Il saggio con i paraocchi analizzato parola per parola – Premio Strega a una storica medievista italiana che scrive di Medio Oriente contemporaneo. Dati, teorie e studi nel suo libro? No, solo giudizi: ciò che conta è accusare lo Stato ebraico (ma anche Della Pergola divide Israele in “sionismi buoni” e “sionismi cattivi”)
Sergio Della Pergola – Il Riformista – 24 Giugno 2025
Ora che il libro di Anna Foa (“Il suicidio di Israele”, ndr) ha vinto il Premio Strega per la Saggistica, credo sia opportuno leggerlo. O forse rileggerlo. Tante persone esprimono giudizi su libri mai letti. Il caso paradigmatico è il famoso Pasque di sangue di Ariel Toaff (Il Mulino, 2007). La recensione di una famosa scrittrice, apparsa pochissimi giorni dopo la pubblicazione di questo ormai storico caso letterario, iniziava con le parole: “Non ho ancora letto il libro, ma…” e seguiva una poderosa stroncatura.
Il lavoro di Anna, più che un libro, è quello che in inglese si chiama pamphlet: un po’ meno di 25mila parole stampate in corpo agevolmente leggibile, pari a un lungo articolo su una di quelle tediose riviste scientifiche, in cui però una cospicua parte del testo è dedicata a dettagliate note a piè pagina e a lunghe e faticose bibliografie. Nel caso attuale, la bibliografia è breve ed essenziale, forse carente su alcuni temi, ma comunque secondaria allo scopo. L’obiettivo del volumetto è di comunicare con un ampio pubblico, e questo obiettivo è stato effettivamente ottenuto con molto successo. Credo che le vendite vadano molto bene, così come quelle del volume parallelo di Gad Lerner, Gaza: Odio e amore per Israele (Feltrinelli, 2024). Decine di migliaia di copie vendute fanno bene al cuore perché confermano che gli Italiani leggono.
La storia letteraria di Anna Foa
Ma che cosa leggono? Anna Foa è una brava e affermata storica medievista che si è anche cimentata con successo con la storia contemporanea, come nel caso del suo bel saggio-memoria Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43 (sempre per Laterza). La sua specializzazione riguarda soprattutto gli ebrei in Italia e negli altri Paesi europei: vedi il suo Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione XIV-XIX secolo (Laterza, 1999, iv rist. 2025), tradotto anche negli Stati Uniti a Berkeley, e anche la sua collaborazione con l’altro noto italianista Kenneth Stow dell’Università di Haifa.
Le falle nello studio del Medio Oriente
Minori invece sono le credenziali di Anna Foa nello studio del Medio Oriente, per il quale sarebbe necessario possedere la piena padronanza di almeno una delle maggiori lingue locali, fra l’ebraico, l’arabo, il turco e il persiano. Se ciò è vero per quanto riguarda la lettura e l’intepretazione dei documenti antichi, questo non è meno vero nel caso dell’attualità di fronte alla massa imponente di stimoli che provengono dalla stampa quotidiana, dai mezzi di informazione elettronici e digitali, e dalle reti sociali. Le traduzioni parziali e imperfette in italiano (o anche in inglese) non producono se non una pallida traccia di questa imponente quantità di materiali – invero grezzi, da depurare e filtrare accuratamente. Qui il contemporaneista non può evidentemente limitarsi alla lettura dei testi originali ma deve aiutarsi grazie all’ausilio di tecniche di lettura aggregative e quantitative che sono offerte specialmente nell’ambito delle scienze sociali empiriche. La massa di materiali è quasi insormontabile per quantità, ma anche se letta selettivamente può produrre stimoli di analisi e di sintesi molto superiori e utili rispetto al grezzo confronto con l’epidermide di una realtà tanto complessa. E qui evidentemente va riconosciuto che viviamo in un contesto di narrative divergenti e contraddittorie. La spaccatura del sapere mette in crisi tutte le metodologie. L’egemonia del sapere da parte di gruppi di interesse e delle persone con essi relazionate mette a rischio il valore stesso della ricerca della verità, e crea quel senso diffuso di anomia di fronte ai grandi problemi del presente e alle grandi scelte in vista del futuro che tutti, con qualche eccezione, conosciamo bene.
Il testo di Anna Foa va dunque, in primo luogo, giudicato sul piano della metodologia. Se si tratta di un saggio serio, disciplinare, a quale disciplina lo apparentiamo? Storia? Certo no, anche se – come vedremo – un certo approccio storico emerge soprattutto nella prima parte. Sociologia? Certo no, vista la completa mancanza di riferimenti a dati, teorie, correnti, logiche di causalità. Scienza politica? Certamente no, vista la mancanza di uno studio approfondito della contestualità soprattutto regionale ma anche globale. In ogni caso, sono assenti da questo testo quegli elementi di contestualizzazione e di confronto storico e geopolitico che potrebbero aiutare a inquadrare quei giudizi di valore che purtuttavia sono ben presenti. I giudizi sono presenti, in modo semplificato, sul qui e sull’adesso, senza nessuno sforzo di tracciare un quadro più ampio e, riconosciamolo, più ambivalente e complesso delle forze, degli eventi e delle persone che hanno condotto alle attuali contingenze.
Saggio esternazione personale…
Il saggio di Anna può essere classificato, dunque, esclusivamente nella categoria delle esternazioni personali. Anna, che coraggiosamente ha scelto di portare un’identità ebraica, è un’intellettuale nota al pubblico – un’intellettuale pubblica, come si dice nel mondo anglosassone – e come tale esprime un’inquietudine personale. E questo va apprezzato nell’ambito della libertà di espressione, che per fortuna caratterizza le società democratiche. È più che legittimo esprimere i propri sentimenti, e anche le proprie critiche al sistema, o a sistemi. Ma per fare quest’ultima operazione bisognerebbe apportare degli elementi analitici che qui gravemente mancano.
Quella di Anna è semmai un’esternazione personale che non ha alcun vantaggio di spessore professionale rispetto a qualsiasi altra opinione. Il pubblico è libero di scegliere o di ricusare. Se il pubblico che sceglie è molto ampio, ciò non dimostra che l’opinione sia valida e corroborata da prove sostenibili. Il successo editoriale costituisce semmai un test probante dell’orientamento pre-esistente, che trova dunque conferma di quanto già si sapeva o si presumeva di sapere. Il libro non convince il lettore per i nuovi elementi che apporta, ma in quanto gli conferma le idee vecchie e tutti i pregiudizi che già possedeva.
La prima parte: storia dei sionismi
Il libro sostanzialmente si compone di due parti. La prima metà è un breve compendio (si diceva una volta un “bignamino”) di storia del sionismo, o meglio dei sionismi. Certo, di storie del sionismo serie e documentate in italiano non ne mancano, ma questa parte può essere utile ai lettori giovani, vista sia la drammatica e spettacolare carenza di letture nella generazione del TikTok sia l’abissale ignoranza che, a proposito di sionismo, prevale non solo nella pubblica opinione in generale ma anche fra gli accademici e gli “esperti”. Anzi, prevale oggi un perverso corso di demonizzazione del concetto basilare di “sionismo”, il cui equivalente concettuale sarebbe in termini italiani “Risorgimento”. Ossia la generica ma empatica affermazione dell’esistenza di un popolo (quello ebraico/quello italiano), l’aspirazione all’unità nazionale di questo popolo e l’affermazione del suo diritto alla sovranità politica. Nulla più. Siamo d’accordo che il “sionismo religioso” di Smotrich è una contraffazione: non è né sionismo, né religioso. Dunque è utile informare il lettore che il popolo ebraico ha sviluppato una sua gamma di teorie politiche articolate e pluraliste nei contenuti e negli obiettivi. Obiettivi che, almeno nella lunga fase dell’egemonia laburista in Israele, sono stati gestiti con grande pragmatismo.
Seconda parte: testo scade e finisce nella mani di forze ostili a Israele
La seconda metà del libro affronta invece i temi legati alla crisi militare politica contemporanea. Il libro si rifà alla crisi a Gaza, iniziata dal massacro inusitato perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, ma non perde attualità di fronte alla guerra Israele-Iran iniziata tecnicamente il 13 giugno 2025, ma in realtà in corso sin dal momento della Rivoluzione islamica dalla fine degli anni ’70. E qui il pamphlet di Anna Foa scade nella carenza di informazione, nei giudizi affrettati e incompleti, e in definitiva in una forma di rappresentazione unilaterale degli eventi. Il testo cessa di essere l’esternazione di una persona preoccupata, e diviene uno strumento di lavoro nelle mani delle forze ostili a Israele che potranno benissimo coprirsi del nome di Anna Foa per dare legittimità alle loro stesse pulsioni.
Il conteggio delle parole
Compiamo allora una veloce lettura integrale del testo attraverso il semplice strumento del conta-parole, e vediamo che cosa troviamo e che cosa non troviamo. La parola sionismo appare 46 volte più 2 volte sionismi. Risorgimento, 2. Islam 0, ma islamico/islamista/islamizzazione 6 volte. Fondamentalismo 0. La radice colon-(i, ialismo, izzazione, ecc.) 40 volte. Occupazione/occupati, 7 volte. La parola terrorismo appare 1 sola volta, nel contesto dell’uccisione di Stefano Taché. Terrorista 1 (Baruch Goldstein). Non esiste terrorismo arabo. Massacro, 5 volte: 3 da parte di Israele, 1 da parte palestinese, 1 neutro. Apartheid, 5 volte: 2 da parte di Israele, 3 neutro. Morti, 14 volte: 6 da parte di Hamas, 5 da parte di Israele, 1 i sei milioni, 1 neutro. Genocidio, 5 volte: 4 da parte di Israele, 1 neutro. Bombardamenti 3, tutti di Israele. Stupro/i 2, da parte di Hamas. Ostaggi 7, feriti 1, prigionieri 0. Passiamo alla storia e alla geopolitica: Israele appare 159 volte, Palestina (-esi, ecc), 156 volte. Shoah 24, Olocausto 1, antisemitismo 13, fascismo 1, nazismo 1, Nakba 8, Intifada 5. Gaza 54, Cisgiordania 1, Giudea 3, Samaria 3. Due Stati, 3. Netanyahu 29, Ben Gurion 13, Ben Gvir 7, Jabotinsky 6, Smotrich 3; Gallant, Gantz, Lapid, Liberman, Golan, tutti 0. Baruch Goldstein, 3. Arafat 5, Abu Mazen 3. Sinwar, Hanye, Husseini, Nasrallah, Ayatollah, un personaggio islamico qualsivoglia: tutti 0. Hamas 44, Hezbollah 1, Isis 0, Likud 3. Siria(ni) 9, Giordania 6, Libano 5; Emirati, Egitto, Iran, Irak, tutti 0. Iracheni 2 (1 ebrei, 1 Stato arabo).
E’ solo colpa di Israele…
L’orizzonte di Anna Foa è dunque visibilmente orientato verso un certo tipo di lettura, e questa lettura tende alla colpevolizzazione di Israele. Il conflitto è unilaterale e il colpevole è davanti ai notri occhi: Israele. Sarebbe almeno onesto riconoscere che è una lettura con i paraocchi, anche se nessuno intende negare che si tratta di una situazione complessa, con molte sfumature ambigue, molte cose da scoprire ancora, e un finale non proprio chiaro. Tutti sanno che Anna è ebrea, e se lo dice un’ebrea, quello che dice deve essere vero – anche se è una medievista italiana che scrive di Medio Oriente contemporaneo. Così si configura l’immaginario collettivo oggi in Italia, con una forma di antisemitismo alla rovescia. Così devono aver ragionato i giurati del Premio Strega per la Saggistica che hanno conferito ad Anna Foa il dubbio onore.