Spunti di Torà
La forza della preghiera
di Jehudà Zegdun
Esodo Cap. XXXII
7) E Dio disse a Mosè: «Va, scendi, poiché si è corrotto il tuo popolo che hai tratto dall’Egitto. 8) Si sono subito allontanati dalla via che Io avevo loro comandato, si sono costruiti un vitello di metallo fuso, si sono prostrati davanti ad esso, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: «Questo è il tuo Dio, Israele, che ti ha tratto dalla terra d’Egitto”». 9) E Dio disse a Mosè: «Ho constatato che questo popolo è di dura cervice. 10) Or dunque lascia che la Mia ira si accenda contro di loro, e Io li distruggerò e farò di te un grande popolo. 11) Allora Mosè supplicò il Signore suo Dio dicendo: «Perché si accende la Tua ira contro il Tuo popolo che Tu hai fatto uscire dall’Egitto con sì grande potenza e con mano forte? 12) Perché gli Egiziani dovrebbero poter dire: “È per far loro del male che li ha fatti uscire dall’Egitto, per farli finire fra le montagne e cancellarli dalla superficie della terra?” Trattieni dunque l’acceso Tuo sdegno e revoca la condanna minacciata al Tuo popolo. 13) Ricordati di Abramo, Isacco e Israele Tuoi servi, ai quali giurasti per Te stesso dicendo loro: «Io renderò la vostra discendenza numerosa come le stelle del cielo, e tutto questo paese che ho promesso di dare alla vostra prosperità, essi lo possederanno in perpetuo”». 14) E il Signore revocò la condanna che aveva minacciato di infliggere al Suo popolo.
L’importanza del passo qui sopra riportato non sta tanto negli eventi in esso narrati, quanto in ciò che se ne può dedurre, e cioè la forza che la Torah attribuisce alla preghiera. Il concetto di preghiera è molto complesso e può suscitare domande o obiezioni quali: a che cosa serve? Come può una preghiera influenzare Dio? Quale utilità può avere per l’uomo? E così via. Il nostro passo risponde a queste domande: esso dimostra che la preghiera può influire sulle decisioni divine e che è quindi un mezzo grazie al quale l’uomo può cambiare le sorti dell’umanità. Per arrivare a queste conclusioni occorre però studiarlo parola per parola, cominciando col dividerlo in due parti principali.
I parte – Descrizione del peccato commesso dal popolo e susseguente decisione divina id punirlo con la distruzione (versi 7/10).
II parte – Preghiera di Mosè e sua conseguenza (versi 11/14).
E adesso esaminiamo le due singole parti separatamente, iniziando da uno studio delle parole che Dio rivolge a Mosè.
Verso 7 – E Dio disse a Mosè: «Va’, scendi, poiché si è corrotto il tuo popolo che hai tratto dall’Egitto.
Verso 8 – Si sono subito allontanati dalla via che Io avevo loro comandato, si sono costruiti un vitello di metallo fuso, si sono prostrati davanti ad esso, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Questo è il tuo Dio, Israele, che ti ha tratto dalla terra d’Egitto”».
Verso 9 – E Dio disse a Mosè: «Ho constatato che questo popolo è di dura cervice.
Verso 10 – Or dunque lascia che la Mia ira si accenda contro di loro, e Io li distruggerò e farò di te un grande popolo».
Constatando che il Suo popolo, quello stesso che solo quaranta giorni prima ha accettato i Comandamenti, si è costruito un vitello d’oro e si dà a pratiche idolatriche, Dio invita Mosè a scendere dal monte. L’espressione che usa per invitarlo a scendere, e cioè va’, scendi, viene da alcuni interpretata anche in senso metaforico e starebbe qui a dire: scendi dall’altezza su cui sei salito.
Mosè è diventato capo del popolo ebraico e in quanto tale è stato importante agli occhi di Dio. Ora che il popolo ha violato la Legge costruendosi un vitello d’oro, ora che per questa colpa viene da Dio ripudiato, anche la figura di Mosè perde il suo carisma e deve quindi «scendere».
È questa un’interpretazione midrashica del testo, qualcuno però vi si è aggrappato anche in senso letterale per poter spiegare quel va’, scendi. In effetti uno solo dei due imperativi sarebbe stato sufficiente. Siccome invece i verbi usati sono due, anche la loro interpretazione deve essere doppia: Va’ = torna dal tuo popolo, scendi = dal livello carismatico sul quale sei salito.
Ma un altro particolare colpisce a una lettura più attenta, e precisamente quel tuo popolo… che hai tratto. Sembra strano che il vero protagonista dell’uscita dall’Egitto, e cioè Dio, affermi ora improvvisamente che il popolo ebraico non appartiene a Lui, bensì a Mosè, e che è stato Mosè a liberarlo dalla schiavitù egiziana, dopo aver detto più volte che il popolo nato dalla progenie dei Patriarchi è Suo e che Egli non Se ne potrà mai disinteressare.
Questa apparente incongruenza può essere spiegata se si tiene conto della grave colpa commessa dal popolo. Il popolo si è dato all’idolatria, quindi Dio vuole mettere bene in chiaro che Egli non lo considera più cosa sua e che esso non merita più di chiamarsi popolo di Dio. Lo stesso vale per l’uscita dall’Egitto, che può ormai considerarsi un capitolo chiuso e che perde il suo aspetto miracoloso proprio in quanto il popolo non ha saputo trarre dalla ritrovata libertà l’insegnamento in essa contenuto.
L’uscita dall’Egitto era destinata a iniziare una nuova pagina nella storia d’Israele, in quanto dimostrava che esistono valori superiori a quelli onorati dalla civiltà egiziana e da qualsiasi altra civiltà dell’epoca. Dandosi all’idolatria, il popolo ebraico ha rinnegato questi valori, e quanto questo rifiuto sia grave risulta evidente dalle parole che Dio pronuncia e che contengono una chiara allusione ai 10 Comandamenti. Un confronto sarà chiarificatore.
Contenuti del passo Comandamenti
Si sono costruiti un vitello di metallo fuso Non ti farai immagine alcuna
Si sono prostrati davanti ad esso Non ti prostrare davanti ad essi
gli hanno offerto sacrifici Non servirli (inteso nel senso del culto sacrificale)
e hanno detto: questo è il tuo dio, Israele…
Conoscendo l’animo umano, Dio non Si è limitato a prevedere dei possibili atti idolatrici, ma nei Suoi Comandamenti li ha descritti accuratamente proprio per mettere in guardia il popolo. Purtroppo quello ebraico è un popolo dalla dura cervice, che non solo ha trasgredito uno dei Comandamenti, ma ha aggravato la sua trasgressione dicendo: «Questo è il tuo Dio, Israele, che ti ha tratto dalla terra d’Egitto».
Ecco perché Dio dichiara implicitamente di non volersene più interessare, e consegna il popolo a Mosè invitandolo a scendere dal monte su cui era salito a prendere le tavole della Legge, che Egli stesso ha scolpite perché il popolo possa trovarvi una più completa comprensione del messaggio divino. Il popolo però non le merita più e col suo atto idolatrico ha rotto il patto stretto con Dio, come conseguenza:
Verso 9 – E Dio disse a Mosè: «Ho constatato che questo popolo è di dura cervice.
Verso 10 – Or dunque lascia che la Mia ira si accenda contro di loro, e Io li distruggerò e farò di te un grande popolo».
Prima di prendere in esame i differenti versi, sarà bene soffermarsi su un particolare che può sembrare strano. All’inizio del verso 9 è scritto: «E Dio disse a Mosè», e non si capisce bene che bisogno ci sia di ripeterlo: Dio non ha mai smesso di parlare e Mosè non gli ha ancora risposto. Che significato può avere questa ripetizione apparentemente inutile?
Una caratteristica biblica
Quando in un dialogo della Bibbia troviamo l’espressione E disse per due volte consecutive e riferita a un solo interlocutore senza che l’altro nel frattempo abbia preso la parola, la seconda, che sembra superflua, serve a far comprendere che fra le due persone che parlano c’è stata una pausa di silenzio, in quanto il secondo interlocutore non ha dato una risposta che il primo si aspettava. Oggi una simile pausa verrebbe espressa per mezzo dei puntini, dopo i quali il discorso riprende e continua. In mancanza della punteggiatura, la Bibbia sostituisce i puntini ripetendo E disse (vedi anche Genesi XXXI – 27 e 28). È appunto ciò che accade nel nostro passo: quando Dio comunica a Mosè che il popolo si è costruito un idolo, Mosè rimane stupefatto, senza parole, segue quindi un attimo di silenzio dopo il quale Dio riprende a parlare.
Prendendo ora in esame i singoli versi e addentrandosi nei particolari, noteremo immediatamente che mentre Dio ha esordito chiamando i popolo ebraico il tuo popolo, e cioè il popolo di Mosè, ora lo chiama questo popolo, con evidente disprezzo per il popolo dalla dura cervice.
Dio chiede il permesso di Mosè
E ora torniamo al verso 10 dove è scritto: «Or dunque lascia che la Mia ira si accenda…». Che cosa può significare l’espressione lascia? Forse che Dio ha bisogno di chiedere il permesso di Mosè?
Risponde Rascì: «Mosè non ha ancora pregato per loro (gli ebrei) e Dio dice lascia? Sì, perché Dio ha concesso a Mosè un’alternativa e gli ha fatto capire che la Sua decisione dipende da Lui: se Mosè pregherà per loro, Egli non li distruggerà.
Il discorso è chiaro. A regola, Dio dovrebbe distruggere il popolo ebraico che ha trasgredito il patto, ma vuole compiere un atto di misericordia e dimostrare che l’azione umana può arrivare perfino a cambiare una decisione divina, così offre a Mosè la possibilità di tentare. La fonte cui attinge Rashì, riferendola con la sua solita concisione, è un midrash che riportiamo qui sotto.
«Or dunque lascia… e li distruggerò. Forse che Mosè aveva i potere di trattenere Dio al punto di costringerlo a dirgli lascia? A che cosa si può paragonare questo fatto? A un re che si adirò con il figlio ed entrò insieme con lui in una stanza con l’intenzione di ucciderlo. Nella stanza il re gridò: «Lasciami, che lo voglio uccidere». Udendo le parole del re, il pedagogo che in quel momento si trovava fuori della stanza, pensò: Perché dice lasciami, se nella stanza sono soli? Evidentemente il re vuole che io vada a farlo desistere dal suo proposito. Per questo grida: lasciami».
L’immagine usata dal midrash è bella e rende la questione più chiara e vicina alla comprensione popolare. Rasì però lascia a bella posta le immagini e dà a tutta la parabola midrashica nel suo insieme la risposta che espone poi concisamente nel suo commento.
E passiamo ora alla seconda parte del passo: la preghiera che Mosè rivolge a Dio per farlo recedere alla Sua decisione.
11) Allora Mosè supplicò il Signore suo Dio dicendo: «Perché si accende la Tua ira contro il Tuo popolo che Tu hai fatto uscire dall’Egitto con sì grande potenza e con mano forte? 12) Perché gli Egiziani dovrebbero poter dire: «È per far loro del male che li ha fatti uscire dall’Egitto, per farli finire fra le montagne e cancellarli dalla superficie della terra?” Trattieni dunque l’acceso Tuo sdegno e revoca la condanna minacciata al Tuo popolo. 13) Ricordati di Abramo, Isacco e Israele Tuoi servi, ai quali giurasti per Te stesso dicendo loro: «Io renderò la vostra discendenza numerosa come le stelle del cielo, e tutto questo paese che ho promesso di dare alla vostra posterità, essi lo possederanno in perpetuo”». 14) E il Signore revocò la condanna che aveva minacciato di infliggere al Suo popolo.
La preghiera nel suo insieme può essere divisa in quattro parti. Le prime due contengono domande retoriche, delle quali la prima è un’obiezione rivolta a Dio, e la seconda riguarda i nemici di Dio. Le altre due parti contengono le richieste di Mosè, che prendono rispettivamente l’avvio dalle parole trattieni e ricordati. Se si volesse esemplificare tutta la preghiera in un semplice schema, avremmo;
Versi 11-12, domande retoriche Perché si accende la Tua ira…
Perché gli Egiziani dovrebbero…
Versi 13-14, richieste Trattieni dunque l’acceso Tuo sdegno…
Ricordati di Abramo…
Mosè restituisce il popolo a Dio
In tutta questa seconda parte del passo, il popolo ebraico viene chiamato il Tuo popolo e cioè il popolo di Dio, mentre nella prima parte viene intenzionalmente specificato che esso appartiene a Mosè. Si è corrotto il tuo popolo, ha detto Dio a Mosè nel verso 7, e Mosè ora ribatte affermando che, pure se ha peccato, il popolo ebraico è e deve continuare a essere il popolo di Dio, Il Tuo popolo.
Leggendo la Torah è necessario soffermandosi con occhio critico su ogni minimo particolare e tener conto di ogni variazione delle parole del testo, ed esaminando il nostro passo abbiamo visto quanti insegnamenti si possono ricavare da una sola parola cambiata. A proposito della parola Tuo come qui viene usata, il midrash dice:
«Poiché il tuo popolo si è corrotto. Rabbi Berachiah dice a nome di Rabbì Levì: “Un re aveva una vigna che aveva affidata a un mezzadro. Quando la vigna dava buon vino il re diceva: Quant’è buono il vino della mia vigna! E quando invece dava vino cattivo diceva: Quant’è cattivo il vino del mezzadro! Gli disse il mezzadro: Mio signore e re, quando la vigna dà buon vino dici: Quant’è buono il vino della mia vigna, e quando dà vino cattivo dici: Quant’è cattivo il vino del mezzadro. Buono o cattivo, il vino è sempre tuo”.
Così all’inizio Dio disse a Mosè: “E ora va’, Io ti mando dal Faraone e tu fa’ sì che il Mio popolo d’Israele esca dall’Egitto” (Esodo XXX – 10). Quando invece hanno costruito il vitello d’oro è scritto: “Va’, scendi perché il tuo popolo si è corrotto”. Dice Mosè a Dio: “Signore del mondo, quando peccano sono miei e quando non peccano sono Tuoi? Colpevoli o innocenti, sono sempre Tuoi, come è scritto: Ed essi sono il Tuo popolo e il Tuo possesso (Deuteronomio IX – 29)”»
Il midrash tende qui chiaramente a mettere in evidenza il fatto che Mosè si aggrappa a ogni appiglio pur di salvare il popolo, e Mosè desidera far presente a Dio che, anche se ora ha commesso una grave trasgressione, in passato però il popolo ha compiuto anche delle buone azioni.
Un’obiezione fuori luogo
L’obiezione di Mosè sembra a prima vista fuori luogo. Dopo il grave errore commesso dal popolo, sembrerebbe logico che egli rivolgesse a Dio parole di supplica, per indurlo al perdono. Mosè invece risponde a Dio come se non fosse successo nulla di grave e, anzi, si meraviglia della Sua ira. Il popolo ebraico ha commesso una grave trasgressione e Dio non dovrebbe adirarsi?
Più avanti, poi, Mosè parla della grande potenza di cui Dio Si è servito per condurre il popolo in libertà, quindi, se le cose stanno così, a tanto maggior ragione dio ha il diritto di adirarsi. L’argomento Egitto, di cui Mosè si serve, sembra quindi togliere efficacia alle sue parole invece di renderle più convincenti.
L’Egitto, la chiave del problema
Il midrash si serve proprio dell’argomento Egitto per chiarire il discorso di Mosè: il popolo va compreso, difeso e salvato proprio perché ha vissuto in Egitto. Vediamo che cosa dice esattamente il midrash.
«Che hai tratto dalla terra d’Egitto. Perché parla dell’uscita dall’Egitto proprio qui? Disse Mosè: “Signore dell’universo, da dove li hai tratti? Non forse dalla terra d’Egitto dove tutti adorano la costellazione dell’ariete?”. Disse Rabbì Unnà: “Il caso si può paragonare a quello di un saggio che apre per il figlio un negozio di profumi nelle vicinanze di un mercato di prostitute. Il mercato influenza il figlio, il suo mestiere pure e lo spirito giovanile anche, e il ragazzo prende una cattiva strada. Un giorno il padre lo coglie in flagrante con una prostituta e lo rimprovera tanto acerbamente da volerlo uccidere. C’è però vicino un amico (del padre) che dice: Sei stato tu la causa della perdizione di questo giovane, e ora lo rimproveri? Fra tutti i mestieri gli hai insegnato proprio quello del profumiere e fra tutti i luoghi, gli hai aperto un negozio proprio in un mercato di prostitute.
Così Mosè disse: Signore dell’universo! Hai escluso tutti i luoghi della terra e li hai dati in schiavitù proprio agli egiziani che adorano la costellazione dell’ariete. Costruendo il vitello d’oro i Tuoi figli Ti hanno dimostrato di aver imparato proprio da loro… Tieni dunque presente da dove li hai fatti uscire!».
L’Egitto: un’attenuante
Il midrash trova nelle parole di Mosè un’attenuante capace di diminuire la gravità del sacrilegio. Il popolo ebraico è ancora giovane, inesperto, e non trova facile liberarsi dall’atmosfera inquinata nella quale Dio lo ha fatto vivere. Le parole con grande potenza e con mano forte, che sembrano indebolire l’arringa di Mosè, le danno invece forza, in quanto servono a sottolineare che Dio ha dovuto usare tutto il Suo potere per sottrarre il popolo all’ambiente in cui lo aveva condannato a vivere e che esso ha assorbito.
Il popolo va giustificato
Secondo altre fonti, Mosè parla dell’Egitto non per giustificare il popolo, ma per sottolineare la grandezza di Dio. Come Dio ha mostrato la Sua grandezza colpendo gli oppressori con la potenza della Sua mano, ora Mosè vuole che dimostri questa grandezza anche attraverso la misericordia. La mano forte deve essere quindi capace di compiere anche azioni non più rivolte contro i potenti, ma verso i deboli e gli smarriti, per aiutarli a rialzarsi dal fosso in cui sono caduti.
Ha importanza quel che pensano gli altri?
Esaminiamo ora la seconda obiezione di Mosè. «Perché gli Egiziani dovrebbero poter dire: “È per far loro del male che li ha fatti uscire dall’Egitto, per farli finire fra le montagne e cancellarli dalla superficie della terra?”» (verso 12). Anche qui le parole di Mosè sembrano poco chiare. Quel che pensano gli altri popoli avrebbe dunque tanta importanza da essere d’intralcio al compimento della giustizia divina?
Ha importanza perché…
Anche qui, per spiegare le parole di Mosè occorre fare una premessa. Dio ha scelto il popolo ebraico e lo ha lasciato liberato dalla schiavitù perché sia d’esempio all’umanità e trasmetta la Torah agli altri popoli. Se quindi distruggesse il popolo ebraico, tutto quello che Dio ha fatto fin’ora diverrebbe inutile: chi infatti rimarrebbe per portare il Suo messaggio agli altri popoli? E ancora: la giusta punizione divina nei confronti del popolo ebraico potrebbe venire intesa in modo errato: invece di considerarla un atto di giustizia applicato in seguito a una grave violazione, gli altri popoli potrebbero scambiarla per una vendetta divina. A un Dio che si interessa della sorte degli uomini e che non è insensibile ai loro problemi, vale invece la pena di strappare un decreto di perdono, perché come conseguenza di questo decreto il Suo nome potrà essere divulgato fra le genti. Da qui l’invito di Mosè: «Trattieni dunque l’acceso Tuo sdegno e revoca la condanna minacciata al Tuo popolo» (verso 12).
Sarà anche interessante notare che, quando Si propone di distruggere il popolo, Dio dice a Mosè: «… li distruggerò e farò di te un grande popolo», e che Mosè ribatte ricordandogli la promessa fatta più volte ai singoli Patriarchi: «Farò di te un grande popolo» (Vedi ad es. Genesi XII – 2).
Quando Mosè finisce di parlare, Dio perdona al popolo: «E il Signore revocò la condanna che aveva minacciato di infliggere al Suo popolo», e il popolo ebraico, che all’inizio del passo Egli non riconosceva più come Suo, torna a essere il Suo popolo. La parabola si conclude così come un cerchio perfetto, e noi chiudiamo questo articolo trascrivendo qui sotto le parole di Mosè accanto a quelle di Dio, in modo che tutto il dialogo nel suo insieme appaia più chiaro e comprensibile.
E Dio disse a Mosè Allora Mosè supplicò il Signore suo Dio dicendo
Ho constatato che questo popolo è di dura cervice. Perché si accende la Tua ira contro il Tuo popolo…?
Or dunque lascia che la Mia ira si accenda contro di loro e che Io li distrugga, e farò di te un grande popolo. Ricordati di Abramo, Isacco e Israele Tuoi servi, ai quali giurasti… Io renderò la vostra discendenza numerosa come le stelle del cielo.
Domande
1) Nella nostra lezione abbiamo visto che una delle caratteristiche del testo biblico è la ripetizione della formula «E disse» anche quando l’interlocutore di un dialogo non cambia. Questa caratteristica è reperibile anche nel Cap. III dell’Esodo. Sapresti indicare in che punto? E sapresti dire qual’è il motivo di queste ripetizioni?
2) Nel nostro passo Mosè è paragonabile ad Abramo, in quanto si prodiga per salvare il popolo ebraico come Abramo si prodigò per tentar di salvare le città di Sodoma e Gomorra. Sono dunque entrambi due giusti, però, secondo lo «Zohar», se si volesse fare un confronto fra di loro, risulterebbe che Mosè è più meritevole di Abramo. Sapresti dire perché. (Vedi Esodo, Cap. XXXII vv. 31-32).
Risposte alle domande del numero precedente
1) Secondo il midrash, non erano le acque a essere amare, ma il popolo, che assumendo un atteggiamento ribelle capovolgeva una situazione obiettiva. La tesi del midrash, molto attuale, viene tuttavia contraddetta dal testo stesso, dove si afferma chiaramente che Mosè addolcì le acque amare (vedi Esodo XV – 25).
2) Nel midrash i simboli di padre, figlio e cane corrispondono rispettivamente a Dio, popolo ebraico e Amalek. Il discorso del midrash è il seguente: Nonostante tutti i benefici e i miracoli operati da Dio a favore del popolo ebraico, questo popolo si rivela un figlio irriconoscente che dimentica con facilità suo padre, quindi Dio lo punisce inviandogli contro Amalek.