Come difendersi meglio dalle malattie cha passano dagli animali all’uomo
Luciano Bassani
Nella Torah sono riportate regole di comportamento fondamentali, non solo per l’osservanza religiosa ma anche per la salute. Fra queste, sicuramente le disposizioni alimentari costituiscono un caposaldo. Per cibi “kasher” si intendono quelli idonei all’alimentazione di ogni ebreo. Nel Levitico, in particolare, sono sanciti i criteri di separazione tra gli animali permessi e quelli di cui non ci si può cibare. L’ebraismo, per esempio, vieta di cibarsi di animali come pipistrelli, rane, lumache o il maiale. Parimenti, proibisce di consumare carogne, animali uccisi tramite cacciagione e non macellati o trattati con metodi non codificati.
È tassativamente vietato per ogni essere umano, secondo i sette precetti noachidi (ossia di Noè, vale a dire la normativa che l’ebraismo ritiene vigente per qualsiasi persona, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, che garantisce, in ragione della sua osservanza, una vita etica degna e la salvezza ultraterrena), bere il sangue, cibarsi delle membra di un animale ancora vivente, nutrirsi di carne di bestie malate o con difetti fisici e organici definiti “taref” (non idonei), far soffrire inutilmente gli animali (es. la corrida). Inoltre, è chiaramente fatto divieto agli ebrei di mischiare carne e latte, che non vanno mai mangiati assieme: “non cuocerai il capretto nel latte di sua madre”.
Nel Levitico sono descritti gli animali che possono essere consumati dagli ebrei e quelli vietati. Sono permessi i ruminanti con unghia fessa (ovini, caprini, bovini e cervidi), mentre tutti gli altri sono proibiti, come, ad esempio, il coniglio, il cavallo, il cane, il gatto e naturalmente i vari tipi di suini (cinghiali, maiali, etc), che, pur avendo l’unghia fessa, non sono ruminanti. Gli animali acquatici debbono possedere simultaneamente pinne e squame. Gli altri sono invece vietati: tra questi ultimi troviamo l’anguilla, i crostacei e i molluschi. Gli uccelli consentiti devono essere non rapaci e non notturni. Sono, ad esempio, proibiti i corvi, gli sparvieri, i gufi, ma anche gli struzzi e gli animali che corrono rasenti al suolo, come serpi e lucertole. Lo stesso dicasi di mammiferi notturni volanti come i pipistrelli.
Secondo una lettura etico-sensoriale, la scelta di mangiare certi animali è legata a un concetto di spiritualità che conduce alla purificazione, mentre, al contrario, il cibarsi di animali che strisciano o rotolano nell’immondizia porta all’impurità e all’immoralità. In genere gli animali permessi sono erbivori, ossia animali che non mangiano altri animali. Esiste, naturalmente, un’interpretazione igienica, la cui non osservanza ingenera malattie e impurità. Vi è poi un’interpretazione simbolica, che proibisce di ingerire rettili o rapaci per impedire l’ingresso nel corpo di una natura malvagia e violenta, in un affascinante misto di religione, salute e psicologia umana secondo cui “siamo davvero quello che mangiamo”, dato che il cibo ingerito ci influenza profondamente. Le doti e le virtù da acquistare si ottengono nutrendosi dei ruminanti (ruminare sta per rimuginare); lo zoccolo diviso rappresenta la separazione e la distinzione morale; le squame e le pinne indicano, invece, la resistenza e l’autocontrollo.
In ogni caso, la cultura alimentare ebraica delinea un confine ben preciso fra lecito e illecito, che ha un valore prima di tutto educativo. Il cibo serve a vivere e convivere, e la convivenza, con le sue norme, è alla base di una società civile degna di tale qualifica.
Da questa disamina si evince che l’uomo, già agli albori della sua storia, aveva capito di far parte del creato, dove doveva vivere e con cui era chiamato a convivere, rispettandone le leggi. L’uomo, purtroppo, nella sua opera di devastazione, sta soverchiando le leggi della natura e sta andando contro le regole fissate dalla Torah, incluse quelle alimentari. Difficile dunque stupirsi se, per esempio, l’alimentarsi con animali proibiti possa portare allo scoppio di pandemie come quella attuale.
Sono trascorsi pochi anni dal periodo del morbo “della mucca pazza” o encefalopatia spongiforme, trasferitosi poi all’uomo manifestandosi con un quadro anatomo-patologico e clinico simile (malattia di Creutzfeldt-Jakob). Forse ci eravamo dimenticati che i bovini, per ragioni economiche, venivano nutriti con polvere d’osso, e che tale alimentazione non è idonea per i ruminanti in quanto erbivori! Gli effetti di questa “dimenticanza”, purtroppo, sono stati devastanti.
Negli animali come negli umani c’è la regola assoluta che vieta di modificare le leggi della natura.
Che dire, poi, di una dieta a base di furetti, scimmie, pipistrelli, pangolino (ampiamente utilizzato a scopo alimentare e nella farmacopea tradizionale cinese), che facilità il passaggio di un contagio dall’animale all’uomo! Ma, senza andare lontano, anche la carne di maiale, interdetta non soltanto dalla religione ebraica, risulta essere un ricettacolo di virus e altri parassiti che può portare, se non si osservano rigide regole sanitarie, al salto di specie (per esempio peste suina). Con il termine zoonosi si intende il passaggio di specie da animale a essere umano e sembra un fenomeno in aumento, probabilmente anche connesso al rapido dissesto ambientale con desertificazione e aumento delle temperature.
Meditiamo dunque sulla saggezza degli antichi, meno presuntuosi e superficiali, che sembra conoscessero il mondo e la vita meglio di noi.