La “shemirath mizvoth” durante le vacanze
Al mare o in montagna ma sempre ebraicamente
Il periodo di vacanza, che quasi tutti noi usiamo trascorrere nei mesi estivi, è un momento di rilassamento, di abbandono delle fatiche, delle preoccupazioni e delle abitudini quotidiane, destinato a rinnovare le nostre forze fisiche e intellettuali in vista degli sforzi, delle tensioni, dei problemi che dovremo nuovamente affrontare dopo la parentesi estiva.
Non credo si possa trovare nelle nostre fonti classiche un esempio di vacanza nel senso moderno della parola, in quanto esse riflettono tempi e condizioni di vita assai diversi da quelli attuali; però mi sembra che, l’idea che tutti dobbiamo avere delle pause dalle nostre occupazioni normali e che dobbiamo avere il modo di ritemprare le nostre forze, sia uno degli aspetti delle ricorrenze stabilite dalla Torà; non si tratta di vacanze scaglionate, ma invece l’idea è che tutto il popolo abbia questi momenti di pausa negli stessi giorni. L’interruzione settimanale delle attività, oltre che nei sette giorni dell’anno di festa solenne stabiliti dalla Torà, è un primo elemento di tal genere; i rigorosi divieti di compiere ogni sorta di lavori in quei giorni facilitano senza dubbio l’arricchimento spirituale di ogni individuo e della collettività, ma di fatto legano tutti al loro luogo abituale di residenza, o, al limite, al luogo in cui ci si sia recati prima dell’inizio del giorno festivo: eliminano cioè la possibilità di far godere corpo e spirito delle bellezze naturali, della visione di luoghi nuovi, di ambienti diversi da quelli soliti. Ma mi sembra che anche a questo abbia provvisto la saggezza della nostra legislazione: pensiamo ai giorni di Rosh Chodesh (capo-mese), a cui nel periodo postesilico non si dà quasi nessuna importanza (ed esula dal tema di questo scritto ricercare le cause di questo fenomeno), ma che nel periodo biblico erano giornate festive, in cui però non vigevano le proibizioni di compiere lavori; pensiamo al Chol Ha–Mo’ed, anch’esso oggi molto trascurato, ma in cui la Halakhà proibisce di fare ogni lavoro, la cui sospensione non porti danni economici irreparabili, ma in cui permette ogni attività che contribuisca alla simchat ha–reghel, al senso di gioia, di godimento della festa. Si pensi infine ai tre pellegrinaggi annuali al Santuario – avvenimenti che, a parte il loro significato di partecipazione al culto festivo, costituivano anche una possibilità, anzi un dovere di muoversi, di passare attraverso luoghi diversi da quelli soliti, di venire a contatto con gente diversa; e se si pensa a quello che si faceva per facilitare i pellegrini – sistemazione di pozzi, piantagione di alberi lungo le strade ecc. – possiamo renderci conto di quanto ci si preoccupasse anche nell’antichità di quello che si potrebbe chiamare “il comfort del turismo di massa”. Mi sembra perciò che sia senz’altro lecito dire che l’abitudine di passare una parte dell’anno, specialmente nell’estate, in località diversa da quella abituale, o di dedicarla a viaggi o crociere, costituisca in una forma moderna la realizzazione di un concetto che troviamo tra gli elementi costitutivi delle feste volute dalla Torà; non voglio con ciò dire, naturalmente, che se possiamo godere delle ferie, non abbiamo più il dovere di celebrare scrupolosamente le nostre festività, ma solo che, visto che nelle condizioni attuali tali festività non ci danno tutto quello che dovrebbero elargirci, si può in un certo modo compensare quello che ci manca in esse attraverso un buon uso delle vacanze.
Non solo riposo e divertimento
Occorre però guardarsi bene da un pericolo: si corre il rischio che, con l’abbandono delle occupazioni usuali, si faccia delle vacanze un periodo di ozio insensato, in cui si pensi solo a dormire, a riposare, a divertirsi, magari a mangiar bene, e non si dia ad esse nessun contenuto spirituale e culturale, un periodo cioè in cui si pensi solo a ritemprare le forze fisiche senza dare niente all’anima, che pure ha bisogno di rinnovare e rafforzare le proprie energie in vista delle prove che l’individuo deve superare nella sua lotta quotidiana per la vita.
In primo luogo quindi l’ebreo deve, nel programmare le proprie ferie, avere il fermo proposito che anche in quel periodo non ci sia nessun rilassamento nell’adempimento delle Mizvoth – ed anzi direi che nella situazione in cui si trova purtroppo gran parte dell’ebraismo moderno, che trascura molti dei suoi doveri ebraici perché ritiene (a torto, ma soggettivamente sembra a ragione) che nella civiltà in cui viviamo sia impossibile osservarli, sarebbe bene mettersi come programma che nel periodo delle vacanze, in cui si è liberi dalle occupazioni normali, se non si osserva lo Shabbat tutto l’anno, lo si osservi scrupolosamente e via dicendo. Il programma delle vacanze dovrebbe cioè esser tale da assicurare che non si facciano viaggi di Shabbat, che si abbia in tutto il periodo la possibilità di mangiare Kasher (se in certi luoghi è difficile aver carne Kasher, si può anche decidere di far delle vacanze vegetariane o a base di latticini, sempre Kasher, cosa che, del resto, a detta di molti igienisti, aiuta anche la salute del corpo).
Un altro elemento dell’ebraismo, che è assai trascurato nei nostri ambienti è quello dello studio, ed anche qui spesso si trova come motivo di questa deficienza il ritmo incalzante della vita dinamica moderna; ebbene, un salutare cambiamento delle fatiche cerebrali ed intellettuali, può essere quello di dedicare una certa parte delle ore delle giornate di vacanza allo studio ed all’approfondimento dei valori ebraici – per esempio con adeguate letture, da scegliersi a secondo del livello di preparazione individuale di ciascuno: quasi ogni persona include nel suo bagaglio delle vacanze riviste più o meno stupide, fascicoli a fumetti, romanzi, per “non annoiarsi nelle ore morte”; sarebbe consigliabile invece includere, nel bagaglio delle vacanze, materiale di lettura che possa arricchire il nostro patrimonio culturale ebraico e servire di elemento di meditazione e di azione durante la nostra vita. Se poi c’è la possibilità di organizzarsi le vacanze in località dove si possano frequentare corsi di studi o dibattiti in campo ebraico tanto meglio.
In Erez Israel va sempre più diffondendosi l’organizzazione dei così detti Jarché Kallà: si organizzano con sistemazione alberghiera dei periodi di soggiorno in località turistiche (al mare o in montagna), durante i quali si hanno quotidianamente attività culturali di argomento ebraico, a cura quasi sempre di personalità di altissimo livello, quali capi di Jeshivoth, professori universitari ecc.: i partecipanti a questi Jarché Kallà hanno così tutto il riposo e le comodità necessari per rinnovare le forze fisiche ed al tempo stesso ritornano a casa con un notevole arricchimento del loro bagaglio culturale e spirituale.Mi sembra che qualcosa di analogo, seppure in misura più modesta, si abbia anche nei Campeggi per famiglie, che il DAC organizza in Italia – e non vi è dubbio che la partecipazione ad essi sia per chi vi si reca un ottimo modo di avere delle vere vacanze ebraiche; forse si dovrebbe in tali Campeggi intensificare l’attività culturale, ma in complesso si tratta di una iniziativa ottima sotto tutti gli aspetti.
Se abbiamo detto che il periodo di non abbandono, e meglio di rafforzamento, della Shemirat Mizvot, non sembra inopportuno mettere qui in rilievo alcuni particolari, in gran parte relativi allo Shabbat, che assumono speciale importanza nelle attività tipiche dei periodi di ferie.
Al mare
Chi trascorre le ferie al mare dedica, come è naturale, molto tempo ai bagni, al nuoto, ai giuochi di spiaggia. Attività di questo genere sono di fatto quasi del tutto proibite di Shabbat. Cerchiamo qui di spiegare i punti essenziali. Una delle attività esplicitamente proibite di sabato è appunto il nuoto, come del resto ogni forma di ginnastica: quindi questa attività va cancellata da ogni programma per lo Shabbat. L’immergersi nel mare, senza nuotare, di per se stesso non è proibito, ma esso si accompagna a vari elementi accessori per cui praticamente resta quasi impossibile: 1) in primo luogo, occorre che chi vuol entrare in mare si rechi già in costume sulla spiaggia, senza portare con sé né asciugamano né nessun altro indumento, per la regola generale del divieto di trasporto di oggetti in luoghi aperti; 2) al momento in cui l’individuo sta per uscire dal mare e si prepara a metter piede sulla spiaggia deve fermarsi ed attendere che tutte le gocce d’acqua che abbia sul corpo e sul costume siano cadute e che non ne gocciolino più, perché è proibito anche il trasporto di qualsiasi cosa (nella fattispecie – le gocce) dal mare alla terraferma; 3) giusto poi nello spogliatoio, è assolutamente proibito strizzare il costume per toglierne l’acqua marina che vi sia rimasta assorbita, lavare o sciacquare il costume stesso fino a dopo finito lo Shabbat, ed asciugandosi si deve solo passare l’asciugamano leggermente sul corpo, mai premendo né strizzando: tutto questo perché il lavare oggetti e spremere liquidi da un solido che li contenga o li abbia assorbiti fanno parte dei lavori proibiti dalla Torà. Chi creda con sicurezza di poter sottostare a tutte queste limitazioni (si intende che il costume da bagno deve esser depositato nello spogliatoio dal venerdì e non può esser portato né dall’abitazione allo spogliatoio né viceversa durante lo Shabbat) può entrare in mare.
Chi voglia entrare in una piscina, che si trovi in luogo cintato, è sottoposto a tutte le limitazioni che valgono per il bagno di mare, escluso quella di dover attendere che tutte le gocce siano cadute dal corpo, ma è proibito entrare di Shabbat in una piscina riscaldata, anche se fosse stata riscaldata dal venerdì, perché non è permesso di Shabbat prendere un bagno di tutta la persona in acqua calda. È perciò anche proibito di fare di Shabbat una doccia calda, anche se l’acqua è stata riscaldata dal venerdì o se è stata riscaldata con impianti solari; è permesso fare una doccia fredda o lavare solo parti del corpo con acqua calda il cui uso sia permesso di sabato, ferme restando le limitazioni al mondo di asciugarsi. Per il bagno in fiumi, laghi ecc. valgono le stesse regole che per il mare.
I giuochi di spiaggia con palle, racchette ecc. sono tutti proibiti di Shabbat, in quanto è proibito smuovere tali oggetti, compresi il lancio con le mani, con le racchette o in qualsiasi modo, per una distanza superiore alle 4 braccia (circa 2 metri).
Un problema che si pone soprattutto per quanto riguarda la spiaggia, ma anche i laghi o presso le piscine, è quello della decenza o meno dell’abbigliamento per i bagni, per prendere il sole, con un duplice aspetto: come debba abbigliarsi l’ebreo e se e quali limitazioni ci siano per la frequenza di luoghi in cui presumibilmente non tutte le persone che li frequentano siano abbigliate decentemente.
Non vi è dubbio che, attenendosi alla regola formale più stretta in questo campo, non c’è che da escludere la frequenza di tutti i luoghi suindicati: nelle nostre fonti si possono trovare divieti per la donna di avere abiti che scoprano le braccia al di sopra del gomito, le gambe, che abbiano ampie scollature anteriori e posteriori – e se sono sposate o vedove o divorziate è vietato loro tener scoperta la capigliatura, e non occorre dire che a tutte è vietato aver scoperti non solo il seno o i genitali, ma anche parti della schiena, del ventre ecc. Tali divieti sono in vigore dall’età di tre anni. Agli uomini sembra sia proibito solo aver scoperti i genitali e i capelli. Agli appartenenti ad entrambi i sessi è proibito guardare gente dell’altro sesso che contravvenga alle norme suddette. Sappiamo bene che nelle cerchie dette “ortodosse” si cerca di osservare rigorosamente tutti questi particolari, e non occorre dire che tali persone si astengono rigorosamente dal frequentare spiagge, piscine ecc., a meno che non ci siano zone chiuse e separate per i due sessi.
Molti però pensano che le norme riguardanti la castigatezza dell’abbigliamento siano da considerarsi più esemplificative che tassative, cioè che possano essere interpretate diversamente a seconda delle circostanze e delle abitudini di vita dell’ambiente. Notiamo che chi prende alla lettera le norme non dovrebbe solo astenersi dal frequentare spiagge ecc., ma non dovrebbe uscire di casa, se non in “ghetti ortodossi”, perché con l’abbigliamento moderno quasi ogni donna, anche la più onesta e riservata, contravviene a qualcuna delle norme suddette. In ogni caso, chi pensa che le norme si possano interpretare con una certa larghezza, può riassumere la sua posizione nel senso che l’ebreo debba abbigliarsi in una maniera che sia tra le più castigate usate nell’ambiente in cui si trova ed escluda qualunque capo di vestiario che possa ragionevolmente costituire una provocazione sessuale – ciò per quel che riguarda il proprio abbigliamento; per ciò che riguarda il frequentare luoghi pubblici di bagnatura e simili, ognuno deve evitare di andare in posti in cui le abitudini e il modo di vestirsi siano tali da produrgli un serio eccitamento sessuale.
Praticamente, a mio modesto parere, che però non va interpretato in nessuna maniera come una decisione di halakhà, direi che in nessun caso una donna dovrebbe presentarsi in mono-kini e neppure in bikini e in genere dovrebbe scegliersi un costume castigato, che metta in rilievo al minimo le proprie particolarità anatomiche che possano suscitare impulsi sessuali presso un uomo normale; altrettanto l’uomo dovrebbe scegliere costumi che non accentuino certe particolarità anatomiche.
La frequentazione di località miste dovrebbe esser deciso soggettivamente da ognuno: chi sa di poter passare presso individui dell’altro sesso, in costumi più o meno indecenti, senza aver fondato timore di giungere ad un’eccitazione sessuale, non sarebbe tenuto ad astenersi dal frequentare spiagge miste; chi invece pensa di non aver tale forza, dovrebbe astenersene. Questa è del resto la soluzione pratica adottata dai Kibbuzim “religiosi” per le proprie piscine: in essi ogni giorno ci sono ore in cui la piscina è aperta ai due sessi insieme ad altre in cui è aperta ad un solo sesso: in questo modo ognuno può regolarsi secondo la propria coscienza e il proprio carattere.
úel periodo delle vacanze cade spesso il periodo delle settimane di lutto culminanti con il Tish’à be–Av. In genere le manifestazioni di tristezza tradizionali in tale periodo non riguardano le attività tipiche delle vacanze; va però tenuto presente che molti usano astenersi da “bagni di piacere” (cioè non aventi per scopo la pulizia personale) dal 1° al 9 di Av (quest’anno dal 19 al 28 luglio) e quindi non fanno bagni di mare né in piscina; però se i bagni di mare vengono fatti per indicazione medica sono senz’altro permessi dal 1° all’8 di Av; il giorno di Tish’à be–Av è tassativamente proibito ogni bagno, ed anche allo scopo di pulizia personale è permesso lavarsi solo parti del corpo chiaramente sporche e in nessun caso tutto il corpo insieme.
In montagna
Le attività tipiche dello sport di montagna sono proibite di Shabbat. Non solo è proibito portare con sé attrezzi tipici della montagna (piccozze, ramponi ecc.) o viveri, borracce ecc., come si suol fare durante le gite, per il divieto sempre in vigore di portare oggetti da luogo chiuso a luogo aperto e lungo luoghi aperti, ma anche la lunghezza delle gite a piedi è limitatissima. Le disposizioni in questo campo quasi non hanno applicazione nei grandi centri metropolitani in cui oggi viviamo quasi tutti, perché anche di Shabbat si può camminare illimitatamente entro l’abitato.
È assai difficile spiegare in poche righe tutti i particolari dello spazio in cui si può camminare di Shabbat fuori dell’abitato; in maniera generale si può dire che si può procedere in ogni direzione fino a una distanza di 2.000 braccia (circa 1 km) in linea d’aria da dove finisce l’abitato; l’abitato si considera finito da ogni parte dal punto in cui la distanza tra una casa e l’altra (ivi compreso un eventuale giardino cintato ad essa annesso) è superiore alle 70 braccia (circa 35 m). Praticamente chi si trova in una località di campagna o di montagna può muoversi nello spazio di un rettangolo i cui lati a Nord, a Est, a Sud e Ovest siano distanti in linea d’aria circa 1 km dall’ultima casa distante meno di 35 m dalla precedente.
Il giorno di Tish’à be–Av è proibito passeggiare, cioè si può uscire e viaggiare illimitatamente per necessità, ma non si possono fare gite di piacere, neppure brevissime.
Gli sports di alta montagna (sci, pattinaggio, bob ecc.) sono proibiti di Shabbat per motivi analoghi a quanto detto a proposito del mare, ossia da una parte il divieto di trasportare oggetti e dall’altra quello di compiere attività ginniche; per alcuni di essi si aggiunge anche il divieto di rigare la neve o il ghiaccio, e quindi, per es. , è vietato il pattinaggio anche in una pista chiusa. L’attività sportiva è proibita anche di Tish’à be–Av, come le gite, in quanto costituisce un godimento non consono alla giornata di lutto.
È superfluo dire che quanto detto a proposito del mare per ciò che riguarda abbigliamento ecc. vale anche per la montagna a proposito di bagni di sole, piscine ecc.; non vi è però nessuna limitazione nel prendere bagni di sole, in abbigliamento decente, in luogo chiuso o anche aperto al quale e dal quale non si portino oggetti. È però proibito ungersi con pomate e simili.
Come passare lo Shabbat?
Che cosa si deve fare nello Shabbat in periodo di ferie, se di fatto quasi tutte le attività tipiche di quel periodo sono escluse? Prima di tutto, se nella località (caso raro in Italia) c’è un Beth Ha–Keneset, frequentarlo in tutte le Tefillot: anche chi non lo fa di regola in città, può provvedere a questo suo arricchimento spirituale nel periodo in cui è libero dalle occupazioni normali. Se anche il Bet Ha–Keneset non c’è, cercare, se ci sono altri villeggianti ebrei, di ritrovarsi insieme per recitare le Tefillot, leggere la Parashà ecc., con Minian se non c’è, o anche senza; e magari, al di fuori della cornice formalistica e arida dei Bathé Kenesijoth cittadini, soffermarsi a capire, commentare e approfondire passi della Tefillà, della Parashà, della Haftarà ecc.
E poi – riposo dalle attività solite delle vacanze, che pure richiedono sforzi fisici, e dedicarsi a brevi, calme passeggiate, a conversazioni con i familiari e gli amici, alla lettura, allo studio – di una parola assaggiare nel pieno senso della parola il vero ‘Onegh Shabbat, la delizia dello Shabbat, che è costituita dal riposo fisico, dall’assenza di preoccupazioni e di sforzi, dal dedicarsi alla cura dello spirito dell’anima; Sabati di questo tipo almeno nel periodo delle ferie avranno certamente un influsso benefico e duraturo sui Sabati ed in genere sulla vita di tutto l’anno.
Menachem Emanuel Artom