Commenti sulla creazione dell’uomo
E Dio disse…
E Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine a nostra somiglianza (Genesi I, 26)
Questa frase, che è la prima e la più alta definizione dell’essere umano, ha fatto molto discutere i nostri Maestri. Perché la creazione dell’uomo avviene dopo la creazione di tutti gli altri esseri viventi? Perché l’uomo fu creato solo, quando gli altri esseri viventi, piante e animali, erano stati creati in molteplici esemplari? Perché il testo dice naasè adàm (Facciamo l’uomo), al plurale? Che cosa significa «a immagine di Dio» e «a somiglianza di Dio?» perché nel verso successivo di nuovo il testo ripete «Dio creò l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio?
Nel trattato Sanhedrin del Talmud i rabbini dicono che Adamo fu creato alla vigilia del Sabato, dopo tutte le altre creature, perché i pagani non avessero a dire che l’uomo aveva collaborato con Dio alla creazione del Mondo. E anche perché, quando l’uomo si inorgoglisce abbia a tener presente che il lombrico della terra, l’infimo degli animali, l’ha preceduto nell’opera della creazione. Ma anche perché, come avrebbe fatto un re di carne e di sangue che prima avrebbe costruito un palazzo, poi lo avrebbe abbellito con ogni decorazione, e soltanto dopo avrebbe invitato i suoi ospiti, così aveva fatto Dio con Adamo. (Sanhedrin, 38 a-b).
Nel Bereshit Rabbà, la raccolta di midrashim sul testo del Genesi, Rabbì Hunah in nome di Rabbì Ajbû dice: Lo creò intelligentemente, perché prima creò i suoi alimenti e poi creò l’uomo. È simile a un re che aveva un castello pieno di ogni bene ma non aveva ospiti. Quale vantaggio trae il re dal suo catello? (Bereshit Rabbà VIII, 6).
L’uomo fu creato solo, dice il Talmud perché se ne fossero stati creati più d’uno i pagani avrebbero potuto pensare che c’erano tante divinità creatrici. Ma anche, dicono i rabbini del Talmud, a causa dei giusti e dei malvagi, perché i giusti non abbiano a dire «noi siamo figli di un uomo creato giusto» e i malvagi «noi siamo figli di un uomo creato malvagio». Ognuno è libero di essere un giusto o un malvagio. Ed è stato creato solo perché le famiglie della terra, le nazioni, non si gettassero l’una contro l’altra, ma dicessero «noi discendiamo da un solo uomo». (Sanhedrin 38 a-b).
E Dio disse facciamo l’uomo.
Il Talmud racconta che Dio si consultava, dicendo Facciamo, con una schiera di angeli del servizio divino. Gli domandò «Voi volete che facciamo l’uomo secondo la nostra forma?» e quelli «Padrone del Mondo, che cos’è l’uomo perché tu gli ponga attenzione – domandarono con il Salmo 144 – che cos’è l’essere u mano perché tu ne tenga conto?». Dio mosse allora il suo mignolo, li incenerì e creò un’altra schiera di angeli. E quelli dissero «Padrone del Mondo, i primi angeli che hanno parlato davanti a te che cosa hanno ottenuto? Tutto l’Universo è tuo, fai ciò che è la tua volontà». Ma quando Dio arrivò alla generazione del Diluvio e alla generazione della Torre di Babele, le cui azioni erano malvagie, gli angeli dissero di fronte a Dio «Padrone del Mondo, non avevano forse detto bene i primi angeli?» e Dio risponde citando il Profeta Isaia «Fino alla vecchiaia io sono, e fino alle canizie io vi sostengo, io vi ho fatto e io vi porterò, io vi sosterrò e io vi salverò (Isaia 46: 4)» ((Sanhedrin 38 a-b).
Nel Bereshit Rabbà, Rabbì Jehoshua ben Levì dice che Dio, quando disse Facciamo, si consultava con le opere del cielo e della terra, come un re che aveva due consiglieri e non faceva nulla senza il loro parere. Rabbì Berekià dice che accingendosi a creare l’uomo Dio vide che ne sarebbero discesi i giusti e i malvagi e disse «Se io lo creo ne discenderanno i malvagi, ma se non lo creo come faranno a discenderne i giusti?» Cosa fece allora Dio? Dio che, come dice il Salmo (conosce la via dei giusti e smarrisce la via dei malvagi, Salmi I: 6), allontanò dai suoi occhi l’immagine dei malvagi, si unì all’attributo di misericordia e creò l’uomo. Rabbì Haninà disse «Non è così. Egli si consultò con gli angeli del servizio divino e disse loro che dal primo uomo sarebbero discesi i giusti ma non rivelò che sarebbero discesi anche i malvagi perché altrimenti l’attributo di giustizia non ne avrebbe permesso la creazione (Bereshit Rabba VIII, 4).
E Rabbì Shimon diceva: Quando il Santo, benedetto egli sia, si accinse a creare l’uomo, gli angeli del servizio divino si divisero in schiere. Alcuni dicevano «Si crei» altri dicevano «Non si crei». Come è scritto «La misericordia e la verità si incontrarono, e la carità e la pace si baciarono (Salmi 85: II)». La misericordia diceva «Si crei, perché sarà misericordioso» la verità diceva «Non si crei, perché sarà tutto falsità» la carità diceva «Si crei, perché è destinato a fare opere di bene» la pace diceva «Non si crei, perché sarà tutto liti». Allora che cosa fece il Santo, benedetto egli sia? Prese la verità e la gettò a terra. li angeli del servizio divino dissero al Santo, benedetto egli sia: Ma tu disprezzi il tuo stesso sigillo (La verità è il Sigillo di Dio). Si rialzi la verità dalla terra come è detto «Germogli la verità dalla terra (Salmi 85: 12)». … Rabbì Hunàh, il vecchio di Sefforide, disse: mentre gli angeli erano occupati a discutere tra loro il Santo, benedetto egli sia… si rivolge a loro e disse «Di che cosa discutete, l’uomo è già stato creato». (Bereshit Rabbà VIII, 5).
Nei Pirké De Rabbì Eliezer, l’opera midrashica attribuita a Rabbì Eliezer, discepolo di Rabbì Johanan ben Zakkai e vissuto a cavallo tra il primo e il secondo secolo, è ripetuto un altro midrash. In Esso Dio si consultava con la Torah, che costituisce, secondo la tradizione, lo strumento della creazione divina del mondo. La Torah dice a Dio: Padrone del Mondo, l’uomo che tu pensi di creare avrà giorni limitati, sarà pieno d’ira e cadrà nel peccato. Affinché tu non abbia a soffrire con lui a lungo, è meglio che egli non giunga in questo mondo. Il Santo, benedetto egli sia, gli rispose: Non è forse vero che sono chiamato lento all’ira e pieno di amore? Raccolse perciò della polvere dai quattro angoli del mondo e creò l’uomo. Perché se un uomo si sarà trasferito da est a ovest, o da ovest a est, al tempo della sua dipartita da questo mondo la terra non possa dirgli «la polvere del tuo corpo non è mia, torna al luogo dalla cui polvere fosti creato» (Pirké De Rabbì Eliezer cap. II).
E qual è la natura di questo primo uomo?
Nel Qohelet Rabbà, la raccolta di midrashim sul libro dell’Ecclesiaste, è riportato un midrash che si trova in forma più semplice anche in altri gesti; in esso si dice che quando Dio voleva creare il primo uomo e si consigliava con le schiere angeliche, svelò agli angeli che Adamo sarebbe stato più saggio di loro stessi. E che cosa fece per dimostrarlo? Raccolse tutti gli animali domestici e le bestie selvatiche e gli uccelli e chiese agli angeli come si chiamassero tutti quegli animali. Gli angeli rimasero storditi e non seppero come rispondere; allora Dio andò da Adamo e chiese a lui come si chiamassero gli animali e Adamo chiamò bove il bove, leone il leone, cavallo il cavallo e così via. E qual è il tuo nome, gli chiese Dio. Il mio nome è Adamo perché sono stato creato dalla terra # (Adamo). E qual è il mio nome? Il tuo nome è il Signore, perché tu sei il Signore su tutte le creature. E questo – dice Dio – è perché è scritto in Isaia «Io sono il Signore e questo è il nome (Isaia 42: 8)» cioè questo è il nome che Adamo mi ha dato, questo il nome con il quale io sono in armonia con me stesso, con le mie creature, con gli angeli ministri. (Qohelet Rabbà 23, I).
Certo che l’uso del plurale # (facciamo l’uomo) può creare dei dubbi e in un midrash del Bereshit Rabbà Rabbì Shemuel ben Nahman, in nome di Rabbì Jonatan diceva: Quando Moshé scriveva la Torah, arrivò al versetto in cui è detto # (facciamo l’uomo); si rivolse allora a Dio dicendo «Padrone del Mondo, perché dai pretesto agli eretici?» e Dio «Scrivi, Moshé, e chi vuol sbagliare sbagli (Rabbì Shlomò ben Itzchac) che nel suo commento alla Torah, dice: è vero che qualcuno leggendo # (facciamo l’uomo) potrà pensare che vi siano state molteplici divinità creatrici, ma, consultandosi con gli angeli Dio voleva insegnare qualcosa di molto importante, la virtù della modestia. Dio stesso, infatti, a rischio di indurre in errore ha preferito esprimersi così per insegnare che il più grande deve domandare il parere del più piccolo prima di imporgli un capo. L’insegnamento morale precede e prevale anche sull’insegnamento teologico. (Bereshit Rabbà VIII, 8).
E Dio disse facciamo l’uomo # (a nostra immagine e a nostra somiglianza). In che cosa consiste questa somiglianza dell’uomo con Dio?
Maimonide, preoccupato di negare che Dio abbia una forma corporea simile a quella dell’uomo dedica le prime due pagine della sua Guida ai Perplessi proprio a spiegare come vanno intese le due parole # (immagine) e # (somiglianza); non si tratta affatto di somiglianza corporea: # (Zelem) si riferisce all’essenza di una c osa, cioè, in questo caso, alle capacità intellettuali dell’uomo, alla sua anima; # (demut) significa per lui somiglianza ad un’idea astratta, dunque l’uomo è simile a Dio non per le sue proprietà corporee ma per le qualità del suo intelletto. (Maimonide, Guida ai Perplessi, cap. I pp. 1-2).
Jehudà ha-Levì nella sua opera Kuzarì riprende un’idea del Sepher Yezirà, l’antico libro mistico attribuito al patriarca Abramo, e afferma che la somiglianza dell’uomo con Dio è quella del microcosmo con il macrocosmo: l’uomo è un universo in miniatura che riflette esattamente la struttura del mondo reale. La testa corrisponde alle sfere puramente spirituali del mondo metafisico, il torace corrisponde agli elementi della volontà e dell’azione delle sfere di emanazione intermedie tra spirito e materia, le membra e le parti inferiori del corpo sono l’incarnazione delle funzioni fisiche del mondo materiale. (Jehudà ha-Levì, Kuzarì, IV: 25).
E Nahmanide, meno razionalista di Maimonide ma non così cabbalista come Jehudà ha-Levì, dice che # (zelem,immagine) si riferisce all’espressione del volto e # (demut, somiglianza) alla forma corporea degli altri esseri viventi: l’uomo è simile nel corpo alle altre creature, ma il volto dell’uomo santo, del giusto animato da saggezza, da bontà e da amore, riflette l’immagine stessa di Dio. La sua grandezza interiore conferisce a tutto il suo essere quello splendore radioso che fa dire al Salmista «Lo hai reso solo di poco inferiore agli esseri divini, lo hai circondato di onore e di gloria (Salmi 8: 6)».
Ogni uomo ha in sé una scintilla dello spirito di Dio, perciò, come dice Rashì «è unico in basso come Dio è unico in alto, è solo in basso a conoscere il bene e il male» (Rashì, Commento alla Torah, Gen. III, 22).
Come Dio l’uomo ha il potere e il dovere di dominare con il suo spirito la natura (Genesi I. 26), ha un’anima immortale e il suo intelletto gli permette di conoscere Dio, di amarlo e di collaborare con lui nel perfezionare l’opera della creazione.
L’uomo è il vertice della creazione divina, lo stesso della creazione, il mondo è stato creato per l’uomo. Al termine di ogni atto creativo è detto # (Dio vide che era cosa buona). Alla fine del sesto giorno, in cui ha creato l’uomo, è scritto # (molto buona) dove # (molto) è scritto con le stesse lettere # (Mem, alef, dalet con le quali è scritto # (Adam) il nome del primo uomo. (Bereshit Rabbà VIII, 5).
La somiglianza dell’uomo con Dio sta forse proprio nella sua capacità di liberarsi dalla natura dominandola e perfezionandola, di giudicare e di conoscere ciò che è bene e ciò che è male; sta nella suprema dignità della sua persona che non può essere impunemente offesa e umiliata, nel corpo o nello spirito, senza che venga direttamente offesa e umiliata l’immagine di Dio che risiede in ogni uomo.
Sandro Servi
Per la redazione di questo scritto sono state utilizzate le seguenti edizioni: The Midrash Rabbah, a cura di H. Freedman & M. Simon, 5 voll., vol. 1° Genesis, The Soncino Press, London-Jerusalem-New York, 1977; vol. 4° Ecclesiastes, rispettivamente per il resto del Bereshit Rabbà e Qohelet Rabbà; per il primo è stata anche consultata l’edizione parziale Commento alla Genesi (Beresit Rabba) (int. vers. note di A. Ravenna, a cura di T. Federici), UTET, 1978, Pirké De Rabbi Eliezer (The Chapters of Rabbi Eliezer the Great) a cura di G. Friedlander, Sepher-Hermon Press, New York 1981 (1a ed. 1916). Moses Maimonides, The Guide for the Perplexed (trad. dall’arabo di M. Friedländer), Dover Publications, Inc. New York, 1956) (1a ed. 1904). Per Rashì: Pentateuch with Targum Onkelos, Haphtaroth and Rashi’s Commentary (a cura di M. Rosenbaum e A.M. Silberman), 5 voll., vol. 1° Genesis, Jerusalem, The Silberman Family, 5733. Le citazioni di Nahmanide e Jehudà ha-Levì sono state tratte da La Voix de la Thora (commentaire du Pentateuque), (a cura di E. Munk) 5 voll. Fondation S. et O. Levy, Paris, 1981. I brani biblici sono stati liberamente tratti dalla edizione Disegni (Pentateuco, Disegni 1976) (Salmi, E. Friedenthal, 1964) (Isaia, M.E. Artom, 1967).