Massimiliano Boni*
Sette rabbini romani per sette giorni
Parliamo di Rabbini?
Ho una naturale ammirazione e stima per i rabbanim. Che sarebbe una comunità senza un rav? Probabilmente, non ci sarebbe neppure una comunità. I nostri rabbanim sono molti, per fortuna. In questi anni, alcuni ho avuto modo di conoscerli meglio di altri. Confidando nel loro senso dell’umorismo, ho provato a stilare una piccola formazione, buona per tutta la settimana; eccola:
Yom rishon: il rav «Bon Monghed»
Rabbino de’ core, generoso, è il rav della porta accanto, quello cui non puoi non dare del tu; sempre in maniche di camicia, è protagonista di lezioni gorgoglianti e animate. Si è un po’ immalinconito da quando sciacqua i panni in Arno, e sospira: «Io però so’ judìo de Roma!».
Yom scenì: il rav «scienziato»
Metodico, ordinato, insegna talmud con la stessa puntigliosità con cui Newton spiegava perché la mela cade in giù, invece che in sù. Sopporta chi vuole sempre domandare, ma quando s’accorge di vagare lontano dal daf, burbero esclama: «non c’entra niente!» e si rituffa sul passo con lo stesso ardore di un biologo che osserva un atomo.
Yom sheloshì: il rav «Hulk»
Amato dai suoi tamidìm, ha la voce gentile e lo sguardo mite. Ma basta un ritardo di cinque minuti a lezione o un sussurro più alto durante la tefillà, che ecco – qual meraviglia! – si trasforma: la voce s’infoca e lo sguardo saetta. Suggerimento: tenersi alla larga per i successivi cinque minuti.
Yom reviì: il rav «oriundo»
Rav ad honorem, arrivato anni fa da Israele, è pacifico, pacato e sempre ben disposto. Fuori dalla palestra, s’intende. A bordo campo invece la passione lo carica, e incita e sprona la squadra verso il canestro. Non fategli però vedere un passaggio sbagliato, un contropiede sciupato o una difesa troppo timida, perché in quel momento divorerebbe la banda di ragazzini che allena, e di cui si prende cura come tanti figliocci.
Yom hamishì: Il rav «maglia numero 7»
Da poco arrivato in squadra, ha mostrato subito di avere stoffa. Forse è ancora timido, e la voce mai troppo alta quando insegna ai ragazzini vivaci che il Bet Din gli affida. Però, come dice De Gregori, non ci sono dubbi: Il ragazzo si farà/anche se ha le spalle strette/ l’anno prossimo giocherà/ con la maglia numero sette.
Yom shishì: il rav «zen»
Immerso nella bavel del posto di lavoro e del tempio che frequenta, niente sembra sfiorarne l’imperturbabile serenità. Rav multitasking, sa destreggiarsi serafico tra i mille impegni quotidiani. Quando insegna lo fa sussurrando, quando ascolta lo fa meditando, quando studia forse lo fa nella posizione del loto. Si dice che tra i suoi discepoli ci sia anche il venerabile Yoda.
Yom Shabbat: il rav «Capitan America»
È chiaramente dotato di poteri speciali. Ha una sapienza sconfinata, è capace di insegnare Talmud all’impronta. In più, con un’occhiata fulminerebbe chiunque, i suoi silenzi ghiaccerebbero gli oceani, le battute di spirito disarmemerebbero un esercito. Insomma, con lui gli Avengers avrebbero sconfitto Thanos senza bisogno di sequel.
*Candidato allle elezioni per Consiglio della Comunità Ebraica di Roma del 16 giugno 2019 e autore dell’unico libro in italiano dedicato al percorso di conversione
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