La Tefillah dell’uomo moderno
Tefillah: preghiera o giudizio?
Quando ci si avvicina alla “Tefillah” per cercare di comprenderne l’essenza si va incontro a varie difficoltà: linguistiche, filosofiche, di interpretazione dei simboli ecc. La “Tefillah” poi è caratterizzata da paradossi che, se vengono vissuti come un’esperienza stimolante, possono cambiare radicalmente la vita dell’uomo.
In questa serie di articoli, cercheremo di toccare alcuni dei punti focali intorno ai quali ruota l’esperienza del “mitpallèl” (colui che dice la “Tefillah”): questi scritti tuttavia costituiscono solo un primo passo per un’analisi più approfondita del ruolo della “Tefillah” nel pensiero ebraico.
Tefillah deriva dalla radice palàl, giudicare: pelilìm infatti sono i giudici. Palàl può anche essere usata nel senso di ricercare, indagare e chiedere. Possiamo dedurre il significato di questa radice da vari passi: “Se un uomo peccherà verso un altro uomo, i giudici lo giudicheranno (ufillelò)”1; “Si presentò Pinechàs waifallèl “e pregò” oppure “e fece giustizia” e la pestilenza cessò”2. Il Talmud spiega quest’ultimo verso affermando che Pinechas si è quasi messo a contendere3 con il Signore perché facesse prevalere le sue qualità misericordiose.
“Leahitpallèl” (riflessive di palàl) significa quindi presentarsi a giudizio di fronte al Signore, giudice del mondo per essere giudicati. Ma prima ancora che presentarsi al giudizio divino, Tefillah è giudizio di se stessi, cioè del proprio Io, del suo rapporto con Dio, col mondo e viceversa. Dopo la Tefillah si ritorna alla vita attiva purificati per avvicinarsi al prossimo con amore. Non è un caso che in alcuni usi si usa far precedere la recitazione delle tefillot dall’impegno di volere mettere in pratica la mizwàh “Amerai per il prossimo tuo come per te stesso”. Tuttavia come abbiamo visto nell’interpretazione che il Talmud dà dell’azione di Pinechàs, questa radice assume anche un ulteriore significato: alcuni personaggi, di eccezionale levatura morale e spirituale, potevano anche “permettersi” di presentarsi dinanzi a Dio per discutere con Lui affinché applicasse la giustizia (con misericordia). Tra i vari esempi rintracciabili nella Bibbia, ricordiamo Avrahàm e Moshè e nel Talmud Chonì Ha–me’aghèl.
La preghiera di Avràham per Sodoma e Gomorra
Quando ad Avraham viene annunciato che il Signore ha deciso di distruggere Sodoma e Gomorra, la Torà dice: “… Avrahàm stava di fronte al Signore e fattosi innanzi disse: lungi da te il fare una cosa simile: far morire il giusto sia come il malvagio! Il Giudice di tutta la terra non farebbe giustizia?!”4.
Stare dinanzi al Signore (la-‘amòd lifnè ha-shèm) significa appunto pregare ed è un’espressione che si trova spesso sui muri delle Sinagoghe: Dà ‘lifnè mi attà ‘omed, sappi dinanzi chi tu stai (in preghiera).
I grandi personaggi della Bibbia discutono con Dio, non per ottenere vantaggi personali, ma per difendere la collettività: altro esempio tipico di queste tefillòt sono quelle di Mosè che sottopone Dio quasi a giudizio per la sua decisione di distruggere il popolo d’Israele che ha appena commesso il peccato del vitello d’oro5.
Bisogna notare che questi “contestatori” biblici riconoscono di non essere all’altezza della misericordia di Dio: la tefillàh cioè può essere detta, anche quando è critica contestatrice delle decisioni divine, partendo da una posizione di umiltà.
Chonì il capriccioso
Più sfacciato ancora fu il comportamento di Chonì detto Ha–me’aghel — colui che fa un cerchio —, secondo quanto narra la Mishnà6.
Per qualsiasi caso di sventura, che non colpisca mai una Comunità, si suona con clamore effetto che per eccesso di piogge (quando vengono cioè senza che ve ne sia bisogno, ma senza recare danno alle piantagioni, risultando moleste solo agli uomini).
Andarono una volta (in tempo di grande siccità) da Chonì Ha–me’aghel e gli dissero: “Di’ una preghiera affinché venga la pioggia”.
Egli disse loro: “Andate e portate al coperto le stufe preparate (che erano a cielo scoperto nei cortili) affinché non si sciolgano” (perché erano di argilla e la massa d’acqua che si sarebbe riversata su di loro li avrebbe sciolti: infatti era sicuro di essere esaudito).
Egli pregò e la pioggia non venne. Cosa fece? Fece in terra un cerchio e si fermò ritto in mezzo ad esso e quindi pregò Dio dicendo: “Signore di tutti i mondi! I tuoi figli rivolsero i loro sguardi a me perché sono da loro considerato come un amato figlio della casa paterna a tuo riguardo. Giuro nel nome tuo grande che io non mi muovo di qua finché tu non ti sia mosso a pietà dei tuoi figli”.
Cominciò a cadere la pioggia a gocce.
“Non è questo che domandai — disse egli — ma pioggia per pozzi, cisterne e grotte”.
Cominciò a cadere pioggia con violenza.
“Non è questo che domandai — disse egli — ma pioggia di gradimento, di benedizione, di generosità”.
Cadde la pioggia normalmente in quantità tale che gli ebrei dovettero recarsi da Gerusalemme al monte del Tempio a causa della pioggia (che aveva inondato la città).
Vennero e gli dissero: “Così come pregasti affinché venisse la pioggia, così prega che cessi.
Egli disse loro: “Andate a vedere se la “Even ha-to’im” (la pietra dove venivano portati gli oggetti smarriti) è liquefatta (così come ciò non poteva avvenire, così egli non poteva chiedere a Dio la cessazione di un beneficio)”.
Simeone figlio di Shatach (capo del Sinedrio) gli mandò a dire: “Se tu non fossi Chonì, io avrei decretato contro di te la scomunica (per il tono poco rispettoso e quasi imperativo della preghiera): ma che posso farti io, se tu ti comporti in modo capriccioso verso Dio ed egli fa la tua volontà, come un figlio bizzoso si comporta verso suo padre che tuttavia lo compiace? A te si può applicare il testo che dice: “Si rallegreranno tuo padre e tua madre e ne gioirà la tua genitrice” (Proverbi 23°, 257.
Il Talmud (Ta’anit 23°) aggiunse che Chonì rispose così alla richiesta del popolo: “Portatemi un toro da offrire a Dio in ringraziamento”. E avutolo gli impose le mani dicendo: “Signore di tutti i mondi! il tuo popolo Israele che traesti dall’Egitto non può sopportare né l’eccesso di grazia né l’eccesso di castigo, se tu sei in collera con loro non possono sussistere, se li colmi dei tuoi favori pure non possono sussistere. i piaccia far cessare la pioggia e far sì che il mondo proceda normalmente”. Subito spirò un vento che dissipò le nubi e il sole tornò a splendere in tutta la sua magnificenza.
Da questo racconto come dagli altri esempi portati dalla Bibbia, possiamo quindi dedurre come soltanto persone di particolare levatura possano avere un’esperienza di preghiera intesa come giudizio dell’uomo nei confronti dell’operato di Dio. In generale essa è giudizio dell’uomo sul proprio operato e giudizio di Dio sull’operato dell’uomo.
Ma la tefillà, per potere essere giudizio dell’uomo su se stesso, deve significare anche lotta (pelilìm) all’interno dell’uomo tra i due istinti del bene e del male: dal prevalere del ierer ha–tov sullo jerer ha–rà deriva la molla che porta al continuo progresso della Tefillah, come espressione della ricerca dell’uomo.
Shalom Bahbout
1 I Samuele 2°, 25.
2 Salmo 106°, 30.
3 Pelilòt, lite; Sanhedrin 82ª.
4 Genesi 18°
5 Esodo, 32°
6 Ta’anit 3°, 7.