Rav Somekh aveva scritto: … “Senza naturalmente voler togliere nulla all’operato di un papa sulle cui personali responsabilità le indagini degli storici sono appena agli inizi, ho un’ultima domanda da porre a Lei e a tutti i cattolici “di buona volontà”. Dopo duemila anni, non Vi sembra giunto il momento che la Chiesa tutta esca dai propri confessionali e dichiari coram populo, come noi Ebrei facciamo il giorno di Kippur, “provo davvero rimorso per quello che è accaduto; ho mancato; non lo farò più”?” Su Pio XII le ricerche sono ancora agli inizi, è vero.
Ma l’errore con cui vengono fatte le cosiddette ricerche è quello di volere imputare tutti i crimini del nazismo a Pio XII, del quale, tra l’altro, ci sono anche prove del contrario. Il modo con cui vengono fatte queste ricerche è quello, quasi, di volere redimere il nazismo come vittima dell’antigiudaismo cattolico (a parte il fatto che l’antigiudaismo era cristiano)…
Non so non mi piace il tono pretestuoso di queste parole…sembra volere dire: “Il Mea Culpa del Papa non serve: guardate voi cattolici al nostro Mea Culpa.
Noi siamo più bravi a farlo e lo facciamo pur non avendo motivo di farlo… nonostante la Shoà…”.
Sia chiaro: la discussione in questo caso è chiusa.
Non potrà mai esserci nessuna riconciliazione, ma solo una parte che chiede scusa all’altra, per l’eternità….
Ma cos’è il giorno della memoria per un europeo? Deve essere inteso come il giorno della memoria o il giorno della vergogna?
Saluti,
Enzo Ferrara
Rav Somekh risponde:
Gli offesi e i perdonati
Caro Signor Ferrara,
Invio una “risposta aperta” alle Sue osservazioni in merito alla mia lettera alla Signora Loy. Mi scuso di farlo con qualche ritardo, dovuto unicamente al tempo disponibile, purtroppo scarso.
Lei si sofferma sul periodo conclusivo del mio intervento estrapolandolo dal suo contesto. Come ho già scritto in quella sede, noi Ebrei preferiamo non teologizzare la Shoah. Non perché D. davvero non c´entri, tutt’altro. Ma perché in tal modo noi evitiamo tre inconvenienti.
Il primo è quello che, chiamando in causa la Divinità, si rischia di sfumare le responsabilità umane del genocidio, pur sempre oggettive.
Il secondo possibile malinteso, assai più sottile, trova riscontro in certi ambienti cristiani cosiddetti ecumenici. Essi sostengono che l’atteggiamento conciliante di recente assunto da parte dei vertici della Chiesa nei confronti dell’Ebraismo perseguitato, e in particolare la richiesta papale di perdono, debba incontrare nella Comunità Ebraica un atteggiamento altrettanto “duttile”, pronto in pratica a riconoscere, dopo duemila anni, la divinità di Gesù.
Ma il terzo equivoco è il più delicato di tutti. Come Ebrei non possiamo fare a meno di riconsiderare l’ammissione di responsabilità della Chiesa “sub specie iuris Iudaici”. Esiste nel diritto ebraico l´istituto del giuramento del modeh be-miqtzàt, “colui che ha ammesso solo parte dell’addebito”. In altre parole, se l’imputato nega qualsiasi addebito gli si crede finché non viene provato il contrario, dando per scontata la sua buona fede. Ma dal momento che egli ammette la sua responsabilità in modo parziale, lo si fa giurare di essere effettivamente estraneo al resto dell’addebito, perché in tal caso si teme che egli sia in realtà totalmente responsabile ma che rilasci un’ammissione parziale solo per dilazionare il risarcimento.
Con tutto il dovuto rispetto e i necessari distinguo, il Papa ricorda in certo qual modo il modeh be-miqtzàt. Dopo le Sue ammissioni di responsabilità nei confronti del Popolo d’Israele sarebbe giusto aspettarsi un giuramento sull’estraneità da torti nei confronti del D. d’Israele. Ma credo che nessun Papa, in quanto onesto capo visibile della Chiesa, possa compiere un atto del genere.
Racconta un famoso Midrash che prima di affidare la Torah al popolo ebraico, D. la offrì a Esaù e Ismaele, ma questi la rigettarono dopo essersi informati su alcuni divieti contenuti in essa, incompatibili con le loro culture. R. Moshe Shemuel Glasner di Klausenburg spiega il Midrash nel modo seguente. Quando D. offrì la Torah ad Esaù ed Ismaele, disse ai loro saggi che avrebbe dato loro sia una Legge Scritta che una Legge Orale.
Avendo compreso che essi avrebbero avuto la possibilità di cambiare di volta in volta la Legge Orale reinterpretando la Legge Scritta, i saggi delle nazioni si resero conto che il rispettivo carattere nazionale avrebbe loro precluso l’accettazione della Legge. Una volta concessa loro la libertà di reinterpretare la Legge Scritta, infatti, vi avrebbero certamente infuso le loro inclinazioni. Intuendo che lo spirito della Legge sarebbe stato stravolto pur mantenendone la lettera, dissero correttamente “no, grazie” all’offerta di D.
Per questo noi Ebrei, pur ammirando il coraggio e la generosità del gesto di riconciliazione, non possiamo nello stesso tempo dissipare ogni alone di dubbio. Per questo noi Ebrei preferiamo non mettere di mezzo la Divinità in siffatti contesti.
Le resterà da domandarsi a questo punto se esiste ancora una via ebraica all’ecumenismo. La risposta è sì. Attraverso il richiamo universale all’applicazione dei sette divieti noachidi: omicidio, furto, incesto/adulterio/omosessualità, idolatria, bestemmia, vivisezione, ingiustizia. Qualche amico cattolico deluso mi ha domandato recentemente che posto ha nell’universalismo ebraico il messaggio dell’amore cristiano. Possibile che tutto si limiti a non uccidere? Cominciamo con non uccidere, gli ho risposto io. Così eviteremo che il mito della Divinità fattasi uomo si traduca nel mito inverso, decisamente aberrante, dell’uomo che si crede D.
Ed eviteremo soprattutto che si ripeta la situazione secolare in cui uomini vengono ammazzati perché colpevoli unicamente di aver ammazzato… D.!
Rav Dott. Alberto Moshe Somekh
Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Torino
Torino, 29 Ottobre 2002