Giovanna Fumarola
Nel 1968, scendeva in piazza. Oggi critica i giovani che manifestano a senso unico: “Per difendere i palestinesi, bisogna sconfiggere il terrorismo di Hamas”
«Pensare che io vorrei sempre e solo parlare di teatro, invece mi si chiede ancora di parlare di antisemitismo in quanto ebrea», provoca Andrée Ruth Shammah. «Che siano sempre solo gli ebrei in prima linea a difendere qualcosa che non riguarda solo loro, ma la difesa dei valori democratici dell’Occidente, le sembra giusto?».
A 24 anni, battagliera, Shammah lascia il Piccolo Teatro di Giorgio Strehler e Paolo Grassi, e fonda a Milano assieme a Franco Parenti e ad altri intellettuali come Giovanni Testori il salone Pier Lombardo, un teatro che diventa palcoscenico nuovo, giovane, sotto forma di cooperativa, oggi intitolato al suo amore di allora, Franco Parenti appunto. Spettacoli, concerti, rassegne cinematografiche, conferenze, festival, novità editoriali: dal 1972 tutto quello che è innovazione passa da questo luogo che lei dirige con indomita passione.
LE PROTESTE NELLE UNIVERSITÀ – Ventenne, scendeva in piazza e sui cartelli c’era scritto: «No al fascismo». Oggi gli studenti occupano le università con slogan tipo: «There is only one solution, Intifada revolution», (C’è una sola soluzione, la rivoluzione dell’Intifada, ndr). Per esempio alla Columbia, una delle più famose, a New York. «Una minoranza che urla non è la maggioranza. La maggioranza delle persone ha capito che bisogna sconfiggere soprattutto il terrorismo di Hamas per difendere i palestinesi. Gli arabi moderati sono con noi».
Il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea parla di un raddoppio degli episodi di antisemitismo in Italia dopo i fatti del 7 ottobre; in Francia il Consiglio delle Istituzioni Ebraiche dice che in soli 3 mesi gli atti antisemiti hanno raggiunto quelli dei tre anni precedenti. Ci si deve allarmare? «L’antisemitismo è latente da sempre. C’è sempre stato, di questo sono certa. Diciamo che adesso, dopo il 7 ottobre, ha trovato modo di uscire nuovamente allo scoperto».
Lei ne è mai stata vittima? L’hanno mai trattata da diversa in quanto ebrea? «Non me ne preoccupo».
Va bene, ha la scorza dura, ma è capitato? «Ma certo, fin da bambina! Questa cosa ce la portiamo addosso sempre. Pensate che quando a teatro ho ospitato gli spettacoli di Hanoch Levin, un grandissimo autore israeliano, che oltretutto era contro il governo, su alcuni social leggevo frasi tipo: “Bisognerebbe togliere i contributi statali al suo teatro, è un avamposto del sionismo”. C’è un insegnante dell’Accademia di Brera che mi ha persino scritto: “Signora Shammah, viste le sue posizioni, non porteremo più gli studenti nel suo teatro”. Ho risposto: “Peccato per gli studenti, perché si perderanno dei begli spettacoli».
Al Salone del libro di Torino ci sono state proteste pro Palestina. «La politica e la cultura devono essere più avanti delle persone, indirizzarle verso il meglio. Non ci si deve occupare sempre solo di Israele, un Paese piccolissimo in uno scacchiere enorme di ingiustizie. Quando si condannano le ingiustizie del mondo, non si dovrebbe citare solo Netanyahu, perché sennò si identificano gli ebrei con il governo di Israele.
Si arriva a fischiare la cantante Eden Golan all’Eurovision 2024 solo perché è ebrea e israeliana. Capite che è come se nel mondo, chi non si riconosce nel governo italiano attuale, odiasse un italiano a prescindere?».
Invece si condanna la politica di Israele, ma tornano a galla anche fenomeni di antisemitismo. «È un meccanismo che ascrivo al senso di colpa dell’Occidente nei confronti della Shoah. È come se molti non ne potessero più di sentirsi addosso questa responsabilità. Finalmente qualcuno ha potuto dire: “Voi siete come i nazisti”, credendo di pareggiare le cose. Ci sono elementi della nostra cultura che da sempre infastidiscono e diventano pretesto. La dicitura “popolo eletto”, percepita come se contenesse un principio di superiorità, anche se la traduzione significa “popolo del patto”, del patto con Dio per custodire la sua parola. Citare i molti ebrei tra i vincitori di premi Nobel, oppure il fatto che il cinema in America non sarebbe esistito senza l’apporto creativo degli immigrati ebrei. Io da ebrea dico: “Saremo più forti di prima”. Molti Paesi arabi faranno la pace con Israele, anche se ora c’è un’ubriacatura, e tanti giovani si dimenticano che Hamas è contraria a ogni libertà civile. Gli omosessuali, per dire, Hamas li disprezza».
I giovani chiedono la pace, il cessate il fuoco. «La pace è un concetto meraviglioso, ma se non ci fossero state le armi, il Nazismo non sarebbe mai stato sconfitto. Hamas ha dichiarato che vuole la distruzione di Israele, quindi cosa facciamo, accettiamo questo senza che il mondo occidentale combatta perché non accada?».
Lei, figlia di ebrei sefarditi emigrati dalla Siria, ha spesso detto di aver valorizzato tardi la sua identità. «È la verità. Intanto,mi sono resa conto che quando gli altri ti additano, ti identificano con una definizione, tu stessa poi la riconosci. È lo sguardo degli altri che ti disegna, in un certo senso. Spesso la morte dei genitori segna il bisogno di conservare la tradizione. Mio figlio (Raphael Tobia Vogel, regista, nato dal matrimonio con l’odontoiatra milanese Giorgio Vogel, scomparso nel 2013, ndr) non ha avuto un padre ebreo. Suo padre era comunista, interessato alla cultura ebraica da un punto di vista letterario, leggeva Philip Roth e quasi solo scrittori ebrei, ma criticava la mia ostinazione nel voler preservare il senso delle origini».
Che cosa direbbe quindi ai giovani che rischiano di fomentare l’antisemitismo? «La nostra religione non ha la verità incarnata. Per noi ebrei, il Messia è una tensione, questo vorrei che capissero. Un ebreo a una domanda risponde sempre con un’altra domanda. L’ebraismo è quanto di più giovane e rivoluzionario esista».
Giovanna Fumarola
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