Nel 1943 la razzia nazista per documentare la «civiltà scomparsa». Perse le tracce di 7 mila volumi. Il sospetto che siano ancora tutti insieme, forse nell’Est
Paolo Conti
“Io sono convinta che lo straordinario tesoro costituito dalla biblioteca della nostra Comunità non sia andato distrutto. E che sia ancora chiuso in chissà quale deposito. Ora il nostro compito è rintracciarlo. Ci vorrà tempo. Ci vorranno energie umane ed economiche. Ma ci riusciremo”. Alessandra Di Castro, raffinata antiquaria romana (l’attività di famiglia risale al 1878 e il suo negozio affaccia su piazza di Spagna), storica dell’arte, dirige da due anni il Museo ebraico di Roma. Ovvero il luogo che testimonia le radici della Comunità degli ebrei romani, radicata a Roma prima ancora della distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo, che nel 1943 subisce l’atroce rastrellamento del 16 ottobre: 1.259 deportati nei campi di sterminio. Ne torneranno appena 16, di cui una sola donna. E nessun bambino.
La ferita mortale inferta alla Comunità ebraica dai nazisti nel 1943 non è solo umana, solo di sangue e di vite. II 30 settembre negli uffici della Comunità si presentano due ufficiali nazisti che analizzano e mettono sotto sequestro sia 17 mila pezzi storici della biblioteca della Comunità sia il fondo del Collegio rabbinico italiano.
Non sono ufficiali qualsiasi: sono Pohl e Grunewald, studiosi di filologia semitica, membri dell’Err, l’Einsatzstab Reichsieiter Rosenberg, unità speciale incaricata di saccheggiare materiale di interesse culturale e politico nei Paesi occupati. Forse già conoscono l’importanza di quella miniera di sapere. Devono collaborare a uno dei folli progetti del regime nazista, la futura documentazione di una «civiltà scomparsa», quella ebraica destinata a perire con la Endlösung der Judenfrage, la Soluzione finale della questione ebraica, ovvero la Shoah. II 14 ottobre arrivano i facchini della ditta di trasporti Otto e Rosoni per un primo carico dei libri, che si conclude il 23 dicembre. II fondo del Collegio rabbinico riappare fortunosamente nel 1949, grazie alla Missione Italiana per le Restituzioni diretta dal quel formidabile intellettuale-detective che fu Rodolfo Siviero. Dei 7 mila volumi della Comunità chiusi in due vagoni partiti da Roma si perdono le tracce. Ne restano solo 25, tra cui un magnifico codice di Torà e Haftarot del XVI secolo. Erano chiusi in una cassaforte e oggi sono gelosamente protetti nel Museo ebraico. Cosa conteneva la biblioteca?
Lo sa bene la studiosa Serena Di Nepi, storica moderna a La Sapienza, autrice del saggio Sopravvivere al Ghetto, edito da Viella: «Un patrimonio unico, messo insieme nel primo Novecento quando vennero riunite le diverse raccolte delle antiche Cinque Scole con la costruzione del Tempio maggiore. Manoscritti miniati romani del XIII secolo, incunaboli, edizioni veneziane cinquecentesche, almeno il 25% della produzione totale dei famosi stampatori Soncino, volumi arrivati a Roma dalla Spagna e scampati ai roghi dell’Inquisizione spagnola prima e poi di quella romana, Talmud e testi cabalistici, edizioni del primo ‘500 provenienti dalla Istanbul musulmana e risalenti all’unico periodo in cui fu permesso nella città di stampare testi ebraici». Manca un catalogo per una ragione storica legata all’atavico timore della Comunità ebraica romana di certificare i beni librari: risale al 1553, quando Paolo III Farnese ordinò il rogo delle copie del Talmud e di tutti i libri in ebraico.
Nel 2002 il governo italiano istituì una Commissione speciale per il recupero che svolse una minuziosa e preziosissima indagine, stabilendo contatti con studiosi di mezzo mondo ma senza approdare a risultati. Nel 2009 il documento conclusivo raccomandava il proseguimento delle indagini e delle ricerche. Così ha deciso di fare oggi il Museo ebraico di Roma.
Domenica 25 gennaio Alessandra Di Castro annuncerà al Jewish Heritage Museum di New York, durante una giornata di studi organizzata dal Primo Levi Center, la ripresa delle ricerche in collaborazione col Comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Dice Alessandra Di Castro: «Intendiamo coinvolgere centri di studi, università, collezionisti privati.
Abbiamo segnalazioni di volumi conservati in due importanti università americane, che potrebbero essere romani. Così come dobbiamo approfondire voci su intere casse ancora chiuse nell’area ex sovietica, tra Kiev, Minsk e Mosca. Non sappiamo dove arrivarono i due vagoni partiti da Roma con i nostri libri. Ma non è da escludere che siano finiti nelle mani degli allora sovietici quando liberarono i territori occupati dai nazisti. II materiale può essere riconoscibile sia per il timbro della nostra Comunità sia per l’abitudine tipicamente ebraica di annotare a mano i volumi, lungo gli anni e i secoli».
Scrive nella sua relazione Serena Di Nepi: «Con l’eccezione di due volumi “sospetti” conservati al Jewish Theological Center di New York e di un volume clamorosamente ricomparso ad Amsterdam nel 2006, nessun altro volume è emerso né in collezioni pubbliche o private né sul mercato librario. Ciò induce a credere che la biblioteca si trovi da qualche parte, ancora tutta insieme e probabilmente nelle mani di qualcuno che ne intuisce il valore».
http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_gennaio_22/gli-ebrei-romani-carabinieri-caccia-biblioteca-trafugata-5cd97dc8-a205-11e4-8580-33f724099eb6.shtml