Le virtù di Nello – Storia di un intellettuale eroe schiacciato dalla figura del fratello
ANGELO D’ORSI
Aveva oscillato, da liberale, tra Amendola e Gobetti, nel primo dopoguerra; aderì all’ultima esperienza dell’antifascismo militante nell’Italia del 1925, il Non Mollare, di Ernesto Rossi e compagnia; davanti al fallimento delle opposizioni si era un po’ ritratto negli studi, coltivando la sua passione storiografica, che, se il destino non avesse altrimenti deciso, ne avrebbe fatto uno dei grandi storici italiani del secolo. Nello Rosselli, di lui stiamo parlando, il fratello minore di Carlo, accomunato a lui nei viali delle rimembranze, a seguito dell’odioso assassinio di cui furono vittime insieme, nel giugno di settant’anni fa.
Carlo, il teorico del socialismo liberale, il fondatore di GL, il grande esule dall’Italia in camicia nera, il coraggioso militante della guerra di Spagna; e, più giovane soltanto di un anno, Sabatino, detto Nello. A differenza del fratello, destinato anche lui per talento e ambiente alla vita degli studi, ma che la percezione di un dovere più alto condusse a sacrificare carriera e affetti, e infine, la stessa vita, trascinando, involontariamente, Nello nel baratro con lui. Furono uccisi, da un banda di cagoulards – i nazionalfascisti d’Oltralpe – sicari assoldati dal regime mussoliniano, per eliminare colui che era considerato l’oppositore più pericoloso sulla scena internazionale, Carlo Rosselli, appunto. Questa grande ombra ha finito per schiacciare la figura del fratello, ora portata alla luce, sia pure in modo non del tutto soddisfacente, da un libro di Giovanni Belardelli che ripropone aggiornandolo un vecchio suo lavoro (Nello Rosselli, Rubbettino).
I due Rosselli, secondo una vecchia dicotomia, sono riproposti come il politico (Carlo), un socialista (liberale) che milita, si batte con parole e con armi e soccombe; e l’intellettuale (Nello), un liberale (democratico) che non ha propensione all’azione, e cade solo per «colpa» del fratello, o se si preferisce, per una classica beffa del destino. In realtà, se si scava nella trame della personalità del Rosselli minore, si troverà non soltanto la grana fredda dello studioso, ma la passione calda dell’artista (fu pittore tutt’altro che disprezzabile) e, non ultima, la forte tensione del militante. In tal senso, da storico e da intellettuale impegnato, per quanto lo potesse essere negli anni del regime, Nello fu un combattente per la verità.
Certo, a differenza di Carlo, che sacrificò tutto alla battaglia contro il fascismo internazionale, Nello cercò di conciliare la costruzione di una carriera di studioso, con gli orientamenti antifascisti. Fu in ciò protetto da qualche relazione importante, a cominciare da quella con Gioacchino Volpe, intellettuale organico del regime, che esercitò un’egemonia nel settore storiografico, pari a quella di Giovanni Gentile nell’ambito degli studi filosofici. «Antifascista per caso», certo, Nello Rosselli, il quale di sicuro non ebbe la vocazione politica di Carlo, ma farne un antifascista riluttante, questo no; e confinarlo nei limiti del liberalismo pare altrettanto riduttivo. L’influsso del socialismo fu tutt’altro che assente sul suo pensiero; e del resto lo studio di figure come Bakunin o Pisacane è significativo; e anche il suo interesse per Mazzini include la voglia di superare le manchevolezze del programma politico dell’apostolo genovese, in fatto di ceti proletari. E il «soggiorno» a Ustica e poi a Ponza, come confinato politico, costituisce un buon biglietto da visita.
Infine, l’amicizia intensa con Carlo Levi – ebreo, borghese, antifascista come lui – può rappresentare un indizio ulteriore: amicizia suggellata dal comune amore per i pennelli, un settore in fondo nel quale si aiuteranno vicendevolmente, al punto che talvolta Nello fa credere che qualche sua tela sia opera dell’amico. Le loro lettere – ignorate dai biografi dell’uno come dell’altro e conservate nel Fondo Manoscritti di Pavia – sono un capitolo interessante, benchè minimo, di come alcuni intellettuali borghesi potessero «resistere», tra confino e – quando si riesca ad ottenere «il divino passaporto» – fughe all’estero (Londra, per Nello; Parigi, per Carlo), o ripiegamenti nell’ambito amicale e familiare.
«È opera ciclopica far digerire a questi italiani la tua pittura, e, più, la mia», scrive Nello, e quegli italiani, sono gli Italiani che Mussolini sta cercando di conformare. In Nello c’è una insicurezza di fondo, condita da un po’ di cupezza, che contrasta il solare, volitivo ottimismo di Carlo: «Tra gli strumenti musicali quello che più m’assomiglia è certo la chitarra o il violoncello, quando piange sulle corde di mezzo». E ancora: «Avrei bisogno di andare da un buon orologiaio che mi smontasse tutto, ripulisse pezzetto per pezzetto, e rimontasse…». Scrive Nello il 18 febbraio 1929: «Mi è quasi triste, ora, guardare le mie bimbette, animaletti inconsapevoli, dalla piccola vita piena e vibrante. Quale sarà, più avanti, il loro tormento? E avranno forza per sopportarlo?».
Poco più di otto anni dopo, la tragedia. Nello Rosselli fu straziato a pugnalate, con suo fratello Carlo, dopo essere stati raggiunti da colpi di revolver, nella tragica imboscata di Bagnoles de l’Orne. Aveva 37 anni. Carlo, uno di più.
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