Paolo Salom
È grave che si chieda agli ebrei di non mettere la kippah in pubblico. E tuttavia mi colpisce in modo particolare il senso di impotenza che traspare dalle parole di Felix Klein, peraltro una persona vicina agli ebrei: è terribile che non si sappia cosa fare». Rav Alfonso Arbib, Rabbino capo della Comunità ebraica di Milano, intercetta la polemica che arriva dalla Germania al termine dello Shabbat, il giorno dedicato alla preghiera e al riposo. «In ogni modo, non è la kippah il vero scandalo», dice.
In che senso?
«La kippah non è indispensabile. Per un ebreo è importante avere il capo coperto. Va bene anche un cappello: è un segno di umiltà, l’idea di avere qualcosa di più “grande” sopra la testa. Il problema è che sostanzialmente si chiede agli ebrei di nascondere ciò che sono. Una vittoria notevole per chi ci odia».
Essere ebrei in Europa è di nuovo pericoloso?
«Il rapporto citato da Klein è eloquente. Gli episodi di antisemitismo in Germania sono cresciuti del 20% nel 2018, un dato che si inquadra in una situazione difficile in tutta Europa. In Francia registriamo episodi a uotidiani. Altro elemento preoccupante è che tutto ciò rimane di fatto impunito. Infine, mi sembra che ci si stia abituando all’antisemitismo, come se fosse parte del paesaggio. Situazione non nuova. Senza arrivare alla follia del nazifascismo, nei primi decenni del Novecento l’odio per gli ebrei era uno degli elementi comuni della vita pubblica, anche nei Paesi democratici occidentali».
Questo fenomeno oggi da cosa dipende?
«La mia impressione è che in realtà abbiamo sottovalutato per molto tempo i segnali che pure c’erano. Come il virulento antisionismo che ha colpito lo Stato di Israele. Si è preferito non vederlo perché si poteva vivere più tranquilli. L’antisemitismo è purtroppo un elemento della cultura europea. Oggi si torna a parlare di “complotto ebraico”: la prima accusa documentata di questa natura risale al 1144. Tutto ciò che ha radici profonde prima o poi riemerge, se non ci si fanno i conti».
Come reagire?
«Il modo migliore per combattere l’antisemitismo è continuare a vivere, in maniera normale, da ebrei».
(Corriere della Sera)