Mauxa ha intervistato David I. Kertzer, scrittore vincitore del premio Pulitzernel 2015 con il saggio “Il patto col diavolo. Mussolini e Papa Pio XI. Le relazioni segrete fra il Vaticano e l’Italia fascista” (“Pope and Mussolini”). Dal suo libro del 1997 “Prigioniero del Papa Re” (“The Kidnapping of Edgardo Mortara”) il regista Steven Spielberg ha tratto il nuovo film le cui riprese stanno per iniziare in Italia: la storia è quella di un bambino ebreo di sei anni che a Bologna nel 1858 è battezzato in segreto: quando si scopre l’accaduto, la polizia- su su ordine del Sant’Uffizio avallato da papa Pio IX – lo sottrae alla sua famiglia. Edgardo cresce così come un cristiano in un collegio a Roma: i genitori lo incontrano a Roma una volta, e altri tentativi sono rifiutati. ma il caso apre anche un’ampia battaglia politica che contrappone il Papato contro le forze della democrazia e dell’unificazione italiana.
D. Il libro “Prigioniero del Papa Re” (Rizzoli) racconta un evento che ha avuto luogo a Bologna. Come hai rinvenuto la storia?
David Kertzer. Avevo fatto sia un lavoro etnografico che storico a Bologna dal 1971, ma ho avuto notizie sul Caso Mortara da un collega americano nei primi anni ’90. Più imparavo a comprendere la sua importanza per la storia italiana e la considerazione internazionale che ebbe, più ero sorpreso da quanto fosse così poco conosciuto. Quando sono arrivato a leggere i verbali del processo dell’Inquisitore per il sequestro di Edgardo Mortara, presso l’Archivio di Stato di Bologna, è stato così drammatico far luce su tanti grandi sviluppi storici che ho deciso di scrivere un libro. Era soprattutto importante scriverne in modo tale che potesse ottenere un’attenzione oltre il pubblico accademico.
D. Steven Spielberg girerà un film dal tuo libro. Perché pensi che abbia scelto questa storia?
D. K. Beh, forse dovresti fare a lui questa domanda. Diversi anni fa, Tony Kushner (drammaturgo e sceneggiatore, n.d.r.) stava lavorando con Spielberg per la sceneggiatura del film “Lincoln”. Tony pensò che a Spielberg sarebbe piaciuto il libro. Gli ha dato una copia de “The Kidnapping of Edgardo Mortara”. Un mese dopo, Spielberg mi ha chiamato per dire che aveva letto il libro, che lo trovava potente e non vedeva l’ora di trasformarlo in un film. Io naturalmente rimasi estremamente soddisfatto.
D. Hai scritto nel 2001 “I papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno”, Rizzoli). Secondo te quali sono le ragioni per cui il papato avrebbe demonizzato gli ebrei?
D. K. Ho scritto quel libro in reazione al documento del 1998, redatto su richiesta di Papa Giovanni Paolo II da un’alta commissione vaticana. Il documento è “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah”: è stato realizzato dopo undici anni di lavoro. Fu la risposta del Vaticano alla domanda se la Chiesa cattolica romana avesse alcuna responsabilità per la demonizzazione degli ebrei che condusse all’Olocausto. Il documento sosteneva che in realtà la Chiesa non aveva alcuna responsabilità, perché la Chiesa era stata storicamente coinvolta solo in quello che è definito “antigiudaismo”: ciò si basava solo su opinioni religiose negative nei confronti del giudaismo. Al contrario – sosteneva il documento – ciò che ha portato all’Olocausto era un’indipendente, moderna demonizzazione degli ebrei, eretta su elementi politici, economici e di razza. Questa demonizzazione è definita “anti-semitismo”.
Avendo io già lavorato su questioni connesse, sapevo che questa distinzione non aveva alcun valore storico. Il Vaticano è stato profondamente coinvolto nella genesi del moderno antisemitismo alla fine del XIX secolo e, ancora negli anni 1930 è stato coinvolto nella diffusione del parere che gli ebrei d’Europa rappresentavano un grande pericolo per la società cristiana sana. Le leggi razziali in Italia del 1938 erano estremamente simili alle restrizioni che i papi avevano imposto agli ebrei per tutto il tempo in cui ebbero il controllo su di loro, com’era nella capitale italiana fino alla caduta della Roma papale nel 1870.
D. In “La sfida di Amalia. La lotta per la giustizia di una donna nella Bologna dell’Ottocento” (Rizzoli, 2008), la storia è ambientata a Bologna. Si tratta anche di una vicenda di femminismo?
D. K. “Amalia’s Tale” è uno dei miei libri preferiti, uno di quello che credo abbia avuto un clamore maggiore in Italia che non negli Stati Uniti. Racconta la storia di una giovane analfabeta, donna coraggiosa, contadina di montagna che abitava fuori Bologna, a Vergato nel 1886: contrasse la sifilide da un bambino che le era stato affidato come balìa, da un ospizio di Bologna. Si tratta della classica storia di una povera donna oppressa di fronte ad una élite di sesso maschile. Fece causa al Conte Isolani, capo del consiglio dell’ospedale di Bologna: la denuncia giunse fino alla Corte di Cassazione a Roma. Quindi sì, può essere vista come una parte importante della storia delle lotte delle donne in Italia.
D. Nel 2014 hai scritto “Il patto col diavolo. Mussolini e papa Pio XI. Le relazioni segrete fra il Vaticano e l’Italia fascista” (Rizzoli). Il libro ha vinto il premio Pulitzer: come hai effettuato la ricerca e qual è stato il momento più difficile?
D. K. Ho deciso di scrivere “The Pope and Mussolini” nel 2002, quando Giovanni Paolo II ha annunciato che era stata autorizzata l’apertura degli archivi vaticani per il pontificato di Pio XI (1922-1939). Il rapporto tra la Chiesa e il regime fascista è stato un argomento controverso, non solo tra gli storici, ma in un pubblico più ampio. L’apertura degli archivi di questo drammatico periodo ha permesso di ottenere una comprensione più chiara di quali fossero veramente queste relazioni. Oltre agli archivi vaticani e altri archivi ecclesiastici, come ad esempio gli archivi centrali dei gesuiti a Roma, è stato fondamentale anche scandagliare i vari archivi statali italiani: l’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e l’Archivio Centrale dello Stato. Forse l’aspetto più frustrante di questo lavoro deriva dal fatto che alcuni importanti documenti ad un certo punto erano scomparsi dagli archivi. Per fare un esempio: una delle fonti più ricche di questo libro sono stati i documenti del servizio di spionaggio fascista. Fu indubbiamente compilato un fascicolo su Eugenio Pacelli, che nel 1930 era il segretario di Pio XI. Ma quel fascicolo è ora mancante dall’Archivio Centrale dello Stato. Chi l’abbia preso, e quando, e se esiste ancora da qualche parte, non lo sappiamo.
D. Racconti spesso di vicende che hanno sullo sfondo città come Bologna e Roma. Qual è il tuo rapporto con l’Italia?
D. K. Quando ero bambino, mio padre raccontava storie del suo periodo come soldato americano in Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale. Lui era con le truppe che sbarcarono ad Anzio, poi con quelle che liberarono Roma. Era molto affezionato all’Italia. Quando ero alla ricerca di un posto per fare ricerche per la mia tesi di dottorato in Antropologia Sociale, concentrandomi su politica e religione, ho deciso di farlo in Italia. Ero affascinato dal fatto che allora l’Italia avesse avuto il partito comunista più grande al mondo, esterno al mondo comunista: ma contemporaneamente aveva anche il Vaticano. A cominciare da quel primo lavoro comincia a lavorare sul campo in un quartiere popolare di Bologna: ho trascorso un totale di sette o otto anni in Italia con mia moglie. A parte un anno a Catania, come Visiting Professor, abbiamo in gran parte vissuto a Bologna e Roma, due città fantastiche.
D. Una domanda sulla tua vita privata. Quali hobbies hai?
D. K. Mia moglie Susan è un avvocato che si è ritirato presto, cosicché potesse trascorrere in Italia del tempo con me. Sono un professore presso la Brown University, a Providence, Rhode Island: sono stato felice di convincere il mio amico Romano Prodi a collaborare come Professor at Large per cinque anni dopo il suo secondo Governo. Per quanto riguarda i miei hobby, mi piace suonare la chitarra, anche se non sono molto bravo a farlo, e mi sembra in gran parte di essere bloccato nel suonare canzoni che ho imparato da giovane negli anni Sessanta. Poi, influenzato dal mio amico Giuseppe Ficara, docente di chitarra classica al conservatorio di Pesaro, ho cercato di imparare da solo la chitarra classica, ma è un processo lento.
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