Spunti di Torà
La vera libertà
a cura di Jehudà Zegdun
Quando affrontiamo la parashàh di Beshallach, ci troviamo di fronte ad un capitolo complesso e caratteristico della storia ebraica: la vita del deserto. Già la stessa Torà ci comunica come Dio intenzionalmente abbia deciso di prolungare la permanenza degli ebrei nel deserto invece di farli entrare subito nella terra promessa. Perché? Motiva la Torà:
“Quando il Faraone ebbe lasciato partire il popolo, il Signore non lo guidò attraverso il paese dei Filistei che era la via più breve per arrivare alla terra di Canaan, perché il Signore pensò che, assistendo il popolo ai combattimenti che potevano avvenire, avrebbe potuto pentirsi e far ritorno in Egitto. Il Signore dunque fece deviare il popolo attraverso il deserto arabico…” (Esodo, cap 13, vv. 17-18).
Motivo strategico
Leggendo queste parole, potrebbe sembrare che la motivazione sia stata strategica, in quanto uno scontro avrebbe potuto portare lo scompiglio nel popolo impreparato, costringendolo a tornare in Egitto.
Educazione e preparazione
Viceversa Maimonide sostiene che la motivazione non va intesa solamente come una mossa tattica ma anche come un gesto educativo.
Spieghiamo: un popolo appena uscito dalla schiavitù, non può affrontare una situazione che superi le sue capacità; non può da un giorno all’altro darà vita ad uno Stato con tutte le difficoltà che questo comporta: problemi politici, organizzativi ecc.; non può da un giorno all’altro diventare padrone di se stesso. Quindi, intenzionalmente, Dio evita loro una difficoltà, perché affrontino difficoltà di diverso genere, in modo da prepararsi a vivere in futuro una vita autonoma ed indipendente senza paure e senza complessi.
Scrive Maimonide (Morè Nevuchim — Guida degli smarriti — 3ª parte, cap. 32): “Non è nella natura dell’uomo di crescere su un lavoro duro e lavarsi poi le mani dalla sporcizia per combattere subito contro i giganti… Dio ha deviato il loro cammino facendoli andare nel deserto perché imparassero ad essere forti, in quanto si sa che il cammino nel deserto priva l’uomo di quelle comodità che gli impedirebbero di raggiungere la prodezza…”.
Secondo il Maimonide quindi, il deserto fu una palestra dove essi poterono formarsi fisicamente e psicologicamente per affrontare poi le situazioni difficili che la vita presentava.
Educazione spirituale
Di riflesso, il deserto comportava per gli ebrei anche un’altra prova, nel senso che essi dovevano educare se stessi ad avere fiducia in Dio.
La mancanza di pane e di acqua e le altre difficoltà sottopongono il popolo ebraico ad una verifica: riusciranno ad avere fiducia in Dio? Dio ha dato prova di essere costantemente vicino a loro (una nuvola di giorno ed una colonna di fuoco li guidavano nelle loro tappe), riusciranno essi, dopo i miracoli che hanno visto operare nei loro confronti, a non scoraggiarsi alla prima difficoltà, e ad avere fiducia in Lui? Riusciranno a controllare il loro animo e a rivolgersi a Lui con le preghiere?
Se esaminiamo i vari passi che descrivono le difficoltà che il popolo incontra, notiamo come il popolo spesso si scoraggia lasciandosi travolgere dal proprio animo.
Per maggior chiarezza, riportiamo schematizzati tali passi, in modo che il lettore possa avere un quadro chiaro della situazione.
Sebbene in tutte le tappe Dio li sollevi dalle difficoltà, appena si presenta la difficoltà successiva, si ribellano contro Mosè ed indirettamente contro Dio.
Dio cerca di educarli e di incoraggiarli ad aver fiducia in Lui, infatti dopo la seconda tappa addolcisce loro l’acqua e fa trovar loro 12 fonti d’acqua e 70 palmizi.
Ma essi ricadono facilmente nell’errore, dimostrando poca buona volontà e poco senno.
È interessante esaminare un po’ più a fondo la terza difficoltà che incontrano nel deserto di Sin: la fame.
Riportiamo il passo della Torà: “Partirono da Elim e tutta la Comunità dei figli d’Israele giunse al deserto di Sin situato fra Elim e il Sinai.
Tutta la Comunità dei figli d’Israele mormorò contro Mosè ed Aron nel deserto. Dissero loro i figli d’Israele: “Fossimo pur morti per mano del Signore, in Egitto, assisi presso le marmitte contenenti carne e dove si mangiava pane in abbondanza, mentre ci avere condotti in questo deserto per far morire tutto questo popolo” (Esodo 16, 1-4).
Mancando il cibo si perdono d’animo e la loro contestazione comincia a non essere più obiettiva, in quanto affermano: “Fossimo pur morti… in Egitto, assisi presso le marmitte contenenti carne e dove si mangiava pane in abbondanza”.
Risulta evidente come le parole del popolo non corrispondano alla verità o perlomeno sono errate in quanto prospettano l’Egitto come il paradiso terrestre dove ogni bene abbondava.
Comunque i commentatori sono discordi nell’interpretazione del passo.
Secondo alcuni, le affermazioni del popolo corrispondono alla realtà, però esso non si rendeva conto che gli egiziani soddisfacevano le loro esigenze soltanto per farli lavorare con maggior profitto.
Secondo altri, le affermazioni erano fantasiose e lontane dalla realtà.
L’atteggiamento del popolo è spiegabile psicologicamente, in quanto è paragonabile a quello di chi non avendo nulla sostiene come in altre località egli aveva tutto, allo scopo di poter ricevere ciò di cui ha bisogno.
Essi però dicono che in Egitto erano sì schiavi, ma almeno mangiavano, mentre ora sono liberi ma affamati. Una tesi questa che suona convincente se non si tiene conto di Dio che li seguiva in ogni tappa assecondando i loro desideri.
È curioso come la contestazione riguardante la mancanza di cibo, la ritroviamo più tardi in un altro cibo della Torà.
È interessante fare il confronto fra i due episodi; per verificare le analogie e le differenze che emergono da un’attenta lettura di essi.
In primo luogo notiamo come nel passo dei Numeri l’argomentazione è più ricca; più sopra avevamo già espresso alcuni dubbi sulla “carne” di cui si fa cenno nel nostro passo (Esodo); qui l’immagine (Numeri) è più fiorita: cibo gratuito, diversa scelta di cibi, ecc.
Non solo: ma è evidente che l’atteggiamento assunto nel libro dei Numeri è più grave, in quanto nel libro dell’Esodo si parla del popolo appena uscito dall’Egitto, popolo inesperto della libertà, popolo che andava guidato ed educato e che poteva essere anche perdonato.
Nel passo dei Numeri, viceversa, la situazione è ben differente in quanto gli ebrei dovevano ormai essere più allenati, più preparati, oseremmo dire vaccinati; sono passati ormai due anni dall’uscita dall’Egitto; nel frattempo essi hanno ricevuto le tavole della legge sul monte Sinai e la manna cibo necessario per il loro sostentamento scendeva regolarmente ogni giorno.
Perché lamentarsi quindi? Ecco perché la loro ribellione è più grave e solo qui, nel libro dei Numeri, essi vengono puniti severamente da Dio.
Come conclusione del discorso è utile soffermarsi su una delle affermazioni contenute nel passo dei Numeri: “mangiavamo pesce gratis“.
Tali parole hanno dato del filo da torcere a molti commentatori. sono parole veritiere o sono frutto di fantasia?
Secondo alcuni sono veritiere, secondo altri l’espressione viene ad indicare come essi mangiassero in Egitto senza assumersi delle responsabilità.
Spieghiamo: l’ebreo in Egitto era schiavo e come tale non doveva rendere conto a nessuno delle proprie azioni: poteva litigare, picchiare, dare sfogo ai propri istinti sessuali, ecc.; poteva, in altre parole, comportarsi come un animale senza che nessuno lo venisse a rimproverare, anzi al suo padrone questo atteggiamento era comodo, in quanto portava disunione fra il popolo. In sostanza le persone erano ridotte al rango di bestie: niente coscienza, niente responsabilità.
Ora, uscendo dalla schiavitù egiziana, si chiedeva loro di uscire dalla dimensione di schiavi per entrare in quella della libertà. E libertà intesa non come sfogo dei propri istinti, bensì con un controllo, un freno ai propri istinti animaleschi.
La vera libertà è data appunto dall’osservanza della Toràh che eleva l’individuo, plasma la sua personalità e lo educa a controllare i propri istinti appunto per perfezionarsi, rispettare il proprio simile e formare un proprio nucleo familiare costruttivo.
Ma simili concetti erano troppo alti per essere compresi da quella generazione, e quindi non sarà quella generazione a entrare nella terra promessa per applicare la legge della Torà, bensì la successiva che avendo a mo’ d’esempio l’immagine negativa dei padri, potrà seguire una strada migliore ricordando le parole divine espresse nella Torà: “Se tu ubbidirai a quanto ti dice l’Eterno Tuo Dio e farai quanto secondo Lui è retto, porgendo ascolto ai suoi comandamenti ed osservando le Sue norme, non ti affliggerò con nessuna delle 4 infermità con cui ho colpito l’Egitto, perché Io sono l’Eterno che ti risana” (Esodo, cap. 15, 26).
Domande
Leggiamo nel testo della Torà: “Giunsero a Marà e non poterono bere le acque di Marà, perché erano amare… Il popolo si lamentò… (Mosè) gettò un legno nelle acque e queste divennero dolci” (Esodo 15, 23-25).
Afferma il Midrash: “E non poterono bere le acque di Marà, poiché erano amare”. Disse Rabbì Levì: Come bisogna intendere: “poiché essi erano amari”? La generazione era amara nel comportamento. (Spieghiamo: in ebraico il soggetto “Hem” = essi o esse, può essere riferito all’acqua: poiché esse (acque) erano amare” oppure ai figli d’Israele “poiché essi (popolo) erano amari”. In italiano non si potrebbe avere la duplice interpretazione poiché il nome acqua è femminile mentre il nome popolo è maschile).
La tesi del Midrash è che in realtà non erano le acque amare ma il popolo che, assumendo un atteggiamento ribelle, riusciva a capovolgere una situazione obbiettiva.
1 — La spiegazione del Midrash è molto bella ed attuale. Tuttavia essa è contraddetta dal testo stesso. Sai dire perché?
La contestazione del popolo arriva all’assurdo di mettere in dubbio la presenza di Dio in mezzo a loro.
Dio allora invia contro di loro ‘Amalek.
Il Midrash esprime in maniera felice il motivo di tale punizione: Un uomo camminava portando sulle spalle suo figlio. Il figlio appena vedeva un oggetto che desiderava si rivolgeva al padre: “Papà prendimi quell’oggetto” e il padre glielo prendeva. Così avvenne per due e tre volte. Un uomo venne loro incontro. Gli chiese il figlio: “Hai visto per caso mio padre?”. Gli rispose il padre: “Non sai dove sono?”. Lo gettò dalle spalle e così venne il cane e lo morse.
2 — Sapresti spiegare brevemente il significato del Midrash tenendo conto del comportamento ribelle del popolo ebraico? Cerca di spiegare i termini simbolici del Midrash: figlio, padre, cane.
Risposte alle domande del numero precedente
1 — a) il V.
b) Sostengono i Maestri: la Torà ha messo sullo stesso livello l’onore di Dio e l’onore per i genitori; quindi chi rispetta i genitori è come se rispettasse Dio.
Secondo altri il comandamento è posto come ultimo nella prima tavola, perché esso costituisce il passaggio fra la prima e la seconda tavola. Infatti sono proprio i genitori quelli che, educando il figlio, gli inculcano l’idea di Dio.
2 — Secondo alcuni commentatori i comandamenti sarebbero nove e non dieci, in quanto il primo comandamento è una semplice affermazione che non ci chiede nulla di pratico.
Comunque non tutti sono d’accordo su tale tesi, in quanto secondo alcuni si tratta di un vero comandamento, che ci chiede di accettare tale affermazione: “Io sono il Signore… che ti feci uscire dall’Egitto…”.
3 — Se accetto l’interpretazione di Rashì che considera il “non desiderare” come “rubare” rimane la difficoltà di come spiegare una duplice legge che si trova nella tavola. Cioè il divieto del furto, lo troviamo già nell’ottavo comandamento.
4 — Per ovviare alla difficoltà presentata nel punto 3. Rashì spiega l’ottavo comandamento riferito a “sequestro di persona” mentre l’ultimo “non desiderare” come “non rubare” riferito ad oggetti.
In questa maniera troviamo che c’è una certa gradualità fra i comandamenti della seconda tavola.
Qual è la cosa alla quale l’uomo tiene più di tutto? La vita (non uccidere). Poi la propria moglie o la famiglia (non commettere adulterio), la propria libertà (non rapire persone), il proprio nome (non fare falsa testimonianza) ed infine i suoi beni materiali (non desiderare inteso come non rubare).
BOX
Località Difficoltà e reazione del popolo Intervento di Dio
1. Mar Rosso
Gli egiziani inseguono il popolo ebraico appena uscito in libertà. Alla vista degli egiziani il popolo preso dal panico si rivolge con parole dure a Mosè.
Dio salva il popolo facendogli attraversare il Mar Rosso.
2. Marà
Le acque del luogo sono amare, Il popolo si lamenta contro Mosè.
Dio addolcisce loro le acque.
3. Deserto di-Sin
Manca il cibo e il popolosi ribella.
4. Refidim
Di nuovo manca l’acqua e di nuovo arriva la contestazione.
Dio procura loro l’acqua
Esodo, cap. 16, 3
Dissero i figli d’Israele: “Fossimo pur morti per mano del Signore in Egitto, assisi presso le marmitte contenenti carne, e dove si mangiava pane in abbondanza, mentre ci avete condotti in questo deserto per fr morire di fame tutto questo popolo”.
Numeri, cap. 11, 4-6
e dissero: “Chi ci farà mangiare carne? Ricordiamo il pesce che mangiavamo in Egitto gratuitamente, i cocomeri, i loponi, il porro, le cipolle, gli agli. Ed ora noi siamo come disseccati non vi è nulla, solo alla manna sono volti i nostri occhi”.