Lo scrittore e sceneggiatore (Latma) Tal Gilad (figlio dell’autore dell’ “81esimo colpo”) risponde con un post pungente allo scrittore Amos Oz, che ha definito i “giovani delle colline” (coloni, N.d.T.) “neonazisti ebrei”
Tal Gilad – Traduzione di Davide Nizza
Shalòm Amos Oz, la parola “nazista” o la parola ritenuta chissà perché più attenuata “neonazista” viene usata troppo spesso come l’arma del Giudizio Universale a qualunque proposito, a quanto pare perché c’è gente come te che ne blatera l’uso liberamente, mostrando di non essere in grado di comprendere appieno l’orrore del nazismo e del suo operato. Si tenta continuamente di introdurre questo termine in un modello atto a farne cogliere la conoscenza o consapevolezza. Ma questo è impossibile, perché il nazista non è semplicemente una persona molto malvagia o un nazionalista o un poliziotto stradale. Il nazista è un’altra cosa, un’altra realtà o essenza.
Mio padre è sopravvissuto a Auschwitz. Entrambi i suoi genitori e la sua sorellina sono stati annientati dai nazisti e lui è rimasto solo, un giovane di 17 anni, senza nessun altro al mondo, nell’inferno più terrificante che il genere umano abbia mai creato. Lui è sopravvissuto là nonostante tutto e contro tutto. Durante la marcia della morte, quando durante la ritirata i tedeschi fecero marciare in fretta verso occidente in un gelido inverno quelli che erano rimasti in vita, lui riuscì a fuggire insieme con due compagni. In seguito si nascose in un villaggio fino all’arrivo dei russi, si arruolò volontario nell’Armata Rossa e combatté col suo carro armato sul fronte cecoslovacco contro i tedeschi.
Dell’ “81esimo colpo” avrai sentito, sebbene non l’abbia scritto tu. E’ la storia di un giovane che viene condannato a 80 colpi di fustigazione nel ghetto di Przemyśl perché aveva nascosto dei libri. Sopravvive a questa terribile tortura, durante la quale perde più volte conoscenza; tortura per la cui crudeltà molti persero la vita; ma lui sopravvive e riesce anche a andare a prendere i libri.
Mio padre è questo giovane, Michael Goldman Gilad. Lui riuscì a superare questo e Auschwitz e tutto. Si abbarbicò alla vita, fu all’inferno e ne uscì fuori e ci ritornò per vendicare i demoni; con una determinazione che tu non puoi comprendere. Dopo la guerra salì in Israele con una nave di Ma’appilìm[1], fu catturato dagli inglesi e rinchiuso nei campi di prigionia a Cipro. Dopo la nascita dello Stato di Israele fu liberato e immigrò in Israele. Quando raccontava la sua esperienza nel ghetto a diverse persone, nessuno gli credeva. Sicché non ne parlò più per anni; diceva che per lui questo era l’81esimo colpo.
Mio padre mise su famiglia, si arruolò nella polizia, fece carriere e, quando fu catturato Eichmann, fu assegnato all’Ufficio 06 a far parte degli investigatori contro il criminale, che era allora un povero prigioniero spaventato. Durante il processo mio padre stava accanto all’accusatore Gideon Hausner. Mentre in tribunale venivano ascoltate le numerose terribili testimonianze dei crimini nazisti, un giorno si presentò al banco dei testimoni un uomo che, parlando del ghetto di Przemyśl, raccontò di un giovane emaciato che aveva subìto ottanta frustate da parte di un ufficiale nazista e nello stupore generale era rimasto in vita e era riuscito a risollevarsi in piedi. Hausner chiese al testimone: “Sei in grado di identificare questo giovane in quest’aula?”. Il testimone rispose: “Sì, è l’ufficiale che sta accanto a te”.
Mio padre ha oggi 89 anni. Ha dedicato gran parte della sua vita alla ricerca, a conferenze, a spiegare la Shoàh, a raccogliere dati e documenti sulle comunità ebraiche annientate, sui criminali nazisti e sui giusti delle nazioni; per documentare le conoscenze, la storia, per non dimenticare. Due anni fa ha finito il suo libro “Mi ba-esh u-mi ba-màim”[2], il suo memoriale della Shoàh e del séguito. Lo scorso aprile gli è stato chiesto di unirsi al viaggio ai campi di annientamento in Polonia con una delegazione di ufficiali di polizia. Là, con una semplice cerimonia simbolica accanto ai forni crematori di Birkenau, è stato promosso al grado di Vice Questore della Polizia israeliana.
I nazisti sono stati la cosa più terrificante e satanica che sia mai esistita. I nazisti hanno annientati gli ebrei con metodi tecnici e scientifici e con crudeltà inaudita per anni, affamandoli e umiliandoli con lavori peggiori che nella storia della schiavitù, mandandoli alla morte nelle camere a gas su convogli stipati, nei cui vagoni morivano di sete e fame, bruciandoli, sparandogli, seppellendoli a volte ancora vivi nelle fosse comuni, sei milioni di persone, tra cui un milione e mezzo di bambini, tra cui mia zia, che non ho potuto conoscere, che era una bambina di 11 anni quando è stata assassinata. Non è stata uccisa, non è morta: è stata intenzionalmente assassinata con predeterminazione e con una malvagità inconcepibile, perché ebrea.
Chi scrive Tag Mehir – Price tag (graffiti di minacce; l’A. si riferisce a episodi recenti di scritte anti arabe riscontrati in israele) non è un nazista; e anche chi sputa qualche maledizione contro gli arabi o pensa che bisogna rimandare nei loro Paesi gli immigrati clandestini in cerca di lavoro non è un nazista; e nemmeno un soldato che a Hebron punta l’arma contro un palestinese che solleva il pugno o un colono che disturba un arabo che raccoglie le olive è un nazista, né neonazista, né giudeonazista, né qualunque altro pregiudizio o deformazione linguistica si voglia usare. Tu, Amos Oz, forse ti ritieni un intellettuale, ma sei un rozzo ignorante, che per tua fortuna non sai di che cosa stai parlando. Peccato che non esista una macchina del tempo per poterti mandare, te e i tuoi compagni dal dito facile sulla tastiera, per un giorno solo a Auschwitz. Sarebbe sufficiente. Un giorno all’inferno. Dopo di che aprirai la tua bocca sempre pronta a esprimere qualunque idiozia utile al premio Nobel e parlerai di nazisti e neonazisti.
La gente come te ama cantarsela e suonarsela che “non abbiamo imparato niente dalla Shoàh”. Ebbene sì, tu sei l’esempio vivente che non abbiamo imparato niente dalla Shoàh e di che cosa è stata in realtà. Anzi, dico di più: tu sei la prova provata di quello che ripeto sempre: anche un intellettuale può dire scemenze.
Arutz 7, 12.5.2014
[1] La Alyà “clandestina” contro il divieto di immigrazione imposto dagli inglesi nei confronti degli ebrei.
[2] “Chi nel fuoco e chi nell’acqua” in ebraico Ed. Yediòt; espressione tratta dalla preghiera Untanné tòkef, che si recita nella parte centrale del digiuno di Kippùr (v. anche Leonard Cohen, Who by fire).