Alberto David
È mai esistita una Novara ebraica? È possibile reperire segni che riconducano a una presenza dei discendenti di Abramo nel territorio novarese? Sono le domande che opportunamente si pongono Rossella Bottini Treves e Lalla Negri all’inizio del loro bel volume Novara ebraica. La presenza ebraica nel Novarese dal Quattrocento all’Età Contemporanea, uscito per i tipi dell’Alterstudio per la stessa volontà del Comune di Novara.
Sul tema, anche tra gli ebrei del Piemonte, per lo più documentati su tutti i numerosi insediamenti che nei secoli la regione ha visto nascere, si sa abbastanza poco, forse perché Novara non è mai stata sede di comunità ebraica istituzionalizzata, né di un ghetto o di una Sinagoga e non si è così sviluppata una vera e propria storia del nucleo ebraico, ma tante storie e percorsi di singoli ebrei o di famiglie.
Per molti secoli in effetti la presenza ebraica a Novara e nel Novarese è stata discontinua e casuale, e proprio questi due fattori di discontinuità e casualità hanno contribuito a lasciare una sorta di vuoto nelle innumerevoli realtà di insediamenti ebraici che costellano il territorio piemontese.
Le due attente ricercatrici restituiscono così una storia e uno spaccato di una vicenda atipica, ma pur sempre ancorata saldamente al mondo ebraico e ricca di notizie interessanti. A cominciare dalla storia di talune famiglie, che fin dal Quattrocento hanno iniziato a vivere in città o nelle campagne circostanti ed hanno condotto una vita tra loro separata, sino all’Ottocento, quando il piccolo nucleo ebraico è stato profondamente partecipe delle vicende cittadine.
Fonti storiografiche accreditate e documenti di archivio indicano nella prima metà del Quattrocento le prime presenze ebraiche a Novara. Negli stessi anni il Podestà della città si fa latore di una supplica a Ludovico il Moro, duca di Milano, perché durante la settimana santa gli ebrei non debbano incorrere nelle molestie di cui sono stati oggetto negli anni precedenti. E ancora nel 1492 si ha notizia di un decreto secondo cui gli ebrei erano sì autorizzati a transitare nei territori del Novarese, ma non a vivervi stabilmente. Altro documento cinquecentesco riferisce del noto problema dell’esercizio del prestito a interesse da parte di ebrei: in particolare la famiglia Clava, di origine askenazita, gestiva in città un banco di prestito ed ottenne onori al servizio dei duchi.
Sembrerebbe dunque una storia come quella di tanti altri nuclei ebraici dell’Italia settentrionale, ma quello di Novara è un caso del tutto atipico proprio perché per certo non vi è mai esistito alcun insediamento ebraico volutamente strutturato.
Tra le molte curiosità contenute nel volume, è da menzionare una testimonianza della presenza ebraica nel Novarese, contenuta nella denominazione di un paese, Mandello Vitta: l’aggiunta del nome Vitta a quello originario si deve alla famiglia dei baroni Vitta, di origine casalese, che a Mandello possedevano campi e risaie, oltre che filature di seta nel circondario. Frequenti erano del resto nella prima metà dell’Ottocento i rapporti tra famiglie di imprenditori e commercianti ebrei, Treves e De Benedetti, per citare i più conosciuti, con cittadini novaresi.
I censimenti dell’Ottocento documentano la presenza in città di una ventina di ebrei, per lo più commercianti di stoffe o rigattieri, ma tra loro si fanno strada anche letterati e professori universitari.
E quando nel 1849 fu combattuta la famosa battaglia di Novara, in pieno Risorgimento, non fu irrisorio il contributo ebraico per gli ideali di unità e libertà d’Italia e il fervore patriottico degli ebrei novaresi è testimoniato da una lettera scritta dal Rabbino di Vercelli Giuseppe Levi nell’aprile 1849 a Marco Treves, l’architetto progettista del Tempio di Vercelli, dove si riferisce tra l’altro che “fra gli abitanti di Novara che soffrirono nella ritirata della nostra armata, si trovano i Debenedetti, il cui negozio fu totalmente saccheggiato”.
Ma le maggiori informazioni sugli ebrei a Novara negli ultimi due secoli ci provengono dal piccolo cimitero, nato nell’Ottocento come campo degli acattolici e oggi cimitero ebraico a tutti gli effetti perché dopo la seconda guerra mondiale vi sono stati seppelliti solo ebrei, anche di passaggio in città: tra essi Moisesz Aron Hamerszlah, mendicante apolide nato a Varsavia nel 1897, sopravvissuto allo sterminio nazista e morto a Novara nel 1973 e Amadio Terracini, fratello di Umberto Terracini.
La tremenda pagina delle persecuzioni razziali non risparmiò neppure Novara, perché la meticolosità dei fascisti e dei nazisti era tale da ricercare ovunque, anche nel più sperduto paese, la presenza o l’odore di ebrei. Così anche in una città dove non esisteva Comunità, tre docenti ebree, assai conosciute in città, furono allontanate dalle scuole cittadine: Virginia Finzi Lombroso, Ester Levi e Benvenuta Treves, che molti anni dopo avrebbe curato “Tre vite. Studi e memorie di Emilio, Emanuele, Ennio Artom”. Anche Giulio Reichenbach residente a Padova ma insegnante nel liceo classico di Novara fu allontanato a partire dall’autunno 1938.
In quel momento gli ebrei novaresi erano trenta, un numero tutt’altro che irrilevante.
Il libro della Bottini Treves e della Negri documenta poi con dovizia di particolari gli eccidi e le deportazioni che macchiarono il Novarese dal settembre 1943: purtroppo la Shoah non fu solo le terribili stragi di Meina, Arona, Stresa, Baveno, Intra, Mergozzo, Orta e Pian Nava, ma anche vicende meno note di rastrellamenti, sequestri e asportazioni di beni contenuti nelle case e nelle cassette di sicurezza della Banca Popolare di Novara delle famiglie Diena, Toscano, Debenedetti, Dina, Jona, Catz e Treves. Alcuni di loro sono scomparsi nel nulla, tra essi Sara Bertie Kaatz, arrestata nel ’43, l’ufficiale invalido Giacomo Diena e suo zio Amadio Jona, novantenne, prelevati dal tenente delle SS Helmut Staube il 19 settembre ’43 e uccisi quasi sicuramente il giorno dell’arresto.
Drammatica la testimonianza di Benvenuta Treves che attesta i legami esistenti tra gli ebrei novaresi: “Domenica 19 settembre 1943…alle 9,30, sono in casa mia e sto dando lezioni poiché, come ebrea, sono stata allontanata dalla scuola e insegno ai privati. Un messaggero bussa alla porta recando un biglietto. È del ragionier Muggia, mio buon conoscente e ufficiale della prima guerra mondiale. Ha saputo da un suo amico, funzionario della Questura di Novara, che oggi vi sarà un rastrellamento di ebrei e m’invita ad allontanarmi. Non perdo tempo. Infatti, a mezzogiorno preciso, fascisti e tedeschi bussano alla mia porta”. La Treves corre ad avvertire gli altri che con un veloce e drammatico passaparola scappano, ma Giacomo Diena “non fugge, ringrazia chi lo avverte ma soggiunge che a un grande invalido, anche se ebreo, non oseranno torcere un capello. Viene invece prelevato, anche se invalido, e portato all’accantonamento tedesco, nelle scuole Morandi. Di lui non si sa più nulla, certo, in Germania non arrivò mai”.
Pochi giorni dopo la retata, ufficiali delle SS si presentarono alla Banca Popolare di Novara, si fecero aprire tutte le cassette di sicurezza intestate ad ebrei e vi asportarono ogni bene contenuto.
L’attenta ricerca riferisce anche dei legami che si stabilirono nella zona con il nascente Stato ebraico. Nell’immediato dopoguerra fu attivato un campo profughi a Villa Faraggiana a Meina, dove circa duecento ebrei, per lo più giovani, sopravvissuti alla Shoah si preparavano per partire alla volta di Eretz Israel.
Il libro si conclude con il ritratto di tre ebrei che hanno lasciato un segno nella cultura di Novara: Salvatore De Benedetti, un intellettuale del Risorgimento italiano, Benvenuta Treves, una donna tra cultura e impegno politico e sociale e Renzo De Benedetti, pittore dall’arte sommessa e sincera.
Oggi gli ebrei a Novara sono poche unità facenti capo alla piccola ma attivissima Comunità Ebraica di Vercelli.
http://www.hakeillah.com/1_06_25.htm