Quest’anno Tishà Be-Av (il 9 del mese di Av) cade di Sabato. In questo giorno fu distrutto il primo Bet ha-Mikdàsh (il santuario di Gerusalemme) da Nabuccodonosor e il secondo Bet ha-Mikdàsh da Tito. Per questo motivo da Mille Novecento QuarantaCinque anni il 9 di Av è un giorno di lutto e di digiuno, ma non potendo digiunare di Shabbàt il digiuno viene rimandato al giorno dopo.
La parashà di Devarim, che viene letta sempre prima di Tishà Be-Av, ha in comune con il 9 di Av la parola “Come”. Moshè disse: “Come potrò sostenere da solo… (1:12). E il profeta Yirmiyà nella Meghillà di Ekhà (Lamentazioni) chiede: “Come è successo che la città così popolosa è rimasta sola ed è diventata vedova…”. Di Shabbàt, nel leggere la parashà, in molte comunità il versetto viene letto con la stessa melodia delle Lamentazioni.
Oltre alla Meghillà di Ekhà di Tishà Be-Av si usano leggere in tutte le comunità delle Kinòt (elegie) composte nel corso dei secoli. Mentre nell’uso ashkenazita le Kinòt sono quarantacinque, in quello italiano ve ne sono solo nove. Uno dei motivi per questa differenza è di carattere storico. Nel 1096 i Crociati, viaggiando verso la Terra Santa, fecero enormi stragi delle comunità ashkenazite in Francia e in Germania e non passarono per l’Italia. Tra gennaio e luglio 1096 circa 10.000 ebrei furono trucidati dai Crociati nel nord della Francia e in Germania, tra un quarto e un terzo della popolazione ebraica di allora in quelle regioni. Nonostante gli ordini del re Enrico IV, il quale proibiva di molestare gli ebrei, il Conte Erich di Leisinger fece massacri di ebrei nelle città di Speyer, Worms e Magonza. Altre migliaia di ebrei furono trucidati nella valle del Reno.
Un’elegia composta da R. Kalonimos ben Yehudà di Magonza (secondo Enziklopedia le-Toldot Ghedole Israel, p. 1225, visse nel XI secolo E.V. e fu testimone delle Crociate) lamenta i morti del 1096 con le parole “Chi puó far sì che il mio capo sia d’acqua e i miei occhi una fonte delle mie lacrime, così che possa piangere di giorno e di notte per l’uccisione dei miei bambini e dei miei neonati e dei vecchi della mia comunità”. I massacri avvennero tra l’8 del mese di Yar e il 3 del successivo mese di Sivan. R. Kalonimos, dopo aver lamentato la distruzione delle comunità e la morte di tanti saggi di Torà, aggiunge: “Mettetevi in lutto perché il loro massacro è equivalente alla distruzione del Santuario”. R. Kalonimos nella sua elegia ci racconta il motivo per cui proprio di Tishà Be-Av si ricordano i morti del 1096 anche se furono trucidati oltre un mese prima: “Perché non bisogna aggiungere altri giorni che ricordano le distruzioni”. Anche il commento di Rashì alle Cronache (II, 35:25) menziona che Tishà Be-Av è il giorno in cui si devono ricordare tutte le persecuzioni. R. Yitzchak Zeev Soloveitchik [Volozhin, 1886-1959, Gerusalemme] disse che per questo motivo non si doveva fissare un giorno particolare per ricordare il Churbàn (la distruzione) di milioni di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.
Angiolo Orvieto [1869-1967] il poeta ebreo fiorentino, compose una elegia per Tishà Be-Av (nel libro “Il Vento di Sion”, pp. 55-6) nella quale tra le varie strofe, scrisse:
… In questo dì si piange
Gerusalemme estinta
la nostra gente di catene avvinta…
Da alcuni anni nel giorno di Tishà Be-Av, oltre alle elegie composte ai tempi delle Crociate e dei massacri a York in Inghilterra e in altri paesi, vengono recitate altre elegie per commemorare la distruzione delle comunità ebraiche in Europa da parte dei nazisti. Dopo la guerra l’Orvieto compose un’elegia intitolata “Israele Ramingo. L’ultima tragedia”. Nella terza strofa egli scrive:
Ho visto Israele e suoi figli.
Dicevan: “Sbalzàti dal letto,
serrati in vagoni lugubri.
Odor di bestiame stantio.
I padri, le madri, i fratelli
così trascinati al supplizio.
Per quanto sia doveroso ricordare le persecuzioni e in particolare l’eroismo di coloro che sacrificarono la vita piuttosto che convertirsi al cristianesimo, i nostri Maestri ci insegnarono di concludere sempre con un messaggio di speranza. E anche nel giorno del 9 di Av al termine delle Kinòt il messaggio finale è quello di speranza del profeta Yesha’yà (51:3):
…Poiché l’Eterno ha pietà di Sion,
ha pietà di tutte le sue rovine,
e renderà il suo deserto come l’Eden,
e la sua steppa come il giardino dell’Eterno.
Giubilo e gioia saranno in essa,
ringraziamenti e inni di lode.