Furio Colombo
Sappiamo tutti ciò che sta avvenendo in questi giorni a Teheran. Sotto la finzione grottesca del convegno universitario, si è aperto un processo alla Shoah. Il presidente della Repubblica dell’Iran, Ahmadinejad, ha già anticipato il senso di ciò che sta accadendo, dunque ha già fatto circolare la velina della sentenza che attende di avere: la Shoah è un’invenzione della cultura europea, succube del complotto ebraico.
Avevano bisogno di un grande pretesto per occupare la Palestina e lo hanno inventato, con la consueta malevola astuzia. La stessa dei Protocolli dei Savi di Sion, la stessa del sangue dei bambini cristiani da essi versato (nella interpretazione di Ahmadinejad si tratta di sangue islamico). La stessa del deicidio.
È molto importante ciò che sta per accadere a Teheran. Perché fa venire brutalmente alla luce ciò che si dice e non si dice, si pensa ma si nega, oppure inquina – non notato, come una fonte infetta – la persuasione di molti che credono di discutere di politica ma non sanno su quali fondamenta appoggiano le loro riflessioni, o antagonismi, o proteste.
Quando il tema è Israele, in tanti parlano di occupazione da sessant’anni, mostrando così di considerare occupazione anche la terra assegnata dall’Onu al nascente Stato degli Ebrei, mostrando di considerare la data della fondazione di quello Stato come l’inizio di un potere usurpato.
Quando la discussione è sulla difesa di Israele, sui modi in cui tenta di tener testa al terrorismo e alla ostilità che lo circonda, due riferimenti tornano spesso: i perseguitati sono diventati persecutori. E anche: la persecuzione (ovvero la Shoah) non è una buona ragione per occupare la terra degli altri. In altre parole, per quanto sia stata grave, la Shoah è una tragedia che riguarda l’Europa e non la Palestina.
L’obiezione sulla indifferenza che rasenta l’antisemitismo o lo rappresenta, viene sdegnosamente respinto dicendo che in questi casi non si parla di ebrei.
Si parla di Israele e di Israeliani.
Agli Israeliani si imputano delitti che sono tutti nella tradizione antica e profonda del pregiudizio che rende costantemente speciali le colpe degli ebrei.
Muoiono purtroppo bambini in tutte le guerre. Ma i bambini vittime delle azioni militari israeliane sono esibiti in televisione, corpicino per corpicino, in insopportabili sequenze come non avviene per il Darfur (duecentomila bambini fra le vittime di un immenso genocidio, molti sepolti vivi, in due anni), come non avviene per tutti gli altri conflitti che disgraziatamente insanguinano il mondo.
Gli iracheni restano «resistenti» anche quando fanno saltare uno scuolabus, una intera scuola o fanno strage di intere famiglie per ragioni religiose. Rapide sequenze mostrano i piccoli cadaveri sotto mucchi di coperte e lenzuola insanguinate. In Libano le vittime dei soldati israeliani venivano mostrate scoperte, bambino per bambino, come se fossero stati colpiti uno per uno, di proposito.
Le vittime di Israele sono poveri. Israele (come tutti gli ebrei) è ricco e non solo occupa, ma domina e sfrutta. In questo modo viene cancellato l’immenso potere del petrolio (e delle armi) di Iran e Arabia Saudita, oltre al sostegno militare della Siria che, attraverso Hezbollah, sta lavorando a riconquistare il controllo del Libano.
Costi quello che costi, in vite umane, il controllo del Libano da parte di Hezbollah e della Siria, con illimitati fondi iraniani, è il normale susseguirsi dei drammi quotidiani che accadono dovunque nel mondo. Invece Israele se sta fermo occupa. Se si muove è un arrogante conquistatore. Se reagisce a migliaia di missili le cui rampe sono state disseminate dovunque vi siano donne e bambini, è assassino. Se erige un muro contro le stragi nelle sue strade, è «apartheid» e «muro della vergogna», benché da allora non vi siano più state stragi.
Quando una nonna o un bambino imbottiti di tritolo cercano di passare a un «check point» israeliano (il bambino per fortuna si è salvato) si tratta di notizie drammatiche ma isolate. Nessuno le usa per far capire perché i «check point» israeliani siano così tanti, così lenti e – fatalmente – così odiosi per tanti pacifici palestinesi, che stanno soltanto andando a scuola o al lavoro. A nessuno viene in mente che, come i libanesi, ogni giorno vengono mandati a fare da scudi umani.
Ieri a Gaza tre bambini sono stati uccisi come vendetta trasversale di Hamas contro uno dei collaboratori chiave di Abu Mazen, il presidente palestinese. È un evento terribile perché non è guerra, e non è errore imperdonabile. È assassinio. Un assassinio deliberato di bambini. Ma è una notizia breve, senza corpi esibiti, parte di vicende della turbolenta vita quotidiana. Non sono stati gli israeliani a uccidere quei bambini.
Adesso, con la sua iniziativa, Ahmadinejad ha tolto di mezzo ogni possibilità di dividere un argomento dall’altro: gli israeliani sono fuori posto perché sono ebrei, sono occupanti perché hanno creato un complotto e sono nemici perché gli ebrei tentano da sempre di prendere il controllo del mondo.
Interessante apprendere che tra i partecipanti di Teheran c’è un signore americano di nome David Duke. È stato “Grand Wizard” (capo supremo) del Ku Klux Klan (la storica organizzazione del razzismo americano che combatte i neri e gli ebrei). Duke, negli anni Ottanta, ha tentato di farsi eleggere senatore nelle file del partito repubblicano.
Ma l’America, neppure ai tempi di Ronald Reagan, era il posto in cui un personaggio (che avrebbe sfilato fra gli applausi con la bandiera celtica il 2 dicembre per Berlusconi) può schierarsi insieme alla destra. La destra lo ha rifiutato benché fosse in testa ai sondaggi del suo Stato. E ha preferito perdere contro un candidato democratico e antirazzista.
Bene, Duke sarà a Teheran per discutere di Shoah e di diritto degli ebrei ad avere il proprio Stato fondato dalle Nazioni Unite. È bene forse non dimenticare che il Ku Klux Klan e il fondamentalismo cristiano americano considerano le Nazioni Unite uno strumento dell’ebraismo nel mondo.
furiocolombo@unita.it