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- Dinim in pillole: Digiuno 17 tamuz, Ben hametzarim, Tishà beav-il digiuno, le preghiere, Shiv’à de-nechamatà
- Punizione, disperazione e speranza (G. Limentani)
- La Havdalàh (R. Di Segni)
- Alcune regole sull’havdalàh
- La Mizvà modello culturale ebraico (M.E. Artom)
- La forza della preghiera (J. Zegdun)
- La preghiera influenza le decisioni di Dio? (S. Bahbout)
Le tavole pesanti
In questi giorni ricorre il 9 di Av. In tutto il calendario ebraico è difficile trovare una data più triste. Per questa ragione alcuni evitano di parlarne ai bambini, pensando che ai bambini si debbano raccontare solo storie allegre. A noi non sembra giusto, perché anche i bambini diventeranno grandi e allora sarà più duro imparare le cose tristi tutte insieme. Certi bambini, poi, che fanno i capricci per ogni sciocchezza e che piangono come fontane se un giocattolo si rompe, è bene sappiano che nel mondo succedono fatti ben più dolorosi della rottura di un giocattolo. Così, quando verrà loro voglia di piangere, ricacceranno indietro le lacrime e faranno un bel sorriso pensando a quanto sono fortunati in confronto ad altri bambini ebrei che il 9 di Av hanno veramente avuto motivo di piangere.
Prima del 9 di Av, gli ebrei vivevano a Gerusalemme e si sentivano molto bravi perché facevano tutto quello che saltava loro in mente. Invece non erano bravi affatto, perché ci sono cose che non si devono fare, e la Torah le elenca tutte, una dopo l’altra. In special modo non bisogna essere tanto sciocchi da scambiare dei fantocci di pietra o di metallo per dei veri dei e mettersi ad adorarli. Gli ebrei di quel lontano 9 di Av facevano proprio questo, e così si prepararono da soli la loro rovina. Quando un re straniero benne per conquistare la loro città, Dio, offeso, non guidò le loro schiere in battaglia ed essi, senza il Suo aiuto, furono vinti e portati via come prigionieri in un paese lontano, e il loro Tempio fu distrutto.
Dopo molti anni di prigionia poterono tornare nella loro città che il nemico aveva rasa al suolo. La ricostruirono, ricostruirono il Tempio e per alcuni secoli si comportarono come la Torah comanda. Poi, però, quando si sentirono di nuovo forti e sicuri di sé, misero un’altra volta da parte la Torah e presero a leticare fra loro. Anche questa è una cosa che non bisogna assolutamente fare, e infatti, quando un altro re straniero, un romano stavolta, venne per conquistare la loro città, si difesero, sì, e combatterono da eroi, ma avevano già tanto combattuto fra di loro che Dio, adirato, non guidò le loro schiere in battaglia ed essi furono vinti. I Romani distrussero il Tempio, rasero al suolo Gerusalemme, presero prigionieri tutti gli ebrei che poterono e li vendettero come schiavi sparpagliandoli nel mondo.
Nella storia ebraica ci sono stati purtroppo altri 9 di Av e questo è il motivo per cui questa ricorrenza viene celebrata con mestizia e lutto allontanando dalla mente ogni pensiero di giochi e divertimenti, ma per capire veramente il senso di questa giornata, bisogna risalire ancora più indietro negli anni, a un fatto che accadde pure in un 9 di Av, ma molti secoli prima della distruzione del primo Tempio, quando gli ebrei stavano ancora nel deserto e non conoscevano la Torah.
Non conoscevano la Torah.
Non conoscevano la Torah, ma conoscevano Dio che li aveva portati in salvo fuori dall’Egitto, e quindi non avrebbero dovuto sentire il bisogno di cercare altri dei. Purtroppo, però, quegli antichi ebrei erano come bambini capricciosi, si spaventavano per nulla e volevano sempre tutto e subito. Mosè che li guidava, aveva una grande pazienza e continuava a ripetere loro che c’è un solo Dio e che Dio li avrebbe portati sani e salvi nella Terra Promessa quando avessero imparato a memoria la Torah.
Ma dov’era la Torah? Era ancora in cielo e così Mosè dovette andare a prenderla. Stette via quaranta giorni, perché il cielo è lontano, e durante quei quaranta giorni gli ebrei fecero come fanno i bambini quando il babbo e la mamma escono. Per qualche tempo stettero buoni, poi cominciarono ad annoiarsi, dopo ancora si spazientirono vedendo che Mosè tardava, e infine si misero in mente che Mosè non sarebbe più tornato. A questo punto deciso di fabbricarsi un giocattolo col quale Mosè non avrebbe mai permesso loro di giocare: un pupazzo tutto d’oro raffigurante un vitello. Scambiarono il vitello d’oro per Dio e lo adorarono come in Egitto avevano visto fare agli egiziani.
Proprio in quel momento Mosè arrivò portando le tavole della Legge. Le tavole erano enormi, tutte di zaffiro e nello zaffiro erano incisi i Comandamenti. Mosè era un uomo molto forte, ma non perché era forte portava sulle braccia le tavole come se fossero state di piuma. Il fatto è che i Comandamenti hanno la proprietà di rendere leggero pure lo zaffiro: erano infatti loro a reggere le tavole. Quando però videro che gli ebrei pregavano cantando e ballando davanti a un idolo, i Comandamenti scapparono via per tornare in cielo. Le tavole non furono più rette dalla loro forza e diventarono così pesanti che Mosè non ce la fece a tenerle. Le lasciò cadere e le tavole si ruppero.
Se le tavole si erano rotte, la colpa non era di Mosè, ma degli ebrei che avevano fatto fuggir via i Comandamenti con il loro pupazzo d’oro. Per questo furono puniti e solo quando ebbero compreso il male che avevano fatto ricevettero delle nuove tavole. La storia degli sbagli e delle punizioni che hanno causato la distruzione di ben due Templi e le lacrime di tanti bambini ebrei comincia qui, in questo primissimo 9 di Av e ha una sua morale.
I Comandamenti, quando vengono osservati, sembrano a volte pesanti, ma rendono la vita leggera, piacevole e sicura. Quando invece ci si sente troppo forti e quando si crede di poter reggere la vita con le sole mani e si allontana da noi Dio non rispettando la Sua legge, allora tutto quello che si tocca diventa pesantissimo, cade a terra e va in briciole. E a noi non resta che piangere e far lutto.
G. Limentani