Un quanto mai attuale documento di Herbert Pagani, cantante-poeta-scultore-pittore-attore-scrittore-disc-jockey, ebreo di sinistra e sionista, scritto all’indomani dell’infame equiparazione dell’Onu al razzismo nel 1975.
Herbert (Avraham Haggiag) Pagani (1944-1988)
Di passaggio a Fiumicino sento due turisti dire, sfogliando un giornale: “Fra guerre e attentati non si parla che di ebrei, che scocciatori…” È vero, siamo dei rompiscatole, sono secoli che rompiamo le balle all’universo. Che volete. Fa parte della nostra natura.
Ha cominciato Abramo col suo Dio unico, poi Mosè con le Tavole della Legge, poi Gesù con l’altra guancia sempre pronta per la seconda sberla, poi Freud, Marx, Einstein, tutti esseri imbarazzanti, rivoluzionari, nemici dell’ordine. Perché? Perché l’ordine, quale che fosse il secolo, non poteva soddisfarli, visto che era un ordine dal quale erano regolarmente esclusi; rimettere in discussione, cambiare il mondo per cambiare destino, questo è stato il destino dei miei antenati; per questo sono sempre stati odiati da tutti i paladini dell’ordine prestabilito. L’antisemita di destra rimprovera agli ebrei di aver fatto la rivoluzione bolscevica. È vero. C’erano molti ebrei nel 1917. L’antisemita di sinistra rimprovera agli ebrei di essere i proprietari di Manhattan, i gestori del capitalismo… È vero ci sono molti capitalisti ebrei.
La ragione è semplice: la cultura, la religione, l’idea rivoluzionaria da una parte, i portafogli e le banche dall’altra sono stati gli unici valori mobili, le sole patrie possibili per quelli che non avevano una patria.
Ora che una patria esiste, l’antisemitismo rinasce dalle sue ceneri, o meglio, scusate, dalle nostre, e si chiama antisionismo. Prima si applicava agli individui, adesso viene applicato a una nazione. Israele è un ghetto, Gerusalemme è Varsavia. Chi ci assedia non sono più i tedeschi ma gli arabi e se la loro mezzaluna si è talvolta mascherata da falce era per meglio fregare le sinistre del mondo intero.
Io, ebreo di sinistra, me ne sbatto di una sinistra che vuole liberare gli uomini a spese di una minoranza, perché io faccio parte di questa minoranza. Se la sinistra ci tiene a contarmi fra i suoi non può eludere il mio problema. E il mio problema è che dopo le deportazioni in massa operate dai romani nel primo secolo dell’era volgare, noi siamo stati ovunque banditi, schiacciati, odiati, spogliati, inseguiti e convertiti a forza. Perché? …perché la nostra religione, cioè la nostra cultura erano pericolose.
Qualche esempio? Il giudaismo è stato il primo a creare il sabato, il giorno del Signore, giorno di riposo obbligatorio. Insomma il week-end. Immaginate la gioia dei faraoni, sempre in ritardo di una piramide. Il giudaismo proibisce la schiavitù. Immaginate la simpatia dei romani, i più grossi importatori di manodopera gratuita dell’antichità.
Nella Bibbia è scritto: “La terra non appartiene all’uomo, ma a Dio”; da questa frase scaturisce una legge, quella della estinzione automatica dei diritti di proprietà ogni 49 anni. Vi immaginate la reazione dei papi del medioevo e degli imperatori del Rinascimento?
Non bisognava che il popolo sapesse. Si cominciò quindi col proibire la lettura della Bibbia, che venne svalutata come Vecchio Testamento. Poi ci fu la maldicenza: muri di calunnie che divennero muri di pietra: i ghetti. Poi ci furono l’indice, l’inquisizione e più tardi le stelle gialle. Ma Auschwitz non è che un esempio industriale di genocidio. Di genocidi artigianali ce ne sono stati a migliaia. Mi ci vorrebbero dieci giorni solo per fare la lista di tutti i pogrom di Spagna, Russia, Polonia e Nord Africa. A forza di fuggire, di spostarsi, l’ebreo è andato dappertutto. Si estrapola il significato e eccoci giudicati gente di nessun posto. Noi siamo in mezzo ad altri popoli come gli orfani affidati al brefotrofio.
Io non voglio più essere adottato, non voglio più che la mia vita dipenda dall’umore dei miei padroni di casa, non voglio più affittare una cittadinanza, ne ho abbastanza di bussare alle porte della storia e di aspettare che mi dicano: “Avanti!”.
Stavolta entro e grido; mi sento a casa mia sulla terra e sulla terra ho la mia terra. Perché l’espressione terra promessa deve valere per tutti i popoli meno che per quello che l’ha inventata? Che cos’è il sionismo? …si riduce a una sola frase: l’anno prossimo a Gerusalemme. No, non è lo slogan di qualche club di vacanza; è scritto nella Bibbia, il libro più venduto e peggio letto del mondo.
E questa preghiera è divenuta un grido, un grido che ha più di duemila anni, e i padri di Cristoforo Colombo, di Kafka, di Proust, di Chagall, di Marx, di Einstein, di Modigliani, e di Woody Allen l’hanno ripetuta, questa frase, almeno una volta all’anno: il giorno della Pasqua.
Allora il sionismo è razzismo?
Ma non fatemi ridere. Il sionismo è il nome di una lotta di liberazione e come ogni movimento democratico ha le sue destre e le sue sinistre. Nel mondo ciascuno ha i suoi ebrei. I francesi hanno i còrsi, i lavoratori algerini; gli italiani hanno i terroni e i terremotati; gli americani hanno i negri, i portoricani; gli uomini hanno le donne; la Società ha i ladri, gli omosessuali, gli handicappati.
Noi siamo gli ebrei di tutti.
A quelli che mi chiedono: “e i palestinesi?” Rispondo “io sono un palestinese di duemila anni fa, sono l’oppresso più vecchio del mondo, sono pronto a discutere con loro ma non a cedergli la terra che ho lavorato. Tanto più che laggiù c’è posto per due popoli e due nazioni”
Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme. Tutta la sinistra sionista cerca da trent’anni degli interlocutori palestinesi, ma l’OLP, incoraggiata dal capitale arabo e dalle sinistre europee, si è chiusa in un irredentismo che sta costando la vita a tutto un popolo, un popolo che mi è fratello, ma che vuole forgiare la sua indipendenza sulle mie ceneri. C’è scritto sulla carta dell’OLP: “verranno accettati nella Palestina riunificata solo gli ebrei venuti prima del 1917”
A questo punto devo essere solidale con la mia gente. Quando gli arabi mi riconosceranno, mi batterò insieme a loro contro i nostri comuni oppressori. Ma per oggi la famosa frase di Cartesio penso, dunque sono non ha nessun valore.
Noi ebrei sono cinquemila anni che pensiamo e ci negano ancora il diritto di esistere. Oggi, anche se mi fa orrore, sono costretto a dire mi difendo, dunque sono.
Chi era Herbert Pagani:
http://it.wikipedia.org/wiki/Herbert_Pagani
http://lavocedelpadrone.net/452/herbert-pagani-arringa-per-la-mia-terra
Il video del testo in francese su YouTube, consigliato a tutti:
http://www.youtube.com/watch?v=LxNEhKdb4uI&feature=channel_page
Ancora sulla donazione Ucei alle popolazioni civili in Israele e a Gaza
Un appello da Israele di Jonathan Pacifici
In queste giornate così difficili ho letto con crescente angoscia il turbine di emails sull’iniziativa UCEI-CER.
Permettete una riflessione da parte di chi in questa guerra il suo piccolissimo contributo lo sta dando proprio sul fronte mediatico: faccio i milluim nell’unità del portavoce dell’esercito e sono stato richiamato con l’inizio delle operazioni.
Uno dei leaders meno conosciuti, ma forse tra i più importanti che il popolo d’Israele abbia mai avuto è Calev ben Yefunè, Principe della tribù di Jeudà che assieme a Jeoshua si dissocia dalla congiura degli esploratori. (Numeri XIII, 30)
In quello che è forse uno dei primi scontri interni al popolo ebraico tra sionisti ed anti-sionisti, Calev zittisce il popolo che protestava contro Moshè: un operazione che la Torà sottolinea con la parola onomatopeica ‘vajaas’ sulla cui profondità tanto insiste il mio Maestro Rav Chajm Della Rocca shlita.
Rashì ci dice che per ottenere il silenzio che gli ha poi consentito di esporre la sua difesa di Moshè e di Erez Israel, Calev apre il suo discorso con un apparente attacco nei confronti di Moshè. Una delle qualità di un leader, ci insegna Calev quattromila anni fa, è quella di saper utilizzare internamente ed esternamente la comunicazione. In una società nella quale tutti strillano contro Moshè, per poter dire qualche parola a favore di Erez Israel si deve saper ottenre qualche secondo di silenzio. Insegnandoci questo Calev viene premiato con l’ingresso in Erez Israel – solo in un intera generazione assieme a Jeoshua.
E’ a Calev che ho pensato quando ho visto per la prima volta il comunicato UCEI-CER.
Non conosco i dettagli dell’operazione, ma mi è sembrata perfettamente coerente con la strategia (anche mediatica) decisa dal governo israeliano in questa guerra. Ciò non significa necessariamente che io sia d’accordo con questa strategia, ma francamente poco importa. Quello che ho da dire sulle scelte dell’attuale governo israeliano, lo dirò assieme a tutti gli israeliani il prossimo 10 Febbraio andando a votare, non certo polemizzando con il governo in carica mentre i nostri ragazzi sono al fronte.
Riccardo e Renzo questo privilegio, giustamente, non lo hanno. Da ebrei della diaspora sostengono Israele. Punto. Lo fanno al meglio delle loro capacità e si coordinano con chi rappresenta il governo in carica – Ambasciata e Ministero degli Esteri – non certo noi Italkim – con tutto il rispetto. Lo hanno fatto con governi di destra e di sinistra, nei momenti facili ed in quelli difficili. Per quel che mi riguarda finisce lì la storia.
Quello che invece trovo assolutamente scandaloso è il modo in cui sono stati attaccati in questi giorni. I nervi a fior di pelle li abbiamo tutti. E va anche bene. Non va bene scaricare le proprie frustrazioni contro chi ha fatto della vita comunitaria in generale e della difesa di Israele in particolare il centro della propria esistenza.
Se c’è una persona che ha scardinato in Italia il sistema degli ebrei buoni e gli ebrei cattivi è Riccardo. Se c’è una persona che ha capito l’importanza dei media e li ha sempre utilizzati a favore della collettività e di Israele è Riccardo. Se c’è una persona sulla quale in Italia, Israele ha sempre potuto contare è Riccardo.
Accusarlo di svernderci per calcoli politici è la peggiore e più vile delle accuse che gli si possono rivolgere.
Si può non essere d’accordo su questa come su qualsiasi altra decisione prenda come Presidente della Comunità di Roma. Ma da qui a montare una campagna di delegittimazione come quella in corso mi sembra veramente oltraggioso.
Questa vicenda porta alla luce, tra le altre cose, un problema grave che abbiamo nelle nostre Comunità. Una profonda ignoranza dei concetti più basilari di comunicazione, a partire proprio dall’uso improprio che si fa della propria posta elettronica.
Posso dire di essere tra coloro che per primi, almeno nelle nostre Comunità, ha capito l’importanza di Internet e del suo uso per scopi comunitari. Ma come ogni cosa se ne può anche abusare. Ogni polemica diviene oggi, grazie all’ uso improprio del tasto inoltra, un problema nazionale.
Vale forse la pena ricordare che l’uso della posta elettronica è regolato, come ogni altra cosa nella nostra vita, dalla Halachà. Che Rabbenu Ghershom ha stabilito che leggere la corrispondenza di una persona senza il suo esplicito consenso è proibito, e che per questo motivo come spiega Rabbi Dr. Asher Meir, del Business Ethics Center of Jerusalem è estremamente problematico l’uso del tasto inoltra.
Non posso e non voglio ovviamente dare alcun tipo di indicazione halachica, ma mi sembra che se ognuno di noi riflettesse qualche secondo prima di inoltrare una mail la nostra qualità di vita, inclusa quella comunitaria, ne guadagnerebbe molto.
Jonathan Pacifici
(Jerushalaim)
PS. Se lo ritenete, potete inoltrare questa mail.