Dustin Hoffman compie 80 anni: Special sulle sue radici ebraiche, che all’inizio nascose a tutti
Roberto Zadik
Una leggenda del cinema come il carismatico e riservato Dustin Hoffman compie 80 anni, ma non voglio dedicare il solito omaggio come ce ne saranno tremila sul web in ogni lingua umanamente conosciuta, dall’inglese allo swaili. Come per la Monroe e per altri, qui mi soffermo sul suo complesso rapporto con l’identità ebraica, che fino al secondo matrimonio con la donna d’affari Lisa Gottsegen, stando a varie fonti, come il sito Jewish Chronicle, l’attore preferiva non rivelare a amici e produttori hollywoodiani. Solamente negli ultimi vent’anni, grazie alla seconda moglie, l’avvocatessa Lisa Gottsegen appunto, Hoffman è diventato più “espansivo” sulle proprie origini tanto da esclamare “finalmente posso dire apertamente che sono ebreo”.
Nato a Los Angeles l’8 agosto 1937 (Leone ascendente Capricorno) da una famiglia di origini romene-ucraine. I suoi genitori scelsero, viste le sofferenze dei pogrom e dell’antisemitismo da cui erano fuggiti, di nascondere la propria appartenenza. Suo nonno era stato ucciso mentre cercava di salvare, durante la Rivoluzione Russa, i suoi parenti dalle persecuzioni antisemite; da parte materna, la nonna, Liba Hoffman era stata arrestata e mandata in un lager. Un passato molto duro, quindi, per Hoffman e rimasto sconosciuto per molto tempo, che lo ha portato, a lui come a una fitta schiera di ebrei americani ashkenaziti, come i registi Cecil De Mille o Otto Preminger, premiati, il primo per “I dieci comandamenti” e il secondo per “Exodus”, a celare per molto tempo la loro identità ebraica.
Complesso e tormentato è dunque il rapporto con le proprie radici per diversi ebrei americani, non ultimi anche Steven Spielberg, perseguitato dai vicini durante l’adolescenza, o i cantautori Lou Reed e Billy Joel, anche loro molto elusivi in materia. Lo stesso è avvenuto anche per Hoffman che ricorda in varie interviste di essere cresciuto “senza alcun dettame religioso; mio padre era ateo e solo a 10 anni iniziai a capire di essere ebreo”.
Nonostante questo, strinse amicizia con brillanti correligionari, come Gene Hackmann, Eli Wallach e il regista tedesco naturalizzato americano Mike Nichols che lo consacrò alla fama con il capolavoro “Il laureato” dove recitava un personaggio classicamente americano, nonostante il cast, da Nichols, a Hoffman, agli autori delle musiche Simon and Garfunkel, fosse interamente ebraico. Un’identità combattuta, negata, perfino osteggiata, con diverse prese di posizione contro il Governo israeliano, per una personalità complessa, tenace, contraddittoria e a tratti geniale.
Nonostante la complessità del suo rapporto con la tradizione e la sua identità ebraica, Hoffman, nella sua lunga filmografia, ha interpretato diversi “ruoli ebraici” come nello splendido “Il maratoneta” dove diretto dal bravo John Schlesinger, cineasta ebreo inglese che l’ha voluto anche per “Un uomo da marciapiede” , interpreta un timido studente di storia alle prese con un gerarca nazista, per non parlare di uno dei suoi ruoli più intensi, “Lenny” diretto da Bob Fosse, dopo il suo successo “Cabaret”, dove Hoffman incarna in maniera superba il tormentato comico e intrattenitore ebreo Lenny Bruce. Fra gli altri suoi ruoli ebraici, ricordo la formidabile parte del giornalista Carl Bernstein che incastrò il presidente Nixon in “Tutti gli uomini del presidente”, piuttosto che il padre di Barney Panofsky nell’adattamento cinematografico del romanzo di Mordechai Richler “La versione di Barney”.
E’ dunque sempre complicato definire una identità, inscatolare, come va di moda, le persone in scomode e discutibili etichette, osservanti, laici, religiosi, e Hoffman ha mostrato, nonostante le sue reticenze, una certa volontà di collaborare con diversi autori correligionari, da Schlesinger, a Sidney Pollack, bellissimo “Tootsie”, a Barry Levinson che lo volle per il suo “Rainman” dove interpretò la difficilissima parte di un uomo affetto da autismo, vincendo uno dei suoi tanti Oscar.
Riassumendo la sua lunga biografia, Hoffman ha avuto una vita movimentata, pur non suscitando mai gli scandali di altri attori, sempre cordiale, misurato e dotato di sottile senso dell’umorismo, essendo più attore di mestiere, rigoroso e perfezionista, che non divo capriccioso e vizioso. Contrariamente a attori difficili, come Peter Sellers, Marylin Monroe o John Belushi, egli è sempre stato molto serio e sobrio professionalmente.
Adolescente complessato per la bassa statura, per il suo essere ebreo e per l’acne, Hoffman conobbe diverse donne, come la piacente Stefania Sandrelli ai tempi del suo “Alfredo Alfredo” diretto da Pietro Germi ed è stato sposato due volte, una con Ann Byrne e dal 1980 con la manager Lisa Gottsegen che l’ha riavvicinato all’ebraismo. Grazie a lei, ha dichiarato di essere diventato più osservante, e i loro quattro figli hanno tutti celebrato i loro Bar Mitzva festeggiando le feste ebraiche e recandosi in sinagoga.
Tanti auguri a questo versatile, tenace e modesto interprete, sempre disponibile e un po’ timido nelle interviste, che ha portato il personaggio del “perdente” come Woody Allen, Chaplin o Peter Sellers alla fama, che è stato in grado di passare da parti estremamente drammatiche, si pensi al “Maratoneta”, a “Cane di paglia” del bravissimo Sam Peckimpah a “Kramer contro Kramer”, a commedie brillanti, a film d’azione e di avventura, da “Dick Tracy” a “Capitan Uncino”, con assoluta naturalezza rivelando enorme talento e classe in questi suoi cinquant’anni di carriera.
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