(seconda parte) – Storia e significato dei tefillìn
Cercando di ricostruire la storia e il significato dei tefillìn abbiamo finora messo in evidenza i ruoli più immediati di questo rito: funzione mnemonica, di segnale, per ricordare all’ebreo la sua condizione; quindi segno di una chiamata sacerdotale collettiva. Nella duplicità dell’esecuzione (braccio e fronte) è tra l’altro simboleggiata la necessità di integrare il segno esteriore, la decorazione, il distintivo, con l’impegno interiore e reale.
Il significato del rito, già profondo in queste prospettive, si allarga ulteriormente nel pensiero rabbinico. Esiste tutta una serie di affermazioni, consigli, raccomandazioni, che sottolinea la particolare sacralità dell’azione. Ad esempio viene raccontato che i sapienti di Israele anticamente si permettevano di ridere e scherzare solo quando indossavano i tefillìn; altrimenti sarebbe loro sembrato di essere solo poco seri, ma anche insofferenti e irrispettosi del gioco divino. La distanza tra queste affermazioni e il nostro modo attuale di concepire la realtà è impressionante, e suggerisce varia considerazioni. Ma per quanto riguarda in particolare i tefillìn, emerge con evidenza il significato loro attribuito di segno solenne di condizione ed impegno; solo per mezzo di questo è consentito o meglio è possibile, arrivare a vivere sacralmente, nella dimensione più realizzata, che è quella della gioia. Ornamento e gioia sono elementi associati: di qui la regola che prescrive di non indossare i tefillìn nel giorno della sepoltura di un parente stretto e la mattina del nove di Av.
I simboli legati ad alcuni particolari del rito introducono ai suoi significati più profondi. È noto, ad esempio, che la tefillàh del braccio porta una lunga striscia di cuoio che viene avvolta sette volte sull’avambraccio, quindi sulla mano; nel dito medio la si gira per tre volte. Sette e tre sono numeri ricorrenti nella simbologia ebraica; basti pensare ai giorni della creazione; insieme si arriva a dieci, che ricorda in primo luogo il numero dei comandamenti del Sinai. Vi è quindi un evidente richiamo a due concetti fondamentali dell’ebraismo: l’idea di Dio creatore, e l’impegno dell’osservanza. Ma, forse perché questi primi due richiami sembrano quasi scontati, gli interpreti hanno insistito a inserire altre immagini. Viene detto, ad esempio, che il numero sette corrisponde a quello delle benedizioni nuziali; più precisamente — qui la forma non è casuale — al numero delle benedizioni “per mezzo delle quali la sposa si unisce al marito”. Parimenti i giri sul dito corrispondono all’anello nuziale. L’idea qui si accompagna ad un uso preciso, molto diffuso: la recitazione, durante i tre giri, dei versi di Osea 2:21-22 (“Ti destinerò a Mia sposa per sempre; ti destinerò a Me con giustizia e diritto, e con amore e misericordia; ti destinerò a Me con fedeltà, e conoscerai il Signore”). In altri termini si vuole sottolineare il simbolismo implicito della ierogamìa, della sacra unione matrimoniale tra Dio e la sua sposa Israele. I tefillìn rappresentano materialmente questo vincolo, proprio nell’aspetto fisico immediato di legame.
Da queste premesse possiamo arrivare a comprendere un’ardita immagine rabbinica, che nella sua formulazione semplice contiene elementi paradossali e provocatori. Nel Talmùd Babilonese (Berakhòth 6 a) Rav Avìn bar Rav Adà a nome di R. Jitzchàq sostiene la tesi che Dio stesso indossa i tefillìn. Il Talmùd poi discute a lungo che cosa è scritto nei tefillìn divini: i quattro brani conservati nei tefillìn umani non possono essere gli stessi di quelli divini.
Il primo verso indicato dal Talmùd è quello di Cron. 17:21, dove il re David dichiara: “Chi è come il Tuo popolo Israele, nazione unica nella terra”. Gli altri versi riprendono gli stessi concetti. L’idea di fondo è, nella spiegazione talmudica, contenuta in una dichiarazione divina rivolta a Israele: “Voi avete realizzato la Mia unità nel mondo (‘asitùni chativàh achàth ba’olàm) e Io farò di voi un’unità nel mondo”.
Queste immagini arditamente antropomorfiche, con tutti i dettagli che sono ad esse collegate, lasciano perplesso e stupìto il lettore. Per molti secoli sono state la base per lo sviluppo di complesse dottrine mistiche, che hanno approfondito i simbolismi vicini e lontani degli accenni talmudici. Ma la sostanza del discorso, come nota molto opportunamente Shemuel Eidels, non richiede le armi della mistica per essere compresa. Parafrasando la sua spiegazione il concetto è questo: i tefillìn insegnano che dobbiamo essere in unione con Dio; legarli rappresenta porre la Sua immanenza su di noi; i quattro brani dimostrano la dedizione di Israele, con tutte le sue forze migliori; parimenti Dio è unito e legato a Israele, e se ne fa un ornamento. Come quindi per l’ebreo ciò che i tefillìn rappresentano diventa il vero ornamento e la gioia della sua esistenza, così nel piano divino si immagina che esista un vano divino per Israele. È un’immagine meravigliosa, o terribile, se vista nella prospettiva dell’impegno e della chiamata che comporta. Nella storia è divenuta uno strumento di speranza. Si racconta del Rabbi di Bertichev (la citazione è da M. Ruber, I racconti dei Chassidim, Garzanti Milano 1979, p. 267) che una volta in mezzo a una preghiera, “parlò a Dio: ‘Signore del mondo, tu devi perdonare a Israele i suoi peccati. Se tu lo fai, va bene. Ma se tu non lo fai, io dirò a tutto il mondo che vai con tefillìn non validi. Quali sono le parole racchiuse nei tuoi tefillìn? Sono parole di David, il tuo Unto: “E qual popolo è come il suo popolo d’Israele, un popolo unico sulla terra”? Ma se tu non perdoni a Israele i suoi peccati, allora esso non è più un popolo unico, menzognere sono le parole che portano i suoi tefillìn, non più validi i tuoi tefillìn!’.
Un’altra volta disse: ‘Signore del mondo, Israele sono come i tefillìn del tuo capo. Se a un semplice ebreo cadono per terra i tefillìn, subito li solleva e li pulisce e li bacia. Dio, i tuoi tefillìn sono caduti per terra!’”.
Riccardo Di Segni
Come era anticamente osservata la regola dei tefillìn? Devono essere considerati come una istituzione tipicamente rabbinica o abbiamo dei motivi per sostenerne origini più remote?Un primo dato che si rileva dall’esame delle fonti rabbiniche è che molto probabilmente i tefillìn venivano portati molto più a lungo nel corso della giornata solare. Oggi la regola prescrive di metterli soltanto durante la preghiera del mattino; ma ciò appare come il residuo di un’abitudine piuttosto differente. Molti maestri portavano sempre i tefillìn, ciò doveva essere una particolare manifestazione di pietà. Evidentemente la difficoltà di esercitare lavori manuali portando i tefillìn deve, oltre ad altre considerazioni, aver condizionato la limitazione pratica che ora vediamo in atto.Da una fonte sporadica apprendiamo che la figlia del re Saul indossava i tefillìn; ed è forse la testimonianza sull’estensione anche alle donne della regola, un uso che il tempo avrebbe fatto dimenticare, ma non abbiamo altri dati per conclusioni probanti.Le scoperte archeologiche nelle caverne del mar Morto hanno consentito di chiarire molti punti oscuri sulla storia del rito sui quali da tempo si dibatteva. Prima di tutto abbiamo dalle caverne dei resti di tefillìn, il che rappresenta un’indiscutibile testimonianza della loro antichità. Ciò che è rilevante è che nella disposizione dei brani sono presenti differenti tradizioni che rispecchiano la divergenza che nella regola rabbinica si pose molti secoli dopo tra Ra.SH.I. e Rabbenu Tam; segno che i due maestri medioevali non esprimevano idee proprie ma trasmettevano controversie molto più antiche. Un altro dato rilevante è che accanto a tefillìn di tipo ortodosso farisaico, ne esistono altri che corrispondono a tradizioni eterodosse, presumibilmente di tipo essenico. Una differenza rilevante, e della quale si può individuare qualche traccia in fonti talmudiche, è la presenza, in alcune pergamene dei tefillìn, del brano del Decalogo, che non è invece compreso in quelli da molti secoli in uso. |