L’esilio dell’àlef
I Maestri hanno assunto atteggiamenti diversi circa il ritorno del popolo d’Israele alla sua terra. Alcuni lo hanno considerato come una forzatura dei tempi, un’accelerazione dell’avvento dei tempi messianici; mentre altri, tra cui Rav Kuk z.l., vedono negli eventi che si sono succeduti in queste ultime generazioni un segno che la redenzione ha avuto inizio e che ci deve spingere a non restare indifferenti dopo duemila anni di diaspora.
Solo una fede profonda e un’analisi approfondita di quanto scritto nella Bibbia possono gettare la luce su quanto di incomprensibile è accaduto nelle ultime generazioni.
Rav Kuk osserva che la differenza in ebraico tra Golà (Diaspora) e Gheullà (Redenzione) è solo una lettera: la Alef, cioè la prima lettera dell’alfabeto ebraico, la lettera con cui iniziano diversi nomi di Dio, la parola Adam (uomo), i Dieci Comandamenti; la Alef è la lettera con cui doveva avere inizio la Torà, ma che ha lasciato il posto alla Bet, forse per insegnarci che, affinché il mondo, simboleggiato dalla Bet, abbia senso, è necessario che la Alef entri nel mondo e che la Alef di Adam incontri la Alef di Adonai.
Analizzando più a fondo il senso del Yom ha-azmaut, non ci sfuggirà che la stessa idea è compresa in una profezia del profeta Ezechiele: “La profezia delle ossa secche” (Ezechiel 37), la differenza tra ‘Azmaut e Azamòt (ossa) in ebraico è ancora soltanto una Alef.
Ezechiele è un profeta che vive in esilio e proprio in esilio vede quella che potrebbe essere la fine del popolo di Israel, esiliato in Babilonia: un completo inaridimento delle proprie forze vitali, a meno che…
Ma leggiamo le parole del profeta: “La mano del Signore mi trasse con un vento e mi pose in mezzo a una valle che era piena d’ossa”: sono questi i resti dei sei milioni di ebrei trucidati nella valle della morte scavata dai nazisti in Europa, e il vento, lo spirito, che percorre gli ebrei in Europa con la fine delle conquiste naziste, 40 anni or sono, è lo spirito che ha fatto capire che non c’era altra scelta che Erez-Israel. Quelle ossa che noi vediamo ancora oggi nelle immagini tremende degli ebrei scampati allo sterminio nazista, quelle ossa si sono coperte di pelle e carne, avvicinandosi l’uno dall’altro, alla ricerca di un’identità. È proprio allora che Ezechiele riceve l’ordine di profetizzare al vento e dice: “Dai quattro venti vieni o spirito…”: così dopo la fine della guerra, dai quattro angoli della Terra vengono i dispersi, quasi tizzoni salvati dal fuoco, in Erez Israel.
Il profeta continua e spiega il senso della visione. “Mi disse: Figlio d’uomo: queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Essi dicono: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita (Avdà Tikvatenu), noi ormai siamo finiti”.
Sta qui la differenza tra l’Ebraismo passivo di coloro che rifiutarono di affrettare i tempi, nell’attesa passiva di tempi migliori e quello attivo di coloro che rifiutarono di accettare la realtà dei pogrom e degli olocausti, rispondendo positivamente alla sfida che veniva loro lanciata: Sì al ritorno di Erez Israel, Sì al rinnovamento, Sì alla ricostruzione.
È questo infatti il significato delle ultime parole della profezia: “Metterò il suo spirito in voi e vivrete: vi porrò sulla vostra terra e riconoscerete che io sono il Signore Dio che ha detto e farò”.
Allora Israel avrà ritrovato la sua Alef e la Alef, Israel.