioni interne alla societa` ebraica, mentre vi saranno casi in cui la comunita` sara` regolata in base a leggi o ordini dello stato. Entrambi questi casi produrranno documenti costituzionali delle comunita` ebraiche. O, come scrisse il Colorni, tale <<organizzazione di diritto pubblico che e` appunto il riflesso e la riprova del carattere sui generis del nucleo>>[8].
Attraverso lo studio sistematico dei documenti costituzionali, ed il confronto tra i diversi regolamenti e statuti riguardanti le comunita` ebraiche italiane, e le differenze che tra essi intercorrono, si puo` arrivare a ricostruire sia lo sviluppo del pensiero politico ed organizzativo degli ebrei e delle comunita`, sia lo sviluppo dell’atteggiamento dello stato verso le organizzazioni ebraiche. Questo studio richiede quindi un approccio interdisciplinare, e l’uso di metodi di ricerca appresi dalle scienze sociali e dalle scienze politiche, dalla storia e dalla giurisprudenza. Il risultato di un tale approccio non sara` uno studio giuridico, ma dovrebbe invece risultare uno studio sul comportamento socio-politico della collettivita` ebraica. Inoltre, l’applicazione di tali discipline potra` far emergere una prospettiva di lunga durata sullo sviluppo della tradizione organizzativa e politica degli ebrei in Italia.
Naturalmente, il confronto di questi documenti andra` fatto in due dimensioni: quella diacronica, che mostrera` quindi gli sviluppi suddetti, e quella sincronica, che potra` invece mostrare ulteriori aspetti assai interessanti, come le diversita`, ma anche la pecularieta`, dell’attivita` politica ed i modelli di organizzazione delle differenti comunita` ebraiche sparse per la penisola.
Storia costituzionale
Attraverso una comparazione diacronica dei documenti costituzionali delle comunita` ebraiche in Italia, e` possibile ricostruire lo sviluppo della concezione politica ed istituzionale su cui essi si basano. Probabilmente il primo documento costituzionale scritto, giunto fino a noi, sono i cosiddetti “Capitoli di Daniel da Pisa”, emessi a Roma nel 1524[9]. Prima di questa data, la comunita` romana era organizzata in base ad una tradizione, ma senza un testo scritto che stabilisse sia il tipo di organizzazione, sia delle regole che fissassero un equilibrio tra le varie istituzioni e cariche pubbliche, i loro poteri, le loro funzioni, in che maniera gli amministratori dovevano venire eletti, e cosi via[10]. Cosi` scrive il Milano:
la formulazione dell’ordinamento romano del 1524 non era affatto nata dal nulla, ma si basava su modelli che si erano venuti elaborando in seno alle varie comunita` ebraiche dal tempo della diaspora se non prima, e che erano stati applicati costantemente anche a Roma. Forse mancava una fissazione per iscritto di tale regolamento, ma certo vigeva una tradizione altrettanto rispettata[11].
Il sistema organizzativo basato sui Capitoli del da Pisa, non subira` mutamenti con l’entrata degli ebrei nel ghetto trentuno anni dopo la loro promulgazione, ma anzi rimarra` sostanzialmente in vigore, senza grossi cambiamenti, fino all’abolizione del ghetto[12]. I capitoli fissarono non solo le istituzioni che dovevano dirigere la comunita` stessa, ma come diretta conseguenza, fissarono anche altri aspetti della collettivita` ebraica, come ad esempio cristallizzarono una stratificazione sociale interna alla comunita`. Percio` se si puo` parlare di una storia costituzionale della comunita` di Roma, l’anno 1524, e` un punto di partenza, dal quale si susseguiranno gli sviluppi delle istituzioni e delle leggi che le regolano. Ovviamente bisogna tener presente che la comunita` di Roma era di antica formazione, quindi sui generis, mentre le altre comunita` dell’Italia centro-settentrionale invece, si erano formate per cosi` dire, recentemente; per questo motivo, anche il processo di sviluppo di una coscienza politica e poi di formazione dei documenti costituzionali, sara` diverso. Dopo Roma saranno pubblicati documenti costituzionali a Verona nel 1539[13], a Mantova nel 1539 e poi nel 1587[14], a Firenze nel 1572[15], a Venezia le prime “Convenzioni” nel 1603 poi rinnovate nel 1624[16], a Pisa nel 1636[17], ed a Livorno nel 1655[18]. Questi documenti non saranno ispirati, come forse ci si poteva aspettare, dai Capitoli del da Pisa, e non vi e` quindi una continuita` tra questo e gli altri. Anzi, i documenti successivi trattano quasi argomenti diversi, e costruiscono dei modelli di vita politica assai diversi. Questi cominciarono a formarsi solo quando il nucleo ebraico residente in un dato luogo prese la forma di ente pubblico con istituzioni, elettive o non. Soltanto quando, agli insediamenti ebraici nell’Italia centro-settentrionale, non piu` formati da singoli banchieri, vi si aggiunsero mercanti e maestri, ma soprattutto lo stato comincio` a non rivolgersi piu` ai singoli, bensi` all’ente istituito, allora ebbe inizio la formazione di una comunita` organizzata[19]. E` per questo motivo anche, che documenti costituzionali delle comunita` si verranno a formare soltanto a partire dall’inizio del XVI secolo. Ed e` soltanto da quel momento che inizia un secondo periodo per l’insediamento ebraico, che non e` piu` di singoli ma comunita` costituita, e diventa allora necessario mettere per iscritto delle regole che stabiliscano sia le funzioni della comunita`, come anche i metodi di accesso alle cariche pubbliche nel seno della comunita` stessa. In queste comunita`, l’amministrazione inizialmente era in mano ad un corpo formato da tutti i capi famiglia residenti nella citta`, senza percio` bisogno di processi elettivi o di istituzioni rappresentative[20]. Soltanto quando la comunita`, a causa della sua crescita numerica, non potra` piu` essere amministrata in questa maniera, si dovranno promulgare dei documenti costituzionali, perche` diano una sistemazione, sia giuridica sia organizzativa, all’amministrazione della cosa pubblica nel seno della comunita` ebraica. E` possibile quindi notare, come i documenti costituzionali delle comunita`, furono promulgati nell’arco di cento cinquant’anni, tra l’inizio del cinquecento e la fine del seicento, anche se poi rimarranno in vigore fino all’inizio dell’ottocento[21].
Questo processo di costituzionalizzazione, o constitutional-making, e` uno dei processi piu` importanti e basilari tra gli elementi di formazione di una cultura politica[22]. Le cause che portano a questo processo, sono multiple e diverse da luogo a luogo; quelle piu` frequenti sono: i conflitti di carattere etnico, come a Roma, i conflitti di carattere economico, come a Venezia, l’entrata degli ebrei nel ghetto, come a Firenze[23]. E` pertanto di fondamentale importanza poter indicare esattamente il momento in cui sono stati emanati questi documenti costituzionali, che diventano allora dei punti di rottura con il passato, e soprattutto, dal punto di vista della storia del diritto, il momento in cui inizia la storia costituzionale e forse anche istituzionale della comunita` ebraica.
In questo contesto, uno dei quesiti piu` importanti da porsi, e` se nei documenti costituzionali del periodo, vi siano elementi ispirati alla tradizione politica ebraica, oppure se questi sono ispirati o addirittura ricopiati dalla realta` circostante non ebraica. O, in altre parole, se l’organizzazione pubblica ebraica era una produzione originale interna alla tradizione ebraica, oppure era influenzata dalla societa` circostante. E quindi se i legislatori ebrei, nel formulare i documenti costituzionali delle comunita` avevano davanti ai loro occhi dei modelli conosciuti e presi dalla realta` circostante, o semmai si rifacevano ad una tradizione politica ed organizzativa ebraica. Questa questione, se gli ebrei del tempo avessero imitato la societa` circostante oppure si fossero rinchiusi nei confronti di essa, e` tutt’ora ampiamente discussa dagli studiosi[24], ed e` centrale per poter poi distinguere gli elementi della tradizione politica ebraica. E` logico supporre che queste due fonti di ispirazione, si fossero nella realta` mescolate, dando vita a degli ibridi istituzionali[25]. In altre parole le comunita` usarono modelli di vita pubblica che facevano riferimento alla realta` circostante, connettendoli pero` con elementi di pura tradizione ebraica. Per esempio, la funzione del rabbino quale supervisore, ma anche rappresentante, della vita pubblica stessa, e` tipica della tradizione ebraica[26]. Bisogna allora vedere, se usando modelli assunti dalla realta` circostante, le comunita` finissero per assomigliare piu` alle corporazioni, come sostiene Anna Esposito[27], oppure ai comuni, come scrisse Vittore Colorni[28].
Il punto piu` importante, che va sottolineato, e` la non ingerenza, in questo periodo delle autorita` dello stato nell’organizzazione interna delle comunita`. Questi documenti sono statuti interni, compilati da ebrei per gli ebrei, senza interferenze o quasi da parte dello stato. Vale a dire che le comunita`, o Universita` come venivano chiamate, erano rette si, sulle condotte emanate dalle autorita` locali, che concedevano agli ebrei l’autorizzazione a risiedere in un dato luogo, ma queste condotte non stabilivano come gli ebrei dovessero gestire tra di loro i propri affari pubblici. Da cio` si deduce che l’atteggiamento dello stato, o dei vari stati italiani del tempo, verso gli ebrei lasciava loro ampia autonomia organizzativa. O in altre parole, lo stato stesso non era interessato ad intromettersi negli affari interni degli ebrei e delle loro istituzioni, che erano quindi organizzate senza intromissioni esterne[29]. Come scrisse il Duca di Mantova in un decreto nell’anno 1600:
si che possa [l’Universita`] liberamente secondo i suoi Riti et stili, et i Privilegi generali concessegli da Noi, et senza incorso di pena alcuna regolarsi, et governarsi al solito suo, et formare tutti i suoi governi, uffici, et deputati[30].
Questo perche` il pensiero politico allora diffuso negli stati italiani, vedeva la collettivita` ebraica, come un gruppo straniero stante a se. Questa storia e` per lo meno paradossale, poiche` e` in questo periodo che gli ebrei subirono limitazioni alla loro liberta` e la chiusura nel ghetto, ed anche pressioni di vario tipo, sia religiose e giuridiche che culturali e sociali, mentre al contrario l’amministrazione della cosa pubblica all’interno della comunita` non riscuoteva l’interesse delle autorita`, ed era appunto lasciata in mano agli ebrei stessi. Dal momento che lo stato, lasciava agli ebrei la possibilita` di organizzarsi autonomamente, il sistema di diritto pubblico all’interno delle comunita` era basato, almeno in teoria, sul diritto tradizionale ebraico[31]. La conseguenza fu, come scrisse il Colorni, che
La comunita` ebraica assume cosi` sempre piu` marcatamente l’aspetto di una vera e propria organizzazione civica, […] dotato in larga misura di vita propria e fornito di una ampia autonomia non solo nel campo, diciamo, costituzionale e amministrativo ma anche, piu` tardi, in quello giurisdizionale[32].
Quest’ottica cambiera` radicalmente all’inizio dell’ottocento, quando verranno portate in Italia le idee della rivoluzione francese, e soprattutto dal nostro punto di vista, verra` emanato nel 1808 il decreto napoleonico riguardante l’organizzazione delle comunita` ebraiche[33]. Qui inizia quindi una seconda fase nella storia delle comunita` ebraiche, in cui la concezione dello stato verso le organizzazioni ebraiche, viene ribaltata completamente rispetto alla precedente. Infatti il pensiero politico generale vedeva gli ebrei non piu` come un gruppo autonomo a se`, bensi` come singoli cittadini, e lo stato era quindi interessato ad intromettersi negli affari interni delle comunita`, che infatti venivano paragonate alle istituzioni del potere locale[34]. Portando in Italia, questi nuovi concetti, Napoleone minera` il sistema politico interno alle comunita` ebraiche, che dovranno quindi riorganizzarsi in maniera differente, creando quindi una seconda ondata di documenti costituzionali, emessi durante tutto l’ottocento, in cui lo stato interverra`, piu` o meno, nella struttura comunitaria, e questa sara` basata su leggi imposte dallo stato. Il documento piu` rappresentativo di questa ondata, nella quale l’intervento dello stato e` marcato al massimo, e` la legge piemontese del 1857, conosciuta come legge Rattazzi. Questa e` infatti una legge imposta dallo stato, che viene ad organizzare il sistema politico interno alle comunita`, e dara` poi lo spunto al decreto legge sulle comunita` ebraiche emesso dal governo Mussolini nel 1930. Parallelamente, leggi simili furono emanate nell’arco di tutto l’ottocento in tutti gli stati italiani: in Toscana nel 1814, in Emilia nel 1859, nelle Marche nel 1860, nel Veneto e a Mantova annessi al Piemonte nel 1866; nel Trentino le comunita` erano regolate dalla legge austriaca del 1890, e a Trieste dalla legge ungherese del 1895[35]. In queste leggi, sono le autorita` dello stato a stabilire la struttura della comunita` ebraica, le sue istituzioni, come anche i sistemi elettivi per le sue cariche.
Un terzo periodo iniziera` con la firma nel 1987, della nuova intesa tra l’Unione delle Comunita` ed il governo italiano, e ratificata poi con la legge del 1989, che stabilira` soltanto le relazioni bilaterali tra lo stato e gli ebrei, lasciando quindi a quest’ultimi il diritto ad autoregolamentarsi ed ad emettere un proprio statuto interno[36]. Questo documento non e` piu` un regolamento imposto dallo stato, bensi` un accordo tra due parti uguali. Tant’e` che la legge di approvazione del 1989, non stabilisce i particolari dell’organizzazione ebraica, come invece succedeva con la legge del 1930, ma soltanto approva l’accordo firmato dal governo[37].
E` possibile ricostruire quindi una periodizzazione nello sviluppo delle istituzioni ebraiche che comprende tre fasi. La prima, dura quasi trecento anni e va dall’inizio del XVI secolo fino all’inizio del XIX, la seconda fase va dal 1808 fino al 1987, e dura 180 anni, e poi una terza fase, che comprende quest’ultimo decennio.
Chi puo` stabilire una costituzione?
Much extra-political forces may influence particular constitutional-making situations or constitutional acts, ultimately both involve directly political expressions, involvments, and choices… A proper study of the subject, then, involves not only what is chosen but who does the chosing, and how[38].
Uno dei quesiti centrali nello studio dei documenti costituzionali, riguarda l’origine della loro autorita`, e di chi abbia quindi il potere di emetterli. O, in altre parole, a chi spetta il potere legislativo e poi decisionale. Nell’introduzione ai “Capitoli”, da Pisa descrisse il processo di votazione dei capitoli stessi[39]. Prima di tutto, raduno` tutti i banchieri ebrei di Roma, e spiego` loro gli argomenti da fissare ed i problemi da risolvere, e quindi li convinse ad accettare le sue proposte. Poi raduno` altre venti persone, tutti ricchi, e spiego` loro le sue proposte, e li convinse ad accettarle. In fine raduno` altri venti del popolo, chiamati “mediocri” secondo le loro possibilita` economiche, e convinse anche quest’ultimi. Quindi propose le sue opinioni a tutto il pubblico nelle varie sinagoghe, senza distinzioni tra gruppi etnici, per ricevere anche il loro consenso. Percio` anche se i primi sessanta rappresentanti che approvarono i Capitoli, furono scelti e nominati dal da Pisa, questi ricevettero pero` il consenso, se non di tutta la popolazione ebraica della citta`, intanto di quella maggioranza tra quanti erano in grado di sopportare le spese comunitarie, ed avevano quindi il diritto a partecipare alla vita politica della comunita`, ma anche del largo pubblico riunito nelle sinagoghe, che comprendeva sicuramente anche i piu` poveri. In ogni caso, i Capitoli, prima di essere accettati, vennero portati a conoscenza di tutto il pubblico, il quale doveva essere quindi coinvolto nelle vicende comunitarie, e partecipare alla vita comunitaria[40]. Percio` la legittimita` dei Capitoli ed il loro vigore, derivava dal ricevimento del consenso generale, attraverso un processo democratico, il quale sembra sia stato unico nell’Italia ebraica del periodo: tant’e` che in nessun altra localita` abbiamo resoconti di una simile legittimazione popolare. Anche se poi questo non basto` per sedare gli attriti all’interno della comunita`.
A Venezia invece, le Convenzioni vennero stipulate fra rappresentanti delle diverse congregazioni <<elletti a cio` dal detto Caal come appar per la auttorita` datale per parte d’esso Caal>>[41].
Questi rappresentanti erano quindi stati eletti si dal pubblico, anche se abbiente, ed avevano ricevuto l’autorita` di firmare gli accordi, senza pero` che questi venissero letti in pubblico. Percio` il grado di consenso popolare e di partecipazione alla vita pubblica a Venezia, era di poco inferiore rispetto a Roma. In un terzo caso, quello di Firenze, i Conservatori ed il Magistrato che stabilirono i Capitoli nel 1572, erano stati nominati ed avevano ricevuto l’ordine dalla Signoria[42]; anche i Capitoli stessi non avevano ricevuto nessun consenso popolare, e quindi il grado di partecipazione e di legittimita` era pressoche` nullo. Mentre i capitoli successivi, emanati nel 1608, furono firmati da
li deputati della repubblica delli hebrei italiani di questa citta` di Fiorenza, et con esso loro gli huomini del Consiglio di essa repubblica radunati nel luogo solito, cioe` nella loro sinagoga[43].
Un caso a parte sono, per esempio, i decreti emessi a Ferrara nel 1554, subito dopo il rogo del Talmud avvenuto a Roma: anche se non trattano certo di strutture comunitarie, sono approvati da un consiglio di rabbini “tutti autorizzati all’unanimita` dalle nostre sante comunita`”[44]. D’altronde si sa che fin dall’alto medioevo, le varie comunita` per poter emettere dei decreti dovevano avere l’autorizzazione dei rabbini[45].
E` possibile quindi stabilire in base a questi esempi, una scala del consenso ricevuto nelle diverse comunita` alla promulgazione dei vari documenti costituzionali: quello romano, che aveva il piu` alto grado di partecipazione, poi quello veneziano e poi quello fiorentino.
I metodi di elezione
Il tipo di elezioni usato a Roma per la Congrega dei sessanta, era una co-optazione, cioe` i membri stessi della congrega decidevano se accogliere tra di loro un nuovo compagno oppure no[46]. Di fatto venivano prima estratti a sorte i nomi dei candidati fra tutti i membri della congrega, e poi avveniva la votazione. Percio` la congrega era di fatto una istituzione oligarchica, senza elezioni generali a cui potessero partecipare tutti i membri della comunita`. Infatti, la carica di membro della congrega era a vita; ed alla morte di uno di essi, spesso passava in eredita` al figlio, o perfino al fratello o al nipote. Un processo simile avveniva a Venezia, dove sia i tassatori come i membri del Va’ad Qatan venivano prima estratti a sorte, e poi votati ognuno dalla propria congregazione[47]. Invece a Firenze, nei primi Capitoli, del 1572, venne stabilito che gli officiali della comunita` venivano nominati dal magistrato della Signoria tra i membri della comunita[48]; mentre in quelli successivi, promulgati nel 1608, viene fissato che i Governanti dell’Universita` vengano estratti a sorte tra i membri della Congrega[49]. Di fatto non vi era quindi nessun processo elettivo, e cio` per un motivo piuttosto curioso, anche se sappiamo che nelle altre comunita` la situazione non era diversa. Infatti cosi` viene detto:
Havendo noi deputati creduto bene et considerato che la maggior parte delli dispareri, risse et sconcordie che nascano in questa Universita` succedono et nascono nel fare detti Governanti, poiche` alcuno di essi desiderano di essere, et quando non sono loro vorrebbono fussero fatti a modo loro, et altri fuggano di essere, per il che il piu` delle volte nascono confusioni et resta il governo di detta repubblica divisa, et in disparere, et il governo resta in mano di uno o due[50].
Divisione dei poteri tra le istituzioni
Un altro aspetto che va studiato e` la suddivisione dei poteri all’interno della comunita`. Questa divisione va analizzata non tanto nella dimensione della moderna cultura politica, che distingue fra le diverse funzioni degli organi amministrativi: esecutiva, legislativa e giudiziaria[51], ma soprattutto va studiata nella dimensione classica e tradizionale ebraica, che fin dal periodo biblico, divide il potere fra le cosiddette tre corone: la corona della Tora` (Keter Tora`), la corona reale (Keter Malkhut), e la corona del sacerdozio (Keter Kehuna`)[52]. Questo sistema sviluppatosi attraverso la tradizione politica ebraica ed un continuo dialogo politico fin dai tempi mosaici, si fondava sulla concezione teologica della Bibbia ed aveva trovato la sua formulazione nella Mishna` e poi attraverso tutto il corso della storia ebraica, sia che ci fosse un’indipendenza politica ebraica o meno[53]. Esempi di questa divisione tripartita, si trovano quindi sia nella letteratura biblica che rabbinica. In questa maniera si riusciva a conciliare ed a collegare la dimensione celeste con le necessita` umane: infatti, la corona della Tora` rappresentava il mezzo attraverso cui veniva trasmesso l’insegnamento divino all’uomo; la corona del sacerdozio era il tramite per riavvicinare la divinita` al popolo attraverso espressioni rituali e simboliche; mentre la corona reale era il veicolo attraverso cui l’autorita` civile esercitava il potere nella comunita` costituita[54].
Si veniva cosi` a creare un equilibrio costituzionale all’interno della vita pubblica ebraica, e soprattutto si impediva un sistema di potere basato sul monopolio delle prerogative dell’autorita` politica[55]. Veniva cosi` inoltre stabilito il principio del controllo reciproco fra le diverse istituzioni. Inoltre, la divisione dei poteri era, come e` tuttora, garanzia di una qualche democrazia, anche se alquanto limitata. Questo modello rappresenta naturalmente una divisione sacrale dei poteri, si direbbe quasi una divisione fra stato e chiesa[56], dove i rabbini ed i maestri di religione appartengono di regola alla sfera della corona della Tora`; la corona reale comprende le istituzioni di potere per cosi` dire “laico”; e la corona del sacerdozio contiene i discendenti della stirpe di Aron. Ognuna di queste sfere e` autonoma dalle altre, anche se vi e` un’interdipendenza tra tutte e tre[57]. E` evidente quindi come le funzioni delle tre corone non si sono alterate nel tempo, nonostante gli sviluppi della storia ebraica. Anche dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, non si sono perdute le prerogative delle tre corone, infatti i kohanim, i sacerdoti discendenti di Aronne, hanno trasformato le loro prerogative in simboliche, anche perdendo i loro compiti pratici[58]. Inoltre, figure diverse venivano a colmare questa lacuna, di tramite simbolico tra il popolo e la divinita`, quali il hazan, l’officiante nelle sinagoghe, e per alcuni versi, il rabbino stesso[59]. Cio` non toglie, che perdendo i sacerdoti i loro compiti pratici, si veniva a formare di fatto una polarizzazione dei poteri fra due corone soltanto.
Nelle comunita` italiane pure veniva seguito questo modello, anche se non in tutti i documenti costituzionali si trovano delle definizioni nitide delle diverse funzioni istituzionali, e quindi una esplicita separazione fra le differenti autorita`. L’esempio piu` interessante e` quello di Roma, dove i Capitoli del da Pisa fissano dei precisi limiti alle funzioni dei diversi organi, e fissano un sistema di reciproco controllo. Infatti, nella cornice della cosidetta corona reale (Keter Malkhut), venivano racchiusi tutti gli organi che detenevano la gestione civile del potere, quali la congrega, i fattori, i diversi amministratori e cosi` via. I fattori infatti erano i capi della comunita` ed avevano il potere esecutivo, non possedevano pero` un potere assoluto, ed anzi dovevano rispondere delle loro azioni sia davanti alla congrega (Capitolo 10), che nei confronti dei fattori successivi (Capitolo 11)[60]. Inoltre, erano subordinati al controllo continuo dei sindaci, che avevano giurisdizione sulla parte finanziaria, ai difensori dei capitoli, che avevano giurisdizione sulla parte costituzionale, ovvero sulla attuazione dei capitoli stessi, ed in fine erano soggetti al controllo, se non altro morale, dei rabbini[61]. Solo l’operato della congrega, che aveva in mano i massimi poteri, sia di legislazione[62] sia di controllo, era indipendente ed il suo potere decisionale autonomo[63]. Esisteva quindi di fatto anche una certa divisione tra il potere esecutivo (fattori, parnasim, cassieri o ghizbarim, ecc.), ed il legislativo (congrega).
Un’istituzione separata dalle precedenti, e` la figura del rabbino, che rientra nell’ambito della corona della Tora`. Dal punto di vista formale giuridico, le decisioni prese dalle istituzioni “laiche” erano indipendenti dall’autorita` rabbinica[64]. D’altro lato, vi era ovviamente una interdipendenza tra le diverse sfere di potere: infatti se per alcuni versi i fattori e la congrega non potevano operare senza l’assenso del rabbinato, come nel caso dell’emissione di scomuniche[65], per opposto i rabbini ricevevano la nomina, ed a volte perfino lo stesso titolo rabbinico, dalla congrega[66]. Riguardo l’emissione di scomuniche, i Capitoli del da Pisa stabilivano come i rabbini non potessero emettere un simile bando in nome della comunita` stessa, senza l’autorizzazione dei fattori, e che questi non potevano dare l’autorizzazione senza l’accordo della congrega[67]. Veniva fissata quindi una gerarchia: poiche` chi emetteva la scomunica stessa era il rabbino in quanto autorita` morale, e questo e` un elemento tradizionale ebraico, ma il rabbino non poteva operare senza il consenso delle autorita` laiche. O per meglio dire, la decisione di scomunicare spettava ai fattori, o forse alla congrega, anche se di fatto il decreto veniva emesso dai rabbini. Infatti, la congrega rappresentava il consenso popolare, e quindi doveva approvare la scomunica come massima autorita` della comunita`. Esempio questo di divisione di poteri, ma anche degli stretti rapporti tra le istituzioni.
Ovviamente, quindi spesso emergevano conflitti di autorita` tra le diverse sfere di potere, le “corone”, in quanto fonti di potere contrapposte. Si potrebbe anche pensare che l’origine dell’autorita` rabbinica stessa, fosse nelle istituzioni comunitarie, e non nella figura e nello stato sociale del rabbino, in quanto interprete dell’halakha`[68]. Probabilmente dipendeva, caso per caso, dal carisma personale del rabbino, se questo riusciva ad imporsi oppure veniva sottoposto alle istituzioni comunitarie.
Il problema del pluralismo
Dal confronto fra i documenti costituzionali e fra i diversi percorsi di costituzionalizzazione avvenuti nelle diverse comunita`, e` possibile risalire fino alle cause che portarono ad un simile processo. Molte delle comunita` del tempo dovettero misurarsi con problemi creati dai nuovi immigrati giunti dalla penisola iberica, o da luoghi diversi, creando quindi dei conflitti di carattere etnico e pluralistico. Problemi simili tra loro, sorsero a Roma nel cinquecento ed a Venezia nel seicento, anche se furono pero` risolti in maniera diversa. Infatti gli immigrati giunti all’inizio del cinquecento a Roma da oltr’Alpe e dalla penisola iberica, i cosiddetti ultramontani, avevano fondato proprie sinagoghe, ma soprattutto, chiedendo di partecipare alla vita delle istituzioni comunitarie, avevano minato l’equilibrio sociale preesistente nella comunita` ebraica, anche se, dal punto di vista organizzativo, si erano aggregati ad essa. Cosi` si era formato un qualche pluralismo all’interno della comunita`: etnico, religioso e politico. Ovviamente, il significato del termine “pluralismo” in questo periodo, e` differente da quello di oggi, di ampia partecipazione di tutti i cittadini alla vita pubblica, e di dispersione del potere politico. Per esempio, dal punto di vista religioso, prima del loro arrivo esistevano a Roma, almeno quattro sinagoghe, ma durante il XV secolo, altre cinque furono fondate: una siciliana, una francese, due spagnole ed una tedesca[69]. Fu percio` una conseguenza naturale, che gli ultramontani pretendessero di partecipare all’amministrazione comunitaria, e chiedessero una piu` equa distribuzione delle tasse[70]. Una parziale soluzione di queste dispute era l’emissione di una costituzione che aprisse l’accesso alla partecipazione degli ultramontani negli affari comunitari, creando quindi anche un pluralismo politico all’interno della societa` ebraica. D’altro lato, i Capitoli stabilivano una rigida stratificazione sociale, senza possibilita` di movimento tra le differenti classi; infatti in questo senso, non vi era un pluralismo sociale, bensi` un pluralismo gerarchico, basato sulle risorse economiche[71].
Un simile processo era avvenuto anche a Venezia: anche qui erano giunti ebrei da vari paesi, che pero` non aggregandosi all’istituzione comunitaria gia` esistente ne formavano di nuove. La conseguenza fu la creazione di quattro congregazioni distinte, o come si diceva allora “Nazioni” distinte, riconosciute dallo stato separatamente, e che avevano ricevuto condotte diverse e separate: una tedesca, una italiana, una spagnola, ed una levantina[72]. Si erano quindi venuti a formare un pluralismo ed una eterogeneita` sia religiosa e culturale che politica e sociale. Ognuna di queste era anche organizzata in forma autonoma con proprie istituzioni, scuole e confraternite, che riunendosi, avevano formato una federazione. Ma il bisogno di trovare una soluzione a problemi ed interessi comuni, in particolare una piu` equa divisione delle spese comuni, porto` le parti a tracciare delle Convenzioni. In questo caso, vi erano quindi degli accordi fra parti uguali, invece di una Costituzione imposta da un’élite economica. Infatti, la prima convenzione, comprendente tutte e quattro le congregazioni veneziane, emanata il 14 aprile 1603[73], fu il risultato di un litigio fra le congregazioni dei tedeschi e degli spagnoli sulla divisione delle tasse.
Ecco che si erano formati in Italia due modelli diversi di struttura comunitaria: unitario a Roma, e federativo a Venezia[74]. Infatti a Roma, gli ultramontani, si erano aggregati come singoli alla comunita` preesistente, senza formare comunita` parallele; invece a Venezia, sia i levantini che i ponentini avevano costituito comunita` a se stante, che solo in seguito avevano stretto accordi di cooperazione con le comunita` degli italiani e dei tedeschi. Inoltre a Roma, i membri della congrega venivano cooptati dalla congrega stessa, sia che fossero italiani che ultramontani. Invece a Venezia, ognuna delle Nazioni eleggeva i suoi rappresentanti che poi si riunivano nel Vaad Qatan[75]. Comunque, in tutti e due i casi, il costituzionalismo veniva utilizzato come mezzo per sedare i conflitti sorti nel seno della collettivita` ebraica, sia che fossero di carattere etnico o econimico. Infatti, si puo` osservare come sia a Roma che a Venezia, le differenze etniche e le dispute fra i diversi strati sociali, funsero da catalizzatore per il processo di costituzionalizzazione. Questo processo fu organico ed interno alla comunita` ebraica, poiche` si sviluppo` nell’ambito della societa` ebraica e proprio a causa dei suoi bisogni.
Il patto sociale alla base della comunita`
Nella tradizione ebraica, la struttura politica e` basata sul patto (berit), contratto in due dimensioni tra le diverse parti: ovvero sia tra il popolo d’Israele ed il Signore, che fra i diversi membri della stessa collettivita` ebraica[76]. Il patto crea un legame continuo, di obbligazioni reciproche e reciproco rispetto tra le diverse parti, allo scopo di raggiungere i fini comuni. La concezione del patto prevede quindi nella sua dimensione umana, che alla base di ogni azione di governo, o qualunque tipo di legge o di deliberazione, ci debba essere un consenso ed una legittimazione del pubblico, per creare quindi un sistema di equilibri di potere, dove il Signore che rimane una delle parti contraenti, e` di fatto testimone e garante della lealta` delle parti[77]. Infatti secondo la concezione della comunita` nel diritto ebraico (halakha`), questa non ha potere coercitivo, ma ogni decisione richiede il consenso di ogni membro o almeno della maggioranza[78]. Ovviamente, la questione del consenso, ovvero se le decisioni prese da un’istituzione pubblica necessitino del consenso popolare o meno, non e` nuova ed anzi gia` Rabbenu Gershom di Magonza, nel X secolo si poneva questi quesiti[79]. Ed e` questo infatti, uno degli aspetti che vanno controllati per poter poi stabilire se e come i documenti costituzionali delle comunita` italiane, rientravano nell’ambito della tradizione politica ebraica.
Anche nelle comunita` italiane, i documenti costituzionali che fissavano le loro organizzazioni si dovevano quindi basare su un consenso popolare e ricevere una legittimazione dal popolo. Ed infatti Daniel da Pisa non solo chiese l’appoggio di un consiglio di sessanta membri rappresentante delle varie classi sociali della comunita` ebraica, ma anche
a` ancora ricercato e Domandato, dal Grande sino al Piccolo, per tutte le scole, se loro volessero aconsentire, a` quanto hanno acconsentito l’uomini segnalati, e li nobbili, e cosi` tutti acconsentirono[80].
Il ricevimento del consenso popolare, dava al regolamento, o nel nostro caso ai Capitoli, sia una legittimazione politica, sia un senso di democrazia. Inoltre, un accordo sociale ed un consenso, doveva sottintendere naturalmente, anche una partecipazione, in qualche maniera, del pubblico. In altre comunita`, come si e` gia` visto a Firenze nel 1608 ed a Venezia nel 1624, gli statuti erano stati sottoscritti dai vari rappresentanti <<elletti a cio` dal detto Caal, come appar per la auttorita` datale per parte d’esso Caal>>[81].
Come in effetti e` gia` stato dimostrato, prima dell`emancipazione i documenti costituzionali delle comunita` ebraiche, venivano approvati da un consenso basato sul patto fra i diversi membri della collettivita`, o almeno fra i rappresentanti dei diversi gruppi interni alla comunita`, eletti dai membri stessi. La situazione cambio` in Italia soltanto nel 1808 con l’imposizione della legge napoleonica che fissava l’organizzazione delle istituzioni ebraiche. Infatti le leggi successive, piemontese del 1857 ed italiana del 1930, furono imposte alle comunita` ebraiche in una forma gerarchica e senza un consenso politico[82]. Bisognera` arrivare alla nuova intesa del 1987 fra l’Unione delle Comunita` ed il governo italiano, per trovare per la prima volta dopo quasi duecento anni, un accordo basato sul consenso politico delle due parti, sia italiana che ebraica.
Conclusione
In questa breve rassegna sono stati espressi alcuni presupposti, che si e` cercato, anche se per sommi capi, di dimostrare. Prima di tutto, l’esistenza di una tradizione politica ed organizzativa ebraica, continua e dinamica, e la possibilita` quindi di ricostruirne gli sviluppi. Poi, che questa tradizione politica possiede una dinamica interna all’ebraismo stesso, anche se viene ovviamente, influenzata continuamente dall’esterno. Terzo punto, che la massima espressione di questa tradizione sono i documenti costituzionali delle comunita` ebraiche. Per quarto, che attraverso la collezione ed il confronto dei documenti costituzionali delle diverse comunita`, sia possibile risalire tanto alla concezione ed alla mentalita` che li ha ideati, quanto alle diverse culture che li hanno ispirati. In fine, che i documenti costituzionali possono fungere da prisma attraverso cui, ci sembra, sia possibile intravedere situazioni di carattere socio-politico, quali il comportamento dei singoli e delle collettivita` nell’ambito delle istituzioni.
Ovviamente, ci si e` limitati in questo lavoro, a studiare solamente i documenti costituzionali di qualche comunita`, ed a trattare solamente alcuni dei temi possibili che riguardano questa tradizione politica. Mentre invece, le diverse sfaccettature andrebbero studiate singolarmente, in un contesto piu` ampio, e non certo nei limiti di un solo articolo. Anche l’approccio metodologico, che qui` e` stato poco piu` che accennato, dovra` essere in un lavoro futuro, maggiormente approfondito. Inoltre, un simile lavoro dovrebbe essere esteso alla ricerca di documenti costituzionali di periodi diversi da quello gia` trattato, magari non ancora pubblicati. Ma soprattutto un simile studio dovra` ulteriormente servirsi di contributi provenienti dalle diverse discipline, metodologicamente riconducibili all’antropologia, alla politologia, alla linguistica, oltre che alla storia. Soltanto una ricerca assai piu` approfondita e piu` completa, che raccolga molti piu` documenti di molte piu` comunita` potra` rafforzare queste tesi.
Iyar 5758 – Maggio 1998
Andrea Yaakov Lattes – Bar Ilan University – POB 24129 Jerusalem, Israel
[1] Perfino i testi piu` aggiornati come ad esempio la Storia d’Italia, Gli ebrei in Italia, pubblicata da Einaudi, Torino 1996, non dedica un capitolo specifico alla struttura delle comunita` ebraiche. Il capitolo di T. Catalan, L’organizzazione delle comunita` ebraiche italiane dall’Unita` alla prima guerra mondiale, pp. 1242-1290, tratta delle varie attivita` delle comunita`, e dei loro congressi; e l’unico capitolo che riguarda La condizione giuridica degli ebrei nell’Italia centrale e settentrionale (secoli XII-XVI) di S. Simonsohn, pp. 95-120, si occupa solamente del sistema giuridico dello stato cristiano verso gli ebrei, e non, in direzione opposta, del sistema di diritto pubblico all’interno della comunita` ebraica.
[2] M. Falco, La nuova legge sulle comunita` israelitiche, in <<Rivista di Diritto Pubblico>>, 10 (1931), p. 1
[3] Naturalmente i testi sulle comunita` ebraiche sono diversi, a seconda degli argomenti trattati. Sull’origine delle comunita` ebraiche in Europa nel Medioevo, non in Italia, vedi I. F. Baer, Hayesodot we-hahatkhalot shel irgun ha-kehilla` hayehudit byme` habenayym, in <<Zion>>, 15 (1950), p. 1-41; M. Elon, Lemahutan shel Taqqanot ha-qahal be-mishpat ha-’ivri`, in Mehqare` mishpat le-zekher Abraham Rosenthal, Jerusalem 1964, p. 1-54; S. Baron, The Jewish Community, its history and structure to the American Revolution, Philadelphia 1942, 3 vol.; L. Finkelstein, Jewish self-government in the Middle Ages, New York 1924.
[4] In particolar modo, questo lavoro intende seguire la scia dei diversi lavori di Daniel Elazar; in particolare vedi: A Double Bond, edited by D. Elazar, J. D. Sarna, R. Monson, Lanham Ma. 1992; D. Elazar and S. Cohen, The Jewish Polity: Jewish Political Organization from Biblical Times to the Present, Bloomington Ind. 1985
[5] L’oggetto di questo studio, sono le comunita` ebraiche, e non le varie organizzazioni di mutua assistenza quali le confraternite, o le accademie di studio. Volendo, sarebbe possibile studiare la struttura di queste organizzazioni, che effettivamente agivano nell’ambito delle comunita`, e supplivano a delle funzioni centrali nella vita ebraica, ma questo esula dalle nostre intenzioni. Inoltre, la base documentaria a cui facciamo riferimento sono i documenti costituzionali delle comunita`, dei quali parleremo piu` innanzi, e che non fanno nessun riferimento a queste organizzazioni, ma trattano delle attivita` e delle strutture delle comunita` “generali”, organizzate su base territoriale per ogni citta`.
[6] Il termine “costituzione”, ed il suo aggettivo “costituzionale”, viene qui usato nella sua accezione di regola fondamentale, volendo quindi indicare quel documento che delinea lo schema fondamentale e la struttura delle istituzioni ed anche la cornice entro la quale agiscono le istituzioni stesse. Infatti: <<per costituzione si intende quel complesso di regole fondamentali di una determinata organizzazione sociale. Ma poiche` ogni organizzazione ha proprie regole e talune di queste non possono non essere fondamentali, cio` significa che ogni organizzazione ha una propria costituzione>>, G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Reposo, M. Volpi, Diritto Costituzionale Italiano e Comparato, Bologna 1995, p. 43. Ecco quindi che vi e` una distinzione tra cio` che e` documento costituzionale, e differenti regolamenti o anche leggi, che non trattano delle natura delle istituzioni di potere. Vedi anche: P. Biscaretti di Ruffia, Diritto Costituzionale, Napoli 1983, pp. 86-87. Riguardo i diversi modelli di costituzioni vedi: D. J. Elazar, Constitutionalism, Lanham, MD 1990, pp. 4-11
[7] Gia` Shulvass intui` che un’analisi storica dei documenti costituzionali delle comunita` fosse necessaria per la comprensione della vita pubblica e del sistema istituzionale ebraico. Vedi M. A. Shulvass, Jewish Life in Renessance Italy, New York, N.Y., 1955 (in ebraico), p. 50-51
[8] V. Colorni, Le magistrature maggiori della comunita` ebraica di Mantova, in V. Colorni, Judaica minora, Milano 1983, p. 260
[9]A. Milano, I Capitoli di Daniel da Pisa e la comunita` di Roma, in <<Rassegna Mensile di Israel>>, 10 (1935), p. 410 – 426
[10] Vedi: A. Milano, Il Ghetto di Roma, Roma 1964, p. 175-176. Anna Esposito cita dei protocolli notarili precedenti ai Capitoli, che trattano la nomina dei fattori o degli ufficiali della comunita`: A. Esposito, Gli ebrei a Roma nella seconda meta` del `400 attraverso i protocolli del notaio Giovanni Angelo Amati, in Aspetti e problemi della presenza ebraica nell’Italia centro-settentrionale (secoli XIV-XV), Roma 1983, p. 60-62, nell’appendice documenti n.3 a pag 102-104, e n. 7 a pag. 110-111. Questo articolo e` stato ristampato nel volume: A. Esposito, Un’ altra Roma, Roma 1995, p. 137-237, anche se le citazioni qui` riportate sono secondo la prima edizione. Questi protocolli non sono certo la base di una struttura comunitaria: non stabiliscono cioe` anche regole per l’elezione dei fattori della comunita`, i loro rapporti con le altre istituzioni comunitarie, la loro appartenenza ad una determinata classe o gruppo sociale o meno. Essi riferiscono soltanto della loro elezione, probabilmente ad hoc. L’importanza di questi documenti, sta nel fatto non solo che erano precedenti ai Capitoli del da Pisa, ma anche che questi fattori erano eletti <<congregati et cohadunati iudey urbis et tota universitas>>, (appendice n. 7, p. 110), anche se non si sa in che maniera. Da cui gia` si rilevano quindi gli elementi dell’elezione popolare, della partecipazione del pubblico alla vita comunitaria, e soprattutto della non ingerenza dello stato nel sistema pubblico comunitario. Argomenti di cui parleremo piu` avanti. Vedi anche R. Bonfil, Gli ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento, Firenze 1991, p. 155-157.
[11] A. Milano, Il Ghetto di Roma, cit., p. 175. La evidenziazione in neretto e` mia.
[12] Non mi sembra sia necessario descrivere qui` di nuovo i vari enti che diressero la comunita` ebraica romana, poiche` tale descrizione e` gia` stata piu` volte fatta dagli studiosi. In particolare vedi A. Milano, Il Ghetto di Roma, cit., p. 175-183.
[13] I. Sonne, Avne` binyan le-toledoth ha-yehudim be-Verona, in <<Kovetz ‘Al Yad>>, 3 (13) (1940), p. 151
[14] Colorni, Le magistrature maggiori, cit., p. 273, 293-4,
[15] Vedi U. Cassuto, I piu` antichi capitoli del ghetto di Firenze, in <<Rivista Israelitica>>, vol. 9 (1912), p. 203-211; vol. 10 (1912), p. 32-40, 71-80
[16] Vedi D. Carpi, Taqqanoneha shel Qehillat Venezia, 1591-1607, in Galut ahar Gola`, Mehqarim be-toledoth ‘am Israel muggashim le-Professor Haim Beinhart, Jerusalem 1988, p. 451- 460; D. Carpi , Le ‘Convenzioni’ degli anni 1624 e 1645 tra le tre ‘Nazioni’ della Comunita` di Venezia, in Shlomo Simonsohn Jubilee Volume, Studies on the History of the Jews in the Middle Ages and Renaissance Period, Tel Aviv 1993, p. 30-40
[17] R. Toaff, La Nazione ebrea a Livorno e a Pisa, 1591-1700, Firenze 1990, p. 500-515
[18] R. Toaff, La Nazione ebrea, cit., p. 555-568
[19] Riguardo lo sviluppo e gli inizi della comunita` di Mantova, ad esempio, vedi V. Colorni, Le magistrature maggiori, cit., p. 262-265; vedi ora anche S. Simonsohn, La condizione giuridica degli ebrei nell’Italia centrale e settentrionale, nel volume Storia d’Italia, Gli ebrei in Italia, vol. 1, Torino 1996, p.116-120
[20] Vedi R. Bonfil, Gli ebrei in Italia, cit., p. 160-167
[21] Vedi A. Milano, I Capitoli, cit., p. 332; A. Toaff, Ghetto Roma ba-mea` ha-tet zaijn, Ramat Gan 1984, p. 14
[22] Vedi D. Elazar, Constitutionalism, cit., p. 3-47
[23] Sulle cause e le modalita` che portarono nei diversi luoghi, alla promulgazione dei documenti costituzionali, ne parleremo piu` avanti
[24] Cfr. A. Toaff, Il vino e la carne, Bologna 1989, p. 7-13; R. Bonfil, Gli ebrei in Italia, cit., in particolare pp. 8-9, 164-167
[25] Questa e` anche la tesi che descrive Roberto Bonfil nel suo Gli ebrei in Italia, a p. 156. Vedi anche le citazioni che riporta Bonfil, sull’attrazione esercitata dalle istituzioni pubbliche cittadine sugli ebrei contemporanei.
[26] Sulla figura istituzionale del rabbino parleremo piu` avanti, nel paragrafo che tratta la divisione dei poteri.
[27] Alcuni studiosi sono di questa opinione, come A. Esposito, Gli ebrei a Roma nella seconda meta` del `400, cit., p. 60-67, 89; J.C.M.Vigueur, Les juifs a rome dans la seconde moitie’ du XIV siecle, in Aspetti e problemi della presenza ebraica nell’Italia centro-settentrionale (secoli XIV-XV), Roma 1983, p.27; vedi anche K. Stow, The Jews in Rome, Leiden 1995, p. XXXIV. Questa tesi pero` non e` rafforzata da un confronto particolareggiato tra gli statuti delle comunita` e quelli delle corporazioni; lavoro che invece andrebbe fatto per poter giungere ad un’individuazione piu` precisa degli elementi non ebraici fatti propri dall’organizazione delle comunita` stesse. Ci sembra quindi ancora da dimostrare che la comunita` ebraica fosse proprio simile alle corporazioni.
[28] V. Colorni, Le magistrature maggiori, cit., p. 307
[29] Questo argomento l’ho gia sviluppato nel mio lavoro: The New Organizational Framework of Jewish Communities in Italy, in <<Jewish Political Studies Review>>, vol.5 n.3-4, (5754/1993), p. 141-158
[30] V. Colorni, Le magistrature maggiori, cit., p. 278
[31] Vedi M. Elon, Power and Authority, in Kinship and Consent, a cura di D. Elazar, Ramat Gan 1981, p. 185 ff.; R. Bonfil, Ha-rabbanut be-Italia bi-tequfat ha-Renessaissance, Jerusalem 1979, p. 11; ed anche Y. A. Lattes, Mismakhim Huqqatiym shel Irgun ha-qehilloth ha-yehudiyoth be-Italia, bi-shalhei Yeme` ha-benaiym u-va’et ha-hadasha`, in Proceedings of the Eleventh World Congress of Jewish Studies, division b, vol.1, Jerusalem 1994, p. 194-195.
[32] V. Colorni, Le magistrature maggiori, cit., p. 281
[33] Vedi anche V. Colorni, Le magistrature maggiori, cit., p. 260
[34] Vedi M. Falco, La nuova legge, cit., p. 15; ed anche Y. A. Lattes, The new organizational framework, cit.,p. 144. Questo dell’intervento dello Stato e` uno dei temi centrali nella discussione sull’organizzazione ebraica fino ai giorni nostri, asse portante della legge del 1930; vedi il mio The Constitutional Documents of the Italian Jewish Community, in <<Jewish Political Studies Review>>, 8 n. 3-4 (fall 1996), pp. 12-15
[35] Vedi l’elenco delle comunita` e la relativa bibliografia in M. Falco, La nuova legge, cit., p. 1-2
[36] Vedi sull’argomento: Y.A. Lattes, The Constitutional Documents, cit., p. 13; Y. A. Lattes, The New Status of the Italian Jewish Community,in <<Jerusalem Letter>>, 103 (1988), p. 1-6
[37] Questo argomento l’ho gia` sviluppato ampiamente nel mio Constitutional Documents, p. 13
[38] D. Elazar, Constitutionalism, cit., p. 3
[39] Pubblicato da A. Milano, I Capitoli, cit., p. 335
[40] D’altronde e` tipico della tradizione politica ebraica il fatto che le decisioni pubbliche debbano essere accettate dalla maggioranza della popolazione. Fin dal primo medioevo si discuteva se la maggioranza doveva essere assoluta o bastasse quella relativa. Vedi I. F. Baer, Hayesodot ve-haathalot, cit., pp. 38-39; M. Elon, Mishpat ‘Ivri`, 3 edizione, Gerusalemme 1988, vol. 2, pp. 580-587
[41] Le Convenzioni di Venezia del 1624, edizione di D. Carpi, Le Convenzioni, cit., p. 30
[42] U. Cassuto, I piu` antichi capitoli, cit., p.207
[43] Dal preambolo ai capitoli del 1608, U. Cassuto, I piu` antichi capitoli, cit., p. 38
[44] Taqqanoth Hakhamin (decreti dei saggi), pubblicato da R. Barukh ha-Levi di Ferrara, Brody 1879, p.5
[45] Questo perche` ovviamente, la possibilita` per il pubblico di emanare decreti (taqqanot), doveva basarsi sulla regola vigente nel diritto ebraico tradizionale. Vedi a proposito, M. Elon, Lemahutan shel Taqqanot, cit., p. 5, ed in particolare pp. 32-39; ed anche I. F. Baer, Hayesodot ve-haatkhalot, cit., in particolare, pp. 27-31. Questo sistema implicava quindi un controllo da parte dell’autorita` rabbinica sull’operato delle altre istituzioni “laiche”.
[46] Il Capitolo n. 13 stabilisce che: <<Elessero et determinorono in nomi et modi come sopra che possino l’uomini della Congrega, parendoli per l’avvenire introdurre dentro dell’imbussolatione altri homini famosi e degni d’esser nel numero della Congrega detta si itagliani come oltramontani, sia in loro arbitrio a ponerli nel numero dell’uomini della congrega ma questo s’intenda farsi per via del partito vinto per li due terzi>>, in A. Milano, I capitoli, cit., p. 415
[47] Le convenzioni dell’anno 1624, articoli IX, XI, in D. Carpi, Le Convenzioni, cit., p. 34-36. Infatti la congrega veneziana era di fatto un’istituzione federale, come vedremo piu` avanti.
[48] U. Cassuto, I piu` antichi capitoli, cit., p. 207. Il secondo paragrafo stabiliva: <<che ogni anno si deputino et elegghino per detto magistrato dieci di loro ebrei per offitiali et capi della detta Universita` per stare un anno et entrare il primo d’Agosto cominciando a Agosto prossimo>>.
[49] I capitoli di Firenze del 1608, capitolo XXXVI, in U. Cassuto, I piu` antichi capitoli, cit., p. 76. Vedi anche Y. A. Lattes, The constitutional documents, cit., p. 46
[50] Cassuto, ibidem. Nelle varie comunita` di Italia, non sempre le cariche pubbliche erano ambite, anzi spesso la gente rifuggiva da assumersi responsabilita` personali nei confronti del pubblico, arrivando fino a pubblici litigi. La differenza stava pero` che mentre nelle altre comunita ` gli attriti erano dovuti alla loro eterogeneita` etnica e sociale, e quindi il pluralismo era la causa del costituzionalismo, invece a Firenze i litigi avvenivano nella “repubblica delli hebrei italiani”, come espressamente viene detto nel preambolo dei capitoli del 1608 (Cassuto, p. 38 ). Vedi anche piu` avanti il paragrafo sul pluralismo.
[51] S. A. Cohen, The concept of the three Ketarim, in <<AJS Review>>, IX (1984), p.32-33
[52] Sulla divisione dei poteri nella tradizione biblica vedi: D.J. Elazar, S.A. Cohen, The Jewish Polity, Bloomington 1985, p. 7-20; ed in particolare sulla struttura politica delle corone vedi: S. A. Cohen, The concept, cit., pp. 27-54; S. A. Cohen, The three crowns, Structures of communal politics in early rabbinic Jewry, Cambridge 1990.
[53] D. J. Elazar and S. A. Cohen, The Jewish Polity, cit.; S. A. Cohen, The concept, cit. in particolare le pp. 29-32
[54] D. J. Elazar and S. A. Cohen, The Jewish Polity, cit. pp. 16-17
[55] Infatti: <<A survey of the long history of Jewish political conduct, as well as a review of the comments passed on the Jewish political tradition by some of its most representative exponents and commentators, reveals this to be a cardinal constitutional axiome>>, S. A. Cohen, The concept, cit., p. 29.
[56] S. A. Cohen, The three crowns, cit., in particolare pp. 7-28
[57] Vedi S. A. Cohen, The three crowns, cit., pp. 18-20
[58] Vedi D. J. Elazar and S. A. Cohen, The Jewish Polity, cit., p. 105 ff.
[59] Confronta D. J. Elazar and S. A. Cohen, The jewish polity, cit., p. 174
[60] <<siano ancora tenuti li fattori ogni tre mesi adunare e congregare la congrega dove abino a manifestare tutto quello che sia stato fatto per l’Universita` delle cose piu` importanti fatte nelli 3 mesi>> (capitolo 10), A. Milano, I Capitoli, cit., p. 414; <<li fattori vechij debbano consegnare l’offitio et informarli dell’esser delli negotij>> (Capitolo 11), A. Milano, ibidem
[61] Capitoli 9 e 27. Fin dall’inizio dell’organizzazione comunitaria ebraica in Europa, le decisioni pubbliche dovevano venire sottoscritte da un autorita` rabbinica. Vedi sull’argomento: I. F. Baer, Hayesodot we-hahatkhalot, cit.,p. 1-41; M. Elon, Lemahutan shel Taqqanot ha-qahal, cit., p. 1-54, in particolare p. 39 ff.; vedi anche R. Bonfil, Ha-rabbanut be-Italia, cit., p. 74. La condizione, secondo la quale, i cittadini o i membri di una comunita` possono stabilire regole comuni di comportamento, solo con l’assenso di un’autorita` rabbinica, si basa sulla discussione talmudica riportata in Baba Batra`, 8b-9a. Vedi anche R. Bonfil, Gli ebrei in Italia, cit., p. 173 Il fatto stesso che le autorita` “laiche” non avessero la possibilita` de jure di emettere la scomunica, sottintendeva che ci fosse un’opera di controllo morale dei rabbini. Infatti anche la funzione di controllo dei rabbini sulle autorita` “laiche”, e` un elemento tradizionale ebraico, discusso fin dal decimo secolo e per tutto il medioevo. Vedi M. Elon, Mishpat ‘Ivri`, cit., vol. 2, p. 562-563
[62] Il primo paragrafo dei capitoli del Da Pisa, cosi` stabilisce: <<che la detta congrega habbia facolta`, potesta`, et autorita` come tutta l’universita` insieme in quantita` e qualita`, e sia la mano et facolta` et fatto loro come la loro senza varieta` et differenza alcuna et senza augumento et mancamento alcuno in modo che tutto quello che farranno et eleggeranno finiranno decideranno delucideranno et moderaranno in qualunque negotio delli negotij dell’Universita` et delle Congreghe>>, in A. Milano, I Capitoli, cit., p. 409
[63] Capitolo quarto: <<ogni risolutione o grande o piccola siano obbligati farla per via del partito>>, A. Milano, I Capitoli, cit., p. 410-411
[64] Valga per tutte cio` che viene detto nel primo paragrafo dei Capitoli del da Pisa per Roma, che l’autorita` della congrega proviene da tutta l’universita` al completo (citato alla nota 62). Non mi sembra quindi accettabile l’affermazione di Bonfil, escludendo naturalmente casi limite, che <<tutti erano d’accordo sul fatto che l’esercizio dell’autorita` non poteva aver luogo altro che all’interno d’un contesto di sottomissione a rappresentanti qualificati, agli interpreti della legge, ovvero i rabbini>>, R. Bonfil, Gli ebrei in Italia, p. 171-172. Anzi la regola pare fosse proprio diversa, di separazione dei poteri e quindi di controllo reciproco, anche quando il rabbino era un dipendente della comunita`. Infatti, che ci volesse un rabbino per emettere una scomunica, costituiva un elemento di controllo del rabbino sulle istituzioni comunitarie, almeno dal punto di vista politico-giuridico. Cio` non toglie che se la personalita` del rabbino era debole, la sua prerogativa poteva venir sfruttata da altre istituzioni.
[65] Vedi R. Bonfil, Ha-rabbanut be-Italia, cit., pp. 68-69, dove riporta esempi di contratti tra comunita` e rabbini, ed anche pp. 73-76, dove descrive lo sviluppo storico della necesssita` di assenso del rabbinato per poter emettere una scomunica.
[66] In molte comunita` infatti non bastava aver studiato nelle accademie per avere il titolo rabbinico, ma era necessaria l’autorizzazione della congrega per ricevere il titolo rabbinico. Vedi per esempio R. Itzhak min-Halleviyym, Medabber Tahpuchot, a cura di D. Carpi, Tel Aviv 1985, pp. 29-38, e nell’introduzione di Carpi, p. 17. Vedi poi per tutti R. Bonfil, Ha-rabbanut be-Italia, cit., pp. 67 ff.
[67] I Capitoli, paragrafo n. 29; nell’edizione di A. Milano, I Capitoli, cit., a pagina 422
[68] R. Bonfil, Ha-rabbanut be-Italia, cit., p. 73
[69] A. Toaff, Ha-ghetto be-Roma, cit., p. 11; A. Milano, Il ghetto di Roma, cit., p. 215
[70] A. Milano, Il ghetto, cit., p. 176
[71] Riguardo la definizione del pluralismo gerarchico, vedi D. J. Elazar, The American Constitutional Tradition, Lincoln 1988, p. 40-46
[72] D. Carpi, Taqqanoneha, cit., pp. 444-445; D. Carpi, Le Convenzioni, cit., p. 25. Sulla formazione dei diversi gruppi vedi anche R. Bonfil, Gli ebrei in Italia, cit., pp. 161-162.
[73] D. Carpi, Taqqanoneha, cit., p. 445
[74] Questo tema sui diversi modelli di struttura comunitaria, merita uno studio specifico, che mi riprometto, se D-o vuole, di approfondire in futuro.
[75] vedi sopra alla nota 47
[76] Vedi D. J. Elazar, Covenant as the Basis of the Jewish Political Tradition, in Kinship and Consent, a cura di D. Elazar, Ramat Gan 1981, p. 21-56, dove riporta vari esempi.
[77] Sulla teologia del patto, vedi: D. J. Elazar, Covenant as the basis, cit.; D. J. Elazar and S. A. Cohen, The Jewish Polity, cit., p. 8-9
[78] Questo tema riguardante la possibilita` di imposizione della volonta` della maggioranza sulla minoranza, fu molto discusso dai rabbini durante tutto il medioevo, in quanto punto centrale di ogni organizzazione rappresentativa. Vedi M. Elon, Power and Authority, Halachic stance of the Traditional Community and its Contemporary Implications, in Kinship and Consent, a cura di D. J. Elazar, Ramat Gan 1981, pp. 184-185, e le citazioni ivi riportate; M. Elon, Le-mahutan shel Taqqanot, cit., p. 3 ff. Sui rapporti tra maggioranza e minoranza nel diritto ebraico, vedi in particolare, M. Elon, Mishpat ‘Ivri`, cit., vol. 2, p. 580-587
[79] I. F. Baer, Hayesodot ve-hahatkhalot, cit., p. 29; M. Elon, Mishpat ‘Ivri`, cit., p. 564 ff.
[80] A. Milano, I Capitoli, cit., p. 335
[81] Dal preambolo alle Convenzioni di Venezia del 1624, pubblicate da D. Carpi, Le Convenzioni, cit., p. 30
[82] vedi il mio, The Constitutional Documents, cit., p. 20