Il docente di Semiotica: “Lo Stato deve difendersi ma gli ebrei piacciono solo quando sono vittime”. In Italia i docenti universitari sono 60 mila e bisogna vedere chi sono i firmatari
Francesco Moscatelli
«La sola cosa che gli ebrei dovrebbero fare è fare le vittime di Auschwitz. Allora vi piacciamo. Il 27 gennaio siamo buoni perché siamo morti. Si dice sempre “Mai più”. Bene, mai più è oggi. Mai più vuol dire che oggi non ci lasciamo ammazzare come ci siamo fatti ammazzare ad Auschwitz. Chi nega questo e chi, chiedendo la sospensione della guerra, che non ha dichiarato Israele, bensì Hamas, vuole di fatto salvare Hamas e preservare un progetto politico che consiste nella ripetizione del 7 ottobre e nella strage degli ebrei».
Ugo Volli, professore universitario, docente di Semiotica e Comunicazione a Torino dal 2000 al 2019, esponente attivo della comunità ebraica italiana, si scaglia in modo molto netto contro l’appello firmato da 4mila suoi colleghi affinché la conferenza dei rettori e i ministeri coinvolti interrompano le collaborazioni con gli atenei israeliani «fino al ripristino del diritto internazionale e umanitario».
Professor Volli, la stupisce che questa raccolta firme abbia avuto questo successo?
«Intanto bisogna dire che i docenti universitari italiani sono 60 mila e poi bisogna capire chi sono questi 4 mila. Ho visto un po’ di elenchi e ho notato personaggi di varia origine. Mi pare molto più interessante il documento con cui la collega Daniela Santus, una docente di Geografia culturale, dettaglia i motivi per cui non ha aderito. Perché questi signori non hanno protestato per l’eccidio di 1400 persone? Per gli stupri? Per le mutilazioni?».
In realtà li menzionano parlando di «brutalità commesse da Hamas» e citando sia i morti, soprattutto civili, sia i 240 ostaggi…
«Ne parlano adesso, dopo un mese, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Cos’hanno fatto in quel momento? L’ispirazione fondamentale di questo appello è antisemita. Cioè la ragione che lo motiva è l’odio nei confronti di Israele e il tentativo di delegittimare l’autodifesa di uno Stato democratico che è stato assaltato da terroristi con un crimine che ha pochissimi paragoni nella storia contemporanea. Ci sono stati più morti solo nell’attentato alle Torri Gemelle. La cosa cui non rispondono è: cosa deve fare uno Stato democratico che ha l’obbligo di difendere i propri cittadini di fronte alla presenza di un gruppo terrorista che non solo ha fatto quello che ha fatto, ma che ha dichiarato che lo rifarebbe una, due, tre volte fino alla distruzione di questo stesso Stato che vuol dire poi il genocidio dei suoi abitanti?».
Perché parla di antisemitismo e non di antisionismo?
«Nella definizione internazionale di antisemitismo data dall’Ihra, l’organismo internazionale per la memoria dell’Olocausto, a cui aderisce anche l’Italia, si dice che il doppio criterio di valutazione fra Israele e altri Stati è un indice di antisemitismo. Anche l’idea di negare al popolo ebraico il diritto a uno Stato è un indice di antisemitismo».
Però un conto è negare la legittimità di uno Stato democratico, un altro contestare un’operazione militare. Non le pare?
«Israele fa una guerra difensiva: cerca di impedire la ripetizione di attacchi come quello del 7 ottobre. Inoltre Hamas ha dichiarato che il suo compito non è badare al benessere dei cittadini di Gaza ma fare la guerra a Israele. In quest’ottica la morte di vecchi e bambini è una cosa buona perché produce il risveglio della coscienza del mondo islamico. Cosa dicono i firmatari di questo appello davanti a queste affermazioni?».
I firmatari non negano il diritto di Israele a difendersi ma criticano i bombardamenti indiscriminati e utilizzano l’espressione «punizione collettiva» per ciò che sta accadendo a Gaza.. .
«Non c’è nessuna punizione collettiva, Israele sta cercando di eliminare, nei limiti del possibile, il pericolo per la popolazione di Gaza invitandola ad andar via dai luoghi del combattimento. Ogni giorno Israele fa pause di alcune ore e indica il percorso alle persone per lasciare la zona di guerra. I bombardamenti non sono indiscriminati, il tentativo è quello di non colpire la popolazione civile. C’è l’urgenza di eliminare un’organizzazione terroristica e criminale che in questo momento continua a tenere prigioniere 240 persone».
La Stampa 12 novembre 2023