Spunti di Torà
I dieci comandamenti
a cura di Jehudà Zegdun
Per la prima volta nella storia, Dio si rivela all’uomo comunicandogli quelli che sono i suoi principali doveri verso Dio e verso tutta l’Umanità. 600.000 persone erano presenti a quell’avvenimento: 600.000 hanno testimoniato alle successive generazioni l’eccezionale avvenimento. Perché dieci comandamenti? In altre parole: si sa che Dio darà al popolo ebraico tutta la Torà che comprenderà ben 613 precetti.
Quindi, perché Dio nel momento in cui consacra il popolo ebraico come “regno di sacerdoti e popolo eletto” a eseguire tali precetti offrendo così esempio a tutta l’Umanità, presenta solo dieci comandamenti?
Secondo qualcuno questi dieci comandamenti cono la base di tutte le leggi che Dio darà successivamente.
Per meglio capire tale tesi studieremo con attenzione le tavole della legge.
Una divisione precisa
Un esame anche superficiale alle due tavole, chiarisce immediatamente con la divisione dei comandamenti in due gruppi di cinque ha un motivo preciso.
Infatti i primi cinque riguardano i rapporti fra l’uomo e Dio, mentre gli altri cinque regolano i rapporti che intercorrono fra l’uomo e il suo prossimo.
Un parallelismo perfetto
In realtà le due tavole sono strettamente collegate. Se esaminiamo i comandamenti cercando il nesso fra un comandamento e quello che nell’altra tavola occupa la posizione corrispondente noteremo:
I Io sono il Signore Tuo Dio che ti feci uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi. | VI Non uccidere. |
II Non avrai altri dèi al Mio cospetto, non ti farai alcuna scultura… | VII Non commettere adulterio. |
III Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano. | VIII Non rubare. |
IV Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo. Sei giorni… ma il settimo giorno… dedicato al Signore tuo Dio. Poiché in sei giorni il Signore creò… | IX Non fare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. |
V Onora tuo padre e tua madre, affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che il Signore Dio tuo ti dà. | X Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie, né alcuna cosa del tuo prossimo. |
I-VI Chi uccide una persona è come se diminuisce l’entità divina. Cioè l’uomo, come è scritto nella Genesi è stato creato ad “immagine divina”. Da qui il valore sacro di ogni persona, in quanto ogni uomo possiede una componente fondamentale, che gli conferisce onore e rispetto. Dunque chi uccide una persona, non solo commette una gravissima violazione nei riguardi del suo prossimo, ma offende anche Dio.
II-VII Qui il nesso è evidente, chi fa idolatria è come se commettesse adulterio, in quanto tradisce il suo Dio.
III-VIII Chi ruba, è portato quasi inevitabilmente a giurare il falso.
IV-IX La motivazione qui data del riposo sabbatico (mentre nel Deuteromonio la motivazione è di carattere sociale), è il ricordo; l’uomo si ricordi e lo dimostri anche agli altri attraverso il suo riposo, che Dio creò il mondo in sei giorni e il settimo si riposò. Non tenendo conto del precetto Divino e profanando quindi il sabato, l’uomo è come se testimoniasse e giurasse il falso affermando che tale atto (la creazione) e il riposo di Dio non ci sono mai stati.
V-X Chi desidera la casa del prossimo, ecc., alla fine genererà un figlio che non lo rispetterà.
Spieghiamo: non si può scindere il nostro comportamento dall’esempio ed educazione che dobbiamo dare ai nostri figli.
È ovvio che se una persona desidera i beni materiali della vita (casa, moglie del prossimo) invece che i beni spirituali, o perlomeno se non c’è un certo equilibrio fra le due cose nel senso che i beni materiali passano in prima linea rispetto a quelli spirituali, trasmette questo difetto ai suoi figli. Continuando la strada del genitore, costoro certamente non terranno conto di un precetto spirituale come è appunto il rispetto per i genitori. Notiamo quindi che abbiamo un fenomeno bustrofedico, ci si serve cioè alternativamente di un comandamento per spiegare o trovare il collegamento con l’altro.
Infatti dal VI spiego il I e dal II spiego il VII e così via schematizzando avremo:
I-VI;
II-VII;
III-VIII;
IV-IX;
V-X.
I comandamenti da un’altra prospettiva
Possiamo esaminare i comandamenti anche secondo un’altra prospettiva, dividendo ogni tavola in tre parti, secondo il contenuto.
Infatti possiamo constatare come i primi due riguardano i precetti affidati alla coscienza; essi infatti si possono realizzare e trasgredire con il pensiero.
Si obbietterà: il 2° comandamento che tratta dell’idolatria riguarda un atto che viene realizzato materialmente e quindi non può rientrare nella categoria del pensiero.
Si risponderà: idolatria non è solo un atto materiale, bensì anche il credere o riconoscere o appoggiare determinati valori che sono fini a sé stessi come nazionalismo, patriottismo, ecc., e non servono ad attuale il volere di Dio.
Il terzo (“non pronunziare il nome di Dio invano”) è un precetto che riguarda l’uso della parola.
Infine gli ultimi due comandamenti si realizzano con l’azione.
Cioè: non è sufficiente credere in Dio o riconoscere la Sua potenza: è necessario altresì rispettarlo con la nostra bocca e con la pratica dei precetti. Questo concetto è fondamentale nell’ebraismo, secondo cui la fede in Dio si concretizza proprio attraverso il nostro comportamento quotidiano nell’ambito della società. Se esaminiamo l’altra tavola, noteremo anche qui che essa si può suddividere in tre parti:
I primi tre (non uccidere, non commettere adulterio, non rubare) si realizzano con l’azione; il quarto (non fare falsa testimonianza) con la bocca, ed infine il quinto (non desiderare la casa, moglie, ecc.) con il cuore.
Cioè: non è sufficiente rispettare il prossimo con la sola osservanza delle leggi, ma bisogna usare la bocca ed il cuore (pensiero).
Se riassumiamo quanto detto in uno schema risulterà:
I-II Cuore VI-VII-VIII Azione
III Bocca IX Bocca
IV-V Azione X Cuore
Notiamo cioè che c’è un chiasmo nelle due tavole: l’ordine che si trova nella prima, viene invertito nella seconda.
Una gradualità
Esiste come dicemmo anche una certa gradualità, nei comandamenti delle due tavole.
Infatti, nella prima, non è sufficiente credere in Dio, ma è necessario andare oltre e rispettarlo con la bocca e poi con le azioni.
L’inverso è nell’altra tavola: non è sufficiente basare i rapporti con il nostro prossimo tramite la giustizia esplicita (uccidere ecc.) ma è necessario andare oltre e rispettarlo con la bocca, ed infine, e qui arriva il precetto più arduo, è necessario rispettarlo anche con il pensiero e con il cuore.
Domande
1 — Dicemmo sopra che la prima tavola riguarda i rapporti fra l’uomo e Dio, mentre la seconda i rapporti fra l’uomo e il suo prossimo. Tuttavia vi è un comandamento nella prima tavola che può contraddire la nostra tesi.
a) Qual’è?
b) Sapresti spiegare come mai è stato incluso in ogni caso nella prima tavola?
2 — Nella prima tavola, vi è un comandamento che può non essere considerato come un vero comandamento. Qual’è? Cerca di dare una motivazione.
3 — L’ultimo comandamento “non desiderare” è molto difficile da applicare. Rashì per evitare la difficoltà interpreta il “non desiderare” come “non rubare”.
Sapresti dire qual’è la difficoltà che si può incontrare nell’accettare tale interpretazione?
4 — L’ottavo comandamento “non rubare” Rashì lo interpreta riferito non a oggetti bensì a persone, “sequestro di persona”; mentre l’ultimo “non desiderare” come “non rubare” riferito ad oggetti.
Secondo tale spiegazione, c’è una gradualità tra i vari comandamenti, dal V al X, partendo dal presupposto che ci sono delle cose a cui l’uomo tiene tanto e altre a cui tiene meno.
Sapresti dire qual’è questa gradualità?