- Leone da Modena o della contraddizione (G. Limentani)
- Lo scaldavivande (M.E. Artom)
- L’oggetto ambiguo (R. Di Segni)
- “Non mi piacciono i musei” (M.E. Artom)
- La colpa di Adamo (M. Monheit)
Leone da Modena o della contraddizione
La vita travagliata di un grande rabbino veneziano
“Avvertono alcuni nel calzarsi la mattina, mettersi prima la scarpa destra e la calza destra senza legare, poi mettersi la sinistra, e poi tornare a legare la destra, per cominciare e finir dal lato destro tenuto per buono”.
Questa strana usanza ebraica, compare nella prima parte del quinto capitolo della “Historia de Riti Hebraici” di Leone da Modena (1). Non in tutte le sue edizioni per la verità, così come non in tutte le sue edizioni compaiono altri passi più determinanti e illustrativi della ritualistica e dei costumi ebraici. Si può dire senza timore di venir contraddetti, che in ogni edizione di questo libro ebbe una sua propria dimensione e una sua propria forma, stabilite non tanto dall’autore quanto dalle persone e dagli ambienti ai quali la pubblicazione veniva destinata dai diversi editori.
Il giudizio dell’inquisizione
Il 1600 fu sotto molti aspetti un secolo di contraddizioni, così che se la Francia, più aperta e tollerante, consentiva un’edizione integrale del trattato di Leone da Modena e ne lodava l’autore pur augurandogli ovviamente di purificarsi abbracciando la fede cristiana, Venezia sottometteva lo stesso trattato al giudizio dell’Inquisizione, che lo faceva pubblicare sopprimendo passi come i 13 articoli di fede, determinanti per una vera comprensione dell’Ebraismo, ma che a suo insindacabile giudizio erano offensivi per la cristianità.
Ad ogni modo il libro di Leone da Modena, pur se discusso e soggetto a diverse censure e a tutte le contraddizioni del secolo che ne vide la luce, è il primo nella astoria della letteratura a descrivere i costumi e i riti degli ebrei dell’epoca col solo scopo dell’informazione obiettiva, serena ed esauriente. Malgrado l’antisemitismo più o meno acceso dei paesi in cui fu pubblicato, per tale fu riconosciuto e lo dimostrano le numerose edizioni che ne furono stampate. Edizioni curate in base a criteri diversi e spesso contrastanti, che procurarono certo molti affanni al suo autore, viene però fatto di chiedersi fino a che punto proprio le diverse e contrastanti vedute dei vari editori fecero soffrire Leone da Modena. Conoscendo la sua vita, sorge il sospetto che egli non si trovasse troppo a disagio fra i contrasti e che almeno entro una certa misura potesse comprenderli essendo lui per primo in perenne contrasto con se stesso.
Da oratore a “Maestro di cappella”
Nato a Venezia il 22 aprile del 1571 da famiglia colta e abbiente, Leone passò l’infanzia a Ferrara dove divenne ben presto famoso per il suo precoce ingegno. A due anni e mezzo leggeva pubblicamente in sinagoga passi delle Haftaroth e a tre già traduceva in italiano brani della Torà. Questi brillanti esordi non si rivelarono un fuoco di paglia e a nove anni Leone fu mandato a Padova dove studiò, fra gli altri, col poeta e grammatico Samuel de Arcivolti.
La rigorosa e complessa educazione che in genere veniva impartita ai giovani ebrei di buona famiglia diede particolari frutti su Leone, dall’intelligenza brillante e sensibile alle scienze umanistiche. Ben presto egli rivelò ottime doti di traduttore, commentatore, scrittore e versificatore, rivolgendo i suoi interessi non solo alla letteratura ebraica, ma anche a quelle latina e italiana, e si applicò allo studio della musica.
Quando nel 1589 la situazione economica del padre subì un improvviso tracollo, Leone poté subito rendersi indipendente insegnando, e a Venezia, dove si trasferì, divenne famoso per i suoi sermoni che attiravano anche un folto pubblico di gentili, e per i suoi epitaffi in versi. Le sue occupazioni furono subito molteplici e aumentarono col passare degli anni insieme alla sua fama. Egli divenne vieppiù famoso per la sua cultura, per la sua abilità di poeta e scrittore (scrisse anche una commedia), per le sue conoscenze talmudiche, per i suoi commenti alla Bibbia e perfino come “maestro di cappella” nella piccola accademia musicale che nel 1632 venne fondata nel ghetto di Venezia, ma purtroppo non furono solo le dosi, le conoscenze e l’abilità a dare impulso alla sua fama.
Giocare a palla nel ghetto
Come si è detto, Leone era perennemente in contrasto con se stesso, una contraddizione vivente. Tutti i suoi lati chiari erano bilanciati da un lato oscuro e angosciante che lo fece vivere sempre col cuore in gola e sull’orlo della bancarotta: la passione per il gioco e per le cattive compagnie. Oltre a tormentargli l’esistenza, questa passione influenzò non solo il suo atteggiamento generale, ma perfino i suoi responsa rabbinici.
Leone arrivò a difendere sia il gioco della palla nel ghetto durante il Sabato, sia quegli ebrei che andavano in giro ostentando il capo scoperto, ma neppure in queste sue prese di posizione fu mai fermo e coerente. Le sue opinioni erano dettate ora dalla passione per il gioco e per i cattivi compagni, ora dai rimorsi di coscienza, e quindi i suoi scritti risultano spesso contraddittori: vuoi estremamente liberali, vuoi esageratamente rigidi, Leone da Modena fu di volta in volta difensore e severo giudice del gioco d’azzardo, campione e nemico delle speculazioni mistiche. Altrettanto discontinuo fu il suo atteggiamento nei confronti dell’alchimia, da lui a tratti corteggiata forse nella vana speranza di fabbricare oro sufficiente a pagare i debiti di gioco per poter tornare a giocare con animo sereno.
Un critico romantico direbbe che la sua fu l’inevitabile sregolatezza del genio, perché geniale egli fu, senza dubbio e in ogni campo nel quale si cimentò, ma ai suoi giorni il romanticismo era ancora lontano, quindi non ci resta che pensare a lui come a un figlio del suo tempo, un tempo di contraddizioni.
Giacoma Limentani
NOTE
(1) La “Historia” venne pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1937. — Per altre notizie su questo libro, vedi Nino Samaja: “Le vicende di un libro “Storia dei riti ebraici” di Leon da Modena”, ne “La rassegna mensile di Israele, N. 21, 1955, Pagg. 73-84.