Carlo Panella
Una consolidata tradizione storiografica vuole che gli ebrei nei paesi islamici abbiano sempre trovato una tolleranza e uno standard di vita incomparabilmente migliori, rispetto a quello dei paesi cristiani. Suffragata da documenti storici che -al di fuori di quelli della Genjza del Cairo- riguardano palesemente strati superiori delle comunità ebraiche (ricchi mercanti e rispettati rabbini in testa), questa tradizione configge radicalmente con la memoria storica di cui sono ancora oggi portatori gli ebrei sefarditi scacciati negli ultimi cinquanta anni dai paesi arabi.
Solo una articolata ricerca storica che ponga al centro documenti e memoria delle comunità sefardite nei paesi islamici degli ultimi trecento anni -di cui si avverte una necessità fortissima e che molti hanno già iniziato- potrà dare una conferma -improbabile- o una smentita -certa- al mito della “tolleranza islamica nei confronti degli ebrei”. La previsione di questo esito scontato, deriva da una lettura della diffusione capillare, violenta e volgare dell’antisemitismo nei paesi islamici. Antisemitismo virulento, che non può certo essere addebitato ai riflessi del conflitto arabo-israeliano, anche perché si basa su archetipi storici di lontanissima memoria, come l’accusa degli omicidi rituali per impastare il pane azzimo o altre follie similare (vedi il libro “Il pane azzimo di Sion”, del numero due del regime siriano Mohammed Tlas), collegato ai fatti di Damasco del 1840.
Al di là di questo dato, è inoltre indiscutibile, come ho dimostrato nel mio libro Antisemitismo islamico da Maometto a Bin Laden (Lindau 2005), che il principale archetipo dell’antisemitismo moderno -“il complotto ebraico”- sia di origine squisitamente maomettana e sia filtrato nella tradizione europea (su questo tutti gli storici sono concordi), solo dopo il XIV° secolo.
La vicenda storica di Maometto e della fondazione della sua prima comunità della Medina, riflesse nel Corano e nella Sunna, come è noto, costituiscono l’archetipo della “politeia” islamica. Il rifiuto ebraico della conversione, il supposto -ma indimostrato- tradimento delle tre tribù ebraiche che vivevano nella Medina a fianco degli “idolatri”, le punizioni successive (esilio per due tribù e infine sgozzamento nel 627 Dc dei 650 maschi dei banu Quraizah), segnano i pasi del mutato atteggiamento del Profeta nei confronti degli ebrei e la nascita dell’ossessione del “complotto ebraico”. A partire dalla morte del Profeta (anche’essa falsamente attribuita ad una ebrea falsamente convertita), lungo tutta la storia dell’Islam, ogni crisi della umma, a partire dalla guerra civile tra sciiti e sunniti, viene attribuito dalla tradizione musulmana a un qualche “complottatore ebreo” (che in ogni caso non è mai esistito come figura storica).
Oggi, numerosi documenti dell’Islam fondamentalista, vuoi della Arabia Saudita, vuoi della grande area che fa riferimento ai Fratelli Musulmani, vuoi dello sciismo khomeinista, continuano quella tradizione e inquadrano la vicenda storica di Israele non come un conflitto nazionalista tra sionisti e palestinesi, ma, appunto, come ennesimo e definitivo “complotto ebraico”. Una mirabile sintesi di questa paranoia è contenuta nello statuto di Hamas:
“Questi nostri nemici (gli ebrei, ndr.) erano dietro la Rivoluzione francese, la Rivoluzione russa e molte rivoluzioni di cui abbiamo sentito parlare, di qua e di là nel mondo. E’ con il denaro che hanno formato organizzazioni segrete nel mondo, per distruggere la società a promuovere gli interessi sionisti. Queste organizzazioni sono la massoneria, il Rotary club, i Lions Club, il B’nai B’rith e altre. Sono tutte organizzazioni distruttive dedite allo spionaggio.
Con il denaro il nemico ha preso il controllo degli Stati imperialisti e li ha persuasi a colonizzare molti paesi per sfruttare le loro risorse e diffondervi la corruzione.
A proposito delle guerre locali e mondiali tutti sanno che i nostri nemici hanno organizzato la Prima guerra mondiale per distruggere il califfato islamico. Il nemico ne ha approfittato finanziariamente e ha preso il controllo di molte fonti di ricchezza; ha ottenuto la Dichiarazione Balfour e ha fondato la Società delle Nazioni come strumento per dominare il mondo. Gli stessi nemici hanno organizzato la Seconda guerra mondiale, nella quale sono diventati favolosamente ricchi grazie al commercio delle armi e del materiale bellico e si sono preparati a fondare il loro Stato. Hanno ordinato che fosse formata l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con il Consiglio di Sicurezza all’interno di tale organizzazione, per mezzo della quale dominano il mondo.”
Un ossessione, si badi bene, che non è affatto figlia dei Protocolli dei Savi di Sion (come erroneamente si crede, anche a causa di una lettura troppo affrettata di Bernard Lewis), ma che la precede e la determina, come ben spiega l’ayatollah Khomeini (che non cita mai i Protocolli) nel terzo paragrafo del suo fondamentale testo sul “Governo islamico” del 1970: “Fin dal principio il movimento islamico venne tormentato dagli ebrei, i quali diedero inizio alla loro attività reattiva, inventando falsità circa l’Islam, attaccandolo e calunniandolo. Ciò è continuato sino ai nostri giorni. Poi sopravvenne la funzione di gruppi che possono essere considerati più malvagi del demonio e delle sue schiere”.
Oggi, il presidente iraniano Ahamadinejad si inserisce in questa tradizione, rilanciandola come baricentro di una nuova aggressiva strategia planetaria, imperniata sulla bomba atomica. Una strategia che combina la deterrenza atomica all’impiego della guerra asimmetrica-terroristica (secondo il modulo impiegato da Hezbollah in Libano), non solo per difendere interessi di potenza regionale (come erroneamente pensano le varie cancellerie, Farnesina inclusa), ma per “esportare la rivoluzione islamica”, programma per cui è stato eletto.
Ahmadinejad, nel suo recente discorso all’Onu ha definito uno schema interpretativo delle relazioni internazionali basato proprio sul concetto di “complotto ebraico”, sostenendo che proprio le sue trame determinano l’indegnità morale delle Nazioni Unite. Ha pronunciato una condanna netta, volgare della legittimità antifascista dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, ha negato l’esistenza della Shoà, ha proposto un nuovo assetto dell’Onu, basato sull’esclusione di fatto dell’asse sionista-americano e sull’alleanza che aveva appena siglato nei giorni precedenti con il peggiore caudillismo populista latinoamericano (anch’esso esplicitamente antisemita) di Hugo Chavez e di Evo Morales.
L’antisemitismo peggiore, l’apoteosi del “complotto ebraico”, diventa così sotto i nostri occhi un protagonista centrale del confronto internazionale, addirittura del dibattito sulla riforma dell’Onu. Un fronte di nazioni orgogliosamente antisemite -tanto che ne fanno una chiave di lettura della storia- sta cementando una alleanza internazionale sul fertile terreno del Movimento dei Non Allineati. La implosione del totalitarismo sovietico (anch’esso venato di antisemitismo) lascia il campo ad un emergente identità aggressiva dei paesi del terzo mondo produttori di petrolio (Iran e Venezuela in testa), che ha nell’antisemitismo il suo baricentro.
E’ ora che il mondo della politica, della cultura e del giornalismo, accecati dal politically correct e dall’inerzia di metodi d’analisi crollate venti anni fa col Muro, se ne rendano conto.
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