Fenomeni e miracoli o miracoli naturali
Un Midrash visto da Giacoma Limentani ed Emanuele Luzzati
Secondo alcuni serissimi studiosi, i miracoli non sarebbero altro che fenomeni naturali, che sembrano portentosi in quanto rari e perché, a volte si manifestano in occasioni eccezionali. A conferma di questa teoria, i suddetti studiosi citano la miracolosa apertura del Mar Rosso. Essi la giudicano sì miracolosa, visto che si verificò proprio nel momento in cui gli ebrei, tallonati dal Faraone, avevano assoluto bisogno che il mare si aprisse davanti a loro per poi subito richiudersi sugli inseguitori, ma precisano anche che il Mar Rosso era di per sé strutturato in modo da aprirsi a volte naturalmente in seguito a complesse concomitanze di venti e maree, per poi richiudersi, se mosso da venti e maree di segno opposto. E fra vari testimoni oculari del fenomeno in tempi più moderni e meno miracolosi, citano addirittura Napoleone.
Siccome ora ci troviamo a vivere nel disincantato e scientificissimo XX secolo, dobbiamo spesso ascoltare anche un’altra poco poetica teoria in base alla quale quella particolare apertura del Mar Rosso non fu solo un fenomeno naturale, ma anche un fenomeno naturale facilmente prevedibile da chi sapesse calcolare i ritmi e gli effetti di venti e maree, il che equivale a insinuare che Mosè fu un abile condottiero e un sagace stratega in quanto esperto naturalista, punto e basta. Punto e basta davvero, perché, a questo punto, tutta la maestosa poesia della liberazione dalla schiavitù egiziana rischierebbe di venir sommersa come l’esercito del Faraone, e dal prosaicissimo mare della logica scientifica, invece che da miracolosi flutti. Per fortuna, oltre a essere prosaico e scientifico, il mare della logica è però anche fatto di onde tonacissime che si insinuano in noi e, facendoci oscillare come pendoli, ci costringono a pensare ancora e ancora.
Se fino ad ora queste tenaci onde ci hanno indotto a considerare i miracoli sotto un aspetto per così dire scientifico, sospingendoci adesso nella direzione opposta ci portano molto più poeticamente a concludere che, se dei fenomeni naturali possono capovolgere a un tratto situazioni altrimenti disperate, miracolosa è la Natura, creata dall’Unico, miracoloso Creatore.
Se qualche patito del cosiddetto positivismo laico e progressista volesse però tacciare di bigotto oscurantismo una siffatta conclusione, bisognerebbe convincerlo a guardarsi intorno, alla ricerca degli infiniti miracoli che quotidianamente accompagnano la “naturale” esistenza del genere umano, non maestosi al punto di fare la storia, ma numerosi abbastanza per far pensare che i cosiddetti fenomeni naturali siano spesso guidati da una intelligenza superiore che li trasforma in veri e propri miracoli. Come nel caso di Udèl, la figlia del Baal Shem-Tov.
Era Kippur e Udèl non riusciva a trovare pace. Tutto in quel Kippur le sembrava strano e sviante: dal fatto che doveva mangiare per poter allattare, il fatto che, allattando, faceva mangiare un altro essere in un giorno in cui tutti i buoni ebrei digiunano. Udèl conosceva le ragioni per cui il digiuno non si addice a un neonato e a una puerpera, la capiva e, con la logica della mente le approvava. Qualcosa però nel suo illogico e palpitante errore, le faceva temere che se suo figlio, il suo bambino, non avesse imparato a digiunare di Kippur fin dai primi giorni della sua vita, da adulto il digiuno gli sarebbe stato di peso. Udèl sarebbe addirittura arrivata a temere che suo figlio, il nipote del santo Baal Shem Tov, crescendo avrebbe potuto diventare un cattivo ebreo, se una preoccupazione più immediata non l’avesse distolta da questo timore. Aveva messo suo figlio nella culla la sera prima, e al mattino il piccolo dormiva ancora. Aveva le manine tiepide e il buon colore di un bimbo sano, ma non accennava a destarsi per chiedere come al solito la sua poppata.
Verso le dieci quel sonno le sembrò tanto strano che Udèl provò in ogni modo a destare il figlio, e non riuscendovi si lasciò prendere dall’ansia. A mezzogiorno era tanto preoccupata che non riuscì ad ingoiare un solo sorso d’acqua, con tutto che non mangiava dal pomeriggio precedente. Era sfinita e angosciata, le mammelle le dolevano come se fossero state di pietra senza che ne uscisse una sola stilla di latte, e la paura che il bimbo soffrisse di un male oscuro la torturava.
Non sapendo cosa fare, Udèl prese il bimbo e andò a sedersi accanto alla finestra. Lo stringeva fra le braccia e pregava. Chiedeva misericordia per lui, per tutti i bimbi del mondo, per i peccatori che lei stessa poteva aver commessi senza accorgersene.
Continuò così a pregare cullando il bambino addormentato, finché dalla vicina sinagoga non giunse fino a lei il suono dello Shofar. Allora Udèl credette di sentirsi scoppiare le mammelle. Ne scoprì una. Era tesa e asciutta, e intanto il bimbo dormiva ancora né ancora sembrava possibile svegliarlo.
Lo svegliarono poco dopo, sempre provenienti dalla vicina sinagoga, le ultime, gioiose note della preghiera di Neilà. Il Kippur era finito, il bimbo aprì gli occhi e, contemporaneamente, dal capezzolo di Udèl il latte zampillò nella sua piccola bocca spalancata. “Mio figlio è già un buon ebreo che conosce i precetti” si disse Udèl e ringraziò il Signore per la gioia che le aveva dato. Un bimbo che non vuole svegliarsi per mangiare e delle mammelle piene di latte che non vuole uscire sono fenomeni naturali, banali, anzi, ma non ha del miracoloso che questi due fenomeni si manifestino insieme e in un giorno di Kippur?
Giacoma Limentani